Dove scappi, Nicolas? Non hai scampo. Tu sei un mezzosangue, ormai. E un mezzosangue non sa mai da che parte stare. Perché il suo è un mondo di confine, non ha terra e non ha un popolo davvero suoi. Non appartiene più al mondo dove è nato, e non apparterrà mai al mondo in cui si è rifugiato. La tua Francia non è più quella che hai lasciato, monsieur Chopin. Adesso anche per le strette strade di campagna della tua Lorena soffia il vento nuovo della Rivoluzione. La tua campagna non è come le piazze immense di Parigi, dove ogni novità nasce e si diffonde in fretta. Nella tua campagna le notizie arrivano pigre, arrivano in ritardo, forse sfigurate, irriconoscibili. Qualche volta non arrivano per niente. Ma la febbre rivoluzionaria è un mare grosso e le sue onde questa volta si sono spinte fino alle terre di periferia, fino alle stalle dei tuoi genitori, dimenticate da Dio e dagli uomini.
La Francia ti insegue, Nicolas, vuole darti un fucile, vuole che spari per lei. Ma qual è oggi la tua vera patria? Ne hai davvero una? Come potrai spiegare che il tuo corpo è nato in Francia, ma che il tuo cuore appartiene alla Polonia? Sei scappato da una divisa, ma ne hai trovata un’altra, diversa da quella che la Lorena voleva assegnarti. Ora però lo sai. I potenti sanno abbellirle le guerre, sanno rivestirle di nobili intenti, la verità è che sono uno schifo. Sono uno schifo ovunque, Nicolas. Sono uno schifo anche qui.
Credevi di combattere per il re, il tuo nuovo re, credevi di difendere la Polonia dalla prepotenza delle grandi potenze. E poi non ci hai capito più niente. Era Stanislao, il tuo sovrano, era lui la corona per la quale hai rischiato di morire. Lui che ora cerca rifugio e protezione all’ombra della Russia. Al diavolo, Nicolas, al diavolo tutti. Al diavolo i fucili, le guerre e le terre da difendere. La vita è fatta solo di se stessi, dei propri amori e della nuova carne che si mette al mondo. Il resto è giungla, Nicolas, giungla nella quale dovrai solo difenderti da chi è più forte e attaccare chi è più debole. Per te che sei solo un mezzosangue questa fogna di vita è come per tutti gli altri. Difenderti quando devi e attaccare quando puoi. È la sola legge, la sola che nessun Parlamento e nessun re potranno mai abrogare.
Povero Nicolas, non può più scappare. In fondo, non ne ha più neppure la forza. È andato via dalla Francia, via da Marainville e da un’esistenza già tracciata da un aratro, un’esistenza da colono. Se ne è andato fidandosi dei racconti del suo amico Adam Weydlich, compagno fidato di tante sbronze di birra e di movimentate notti d’estate tra i covoni.
«La Francia è una terra niente male, Nicolas. Sa essere anche accogliente. Ma la mia Polonia è il paradiso. Presto ci tornerò e tu verrai con me.»
Weydlich ha ottenuto la cittadinanza francese da Luigi XVI, amministra con saggezza il feudo di cui Marainville fa parte, feudo che appartiene a un nobiluomo di origine lituana, Michal Pac. Qui, nel Nord-Est, la vita politica parigina, i suoi scandali, i suoi moti sovversivi arrivano smorzati, ma le voci sulla Rivoluzione tuonano da tempo fin quassù. Weydlich è un uomo del più profondo medioevo francese, mondo nel quale le regole sono dettate dal lignaggio e dalla antichissima tradizione feudale. La Rivoluzione di cui si parla ha un suono minaccioso per quelli come lui.
«Che dici, Nicolas? Ce ne andiamo? Io dico che è arrivato il momento di rimettere piede nella mia vecchia Polonia. Qui tra un po’ si sentiranno i cannoni, caro mio. Scorrerà tanto sangue, vedrai. L’uguaglianza è una strana bestia. I poveri sopportano qualsiasi cosa per una vita intera, poi un giorno scoprono all’improvviso che ammazzarsi è più appassionante che zappare la terra. Contenti loro… E allora sarà meglio non esserci quel giorno, fratello. Molto meglio non esserci.»
Nicolas ci pensa una notte. Una sola. L’indomani è davanti a Adam con un fagotto e le sue illusioni. «Sono pronto, amico mio. Vediamo questa Polonia. Sinceramente non so neppure dirti perché, ma sento che con la Francia e con Marainville devo chiudere i conti.»
