Il mondo prima del glutine
C’era una volta il mondo senza glutine. Questa proteina antica e complessa, principale componente del frumento, si è sviluppata contemporaneamente all’uomo nel corso dei millenni. Strana proteina, il glutine, e unica nel suo genere; insieme alle affini secalina (della segale) e ordeina (dell’orzo), è l’unica che non siamo in grado di digerire.
Vediamo come stanno le cose: ciascuno di noi ha circa 23 mila geni; il frumento ne ha più di cinque volte tanto. Con oltre 150 mila geni, rappresenta per gli scienziati un garbuglio genetico assai difficile da districare. Il grano e le sue componenti proteiche, tra cui il glutine, ci fanno sembrare molto meno complicati di quanto forse pensiamo di essere.
La storia dell’uomo e l’evoluzione della celiachia procedono di pari passo con quella del frumento e del glutine: come si sono sviluppati e continuano a evolversi, e come oggi interessano individui di tutto il mondo con una serie di sintomi e disturbi.
Per la gran parte della nostra evoluzione, la nostra dieta è stata priva di glutine. Poi, diecimila anni fa circa, ebbe luogo la rivoluzione dell’agricoltura. Gli uomini cambiarono lo stile di vita da nomade a sedentario, coltivarono piante e allevarono animali riuniti in greggi o mandrie addomesticate.
La lenta crescita dell’agricoltura condusse a società più ampie e allo sviluppo di attività creative. Grazie alla stanzialità e al tempo libero, i nostri antenati diedero inizio al lungo viaggio che, dalla vita nelle caverne, li avrebbe portati a costruire opere come il Colosseo o la Grande Muraglia cinese.
Nelle società agricole il frumento diventò una delle unità di misura della ricchezza più preziose e prestigiose. I beni che definivano la ricchezza e la sicurezza erano le merci di scambio importanti e non deperibili, e il grano era una di queste. Per un ristretto numero di persone, però, il consumo di grano comportò un prezzo da pagare.
Primi casi di celiachia
Quasi duemila anni fa, uno dei medici più importanti dell’antica Grecia, Areteo di Cappadocia, diede conto di quella che è considerata la prima descrizione della celiachia. Parlò infatti di koiliakós nel senso di «sofferente nell’addome».
Dai tempi di Areteo passarono circa milleottocento anni prima che la celiachia tornasse a essere menzionata nella letteratura medica. Negli anni ’80, quand’ero studente di medicina, trascorsi qualche mese a Londra, all’Hospital for Sick Children di Great Ormond Street. Proprio lì, un secolo prima, il medico britannico Samuel Gee aveva tenuto una conferenza in cui descriveva la celiachia come un «tipo di indigestione cronica che si riscontra in persone di tutte le età, ma che interessa specialmente i bambini tra uno e cinque anni di età».
L’evoluzione del grano.
Dando retta al suo intuito, il dottor Gee definì la celiachia come una sindrome da malassorbimento provocata da qualche alimento non identificato. Se con la descrizione del disturbo aveva fatto centro, con i provvedimenti dietetici da adottare aveva invece mancato il bersaglio: il dottor Gee raccomandava infatti ai pazienti di mangiare pane «tagliato a fette sottili e ben tostato su entrambi i lati».
Al di là dei consigli alimentari, l’opera del dottor Gee ha rappresentato un enorme passo avanti nella comprensione della celiachia. Purtroppo, perché fosse compiuto il passo successivo, doveva trascorrere quasi un altro secolo.
CHE COS’È LA CELIACHIA?
La celiachia è una malattia genetica che interessa adulti e bambini. Chi ne è affetto non può mangiare cibi contenenti glutine, che si trova nel grano e in altri cereali. In queste persone il glutine fa scattare una reazione autoimmune che può condurre alla completa distruzione dei villi, le estroflessioni simili a minuscole dita che rivestono la superficie dell’intestino