«E la vostra Rivoluzione, Nicolas? Non è per caso anche la tua Rivoluzione? Davvero non ti va di staccare neppure una testa? Che ne so, un principino, un duca…»
«Ma falla finita! Per adesso so solo che non sono nato per zappare la terra né per tenere al braccio un fucile. Ora il problema è capire per cosa mai sono venuto al mondo. Ti seguo per questo, Adam. Devo scoprire se la tua Polonia saprà darmi una risposta.»
«Vuoi farmi credere che non porterai con te nemmeno una pistola, un piccolo pugnale?»
«Non ne ho, amico mio. Ma ho due armi nel mio fagotto. Un violino e un flauto. Le armi con cui combatterò la solitudine e la nostalgia. Se mai verranno.»
Il lungo viaggio libera Chopin dalle vacche da accudire e da mungere, ma non lo libera dal rischio di indossare una divisa per combattere. Anche in terra polacca c’è Tadeusz Kosciuszko con la sua piccola rivoluzione. Kosciuszko ha appena vinto la rivolta americana al fianco degli americani. E ora è ritornato in patria e guida una divisione dell’esercito del re per buttar fuori gli invasori russi. E Nicolas Chopin? Che c’entra lui con questa guerra? C’entra, perché lui vuole sentirsi fin da subito polacco. Forse vuole dare innanzitutto a se stesso un segno, una motivazione. “Questa terra sconosciuta, fratelli, è già la mia terra.” Ma il sogno della liberazione dal nemico è fragile, si sbriciola, è sabbia tra le dita. Dura un niente, giusto il tempo di sparare per aria due o tre colpi nella fredda Cracovia. In fondo la guerra non è mai stata per lui. Impugnare un’arma, anche con la consapevolezza che non la userebbe mai, gli dà un senso profondo di nausea.
Per fortuna tutto si placa dopo poche settimane di frastuono. La Russia e la Prussia si spartiscono la Polonia e Kosciuszko ripiega in fretta verso Dresda in cerca di una tregua.
Nicolas torna subito a essere un uomo. E sogna come un uomo. Casa, lavoro, famiglia, serenità, futuro.
«Dove hai detto che andrai?» gli chiede Adam.
«Zelazowa Wola.»
«Mai sentita. È lontana da Varsavia?»
«Più o meno una sessantina di chilometri, non di più. Sei, sette ore al massimo di carrozza e ci arrivi.»
Adam è scettico, anzi incredulo. Amico, non si viene in Polonia per finire di nuovo in campagna. Non ci si esalta nel clima frizzante di Varsavia per poi trovarsi di nuovo tra i faggi, le zanzare e l’odore del letame.
Nicolas, invece, ha già deciso e l’idea di ritornare nel suo habitat naturale non gli dispiace affatto. Lo rassicura. Sarà un po’ come tornare a casa, nella sua Lorena che in fondo al cuore faticava a dimenticare. Lavorerà per una signora dell’aristocrazia, Ludwika Fenger, contessa Skarbkowa in seguito al matrimonio. E non sarà più un colono. Non starà con la schiena piegata sulla terra, com’era toccato per una vita ai suoi genitori, ai suoi nonni e a chissà quanti altri antenati. Sarà un insegnante. Proprio così. Sarà per tutti il professor Nicolas Chopin.
«Sa perché ho voluto conoscerla, monsieur Chopin?»
«Me lo dica lei, contessa. Io posso solo aggiungere che ne sono molto onorato.»
«So che lei ha insegnato il francese alla graziosa Maria Laczynska di Czerniejev.»
«È così. Maria è stata mia allieva.»
«Giovane graziosissima, assai ben educata. Conosco la sua famiglia. Lei e sua madre sono entusiaste delle sue capacità di docente. Il francese di Maria è diventato più fluido e forbito nel giro di pochi mesi.»
«La ringrazio, contessa. E ringrazio Maria e sua madre per ciò che le hanno riferito con tanta cortesia.»
«Guardi, Chopin. A casa mia non si fanno sconti. Ci siamo fatti questa idea solo perché i suoi meriti appaiono a tutti evidenti.»
Nicolas ha per risposta solo un inchino accennato con la testa. Il dialogo conserva un tono cortese, a tratti lezioso e diplomatico, ma la contessa Skarbkowa mostra di essere piuttosto spiccia e di non amare andar troppo per le lunghe. In fondo, Nicolas, sei pur sempre il figlio di un contadino francese al cospetto della più antica e solida nobiltà polacca. Devi usare il trucco del silenzio, se vuoi evitarti il rischio di cadere e farti del male.
«Vede, Nicolas… posso chiamarla così, non è vero?»
«Mi lusinga, contessa.»
«Dicevo… Lei forse saprà che ho cinque figli. Vorrei che fosse lei a prendersi cura del loro francese. È un profilo della loro educazione a cui tengo moltissimo. La paga sarà buona, in più le saranno forniti il vitto e un alloggio indipendente qui, nella nostra tenuta di Zelazowa Wola. Certo, capisco che Varsavia a un uomo giovane come lei offra attrazioni più interessanti rispetto a questa campagna, ma penso che potrà trovarsi bene qui. Vuole pensarci un po’ prima di darmi una risposta?»
«Ci ho già pensato, contessa. In certi casi pochi secondi possono bastare. Accetto. Non sono qui per Varsavia. Lì ho già vissuto per un po’. Sono qui per costruire il mio futuro. E questo luogo ha tutta l’aria di contenere presagi. Buoni presagi.»
«Me ne compiaccio, Nicolas. Direi che si può cominciare, allora. Diciamo per domani?»
«Se vuole, contessa, mi consideri pure fin da questo momento il precettore dei piccoli conti Skarbek.»
La nuova vita di Nicolas Chopin a Zelazowa Wola parte in una giornata dal sole piuttosto fiacco. Per la prima volta la Polonia non è il luogo provvisorio in cui ha organizzato la propria fuga dalla Lorena. Adesso è la sua terra. È qui che ha finalmente un lavoro e una casa.
Il conte si vede poco, pochissimo. La contessa non sembra un tipo facile, ma almeno le leggi in faccia quello che pensa. Lei e il marito hanno messo da un pezzo la parola “fine” al loro matrimonio. Lui si fa vivo ogni tanto, giusto per un saluto o per dare qualche regalo ai suoi figli. Donna burbera e franca, la contessa… Sì, se tutto filerà liscio, con lei si potrà andare d’accordo.
L’aria fresca dell’alba lo riempie di entusiasmo. Nicolas ama camminare da solo in aperta campagna, in compagnia dei suoi pensieri. Respira forte, fino a riempirsi il petto. Il suo ruolo da precettore gli calza a pennello, come una vocazione. Orari fissi di lezione, non così impegnativi, stipendio soddisfacente, dimora di grande decoro. Dovrebbero vederlo adesso mamma e papà. Gli mancano, certo, ma non gli manca il loro universo misero e rassegnato. A pensarci bene, quel mondo feudale, fatto di eterni braccianti disperati, non è retto dai potenti che se la godono, ma dai poveracci che lo accettano come una disposizione divina. Nicolas, stai attento. Anche tu, qui in Masovia, sopravvivi con gli avanzi della nobiltà. Ma no, tu sei padrone del tuo destino, sei uno stimato insegnante di francese che lavora per denaro, non per inferiorità di sangue. Puoi guardare tutti dritto negli occhi, senza nemmeno troppi inchini. Dopo che hai impartito la tua lezione, puoi passeggiare per la tenuta. O puoi uscirne. Ti basta averne voglia. Puoi percorrere il sentiero fino al ruscello, fino alla betulla grande. Presta attenzione solo ai cinghiali, sai che possono diventare pericolosi. Nella radura sotto la betulla si fermano spesso fagiani e cicogne, riempiono il bosco di suoni e di colori.
Improvvisamente Nicolas avverte un lamento. Ma i suoi stessi passi gli impediscono di sentire chiaramente, fino a quando continuano a calpestare sassolini e foglie. Così si ferma per ascoltare. Sì, un lamento. Sembra venire al di là della lunga fila di faggi.
«No, padrone. Basta!»
«Sta’ zitto. Devi stare zitto, hai capito?»
Nicolas è immobile. Il padrone, sembra proprio il padrone della tenuta. Ma che ci fa qui il signor conte? E che cosa sta succedendo?
«Basta, padrone. Basta!»
Un suono che sembra una staffilata sulla pelle, forse uno schiaffo pesante. L’istinto suggerisce a Nicolas di non farsi notare. La betulla grande è perfetta, puoi girarci intorno senza essere visto dal punto in cui provengono le voci.
«Che ti succede oggi, eh piccolo bastardo? Che ti succede?»
Il conte ha i pantaloni abbassati fino alle caviglie. Un ragazzino di dieci, undici anni ha una camiciola aperta sul petto, per il resto è totalmente nudo. Il conte lo tiene per un braccio e in modo anche brutale, perché il ragazzino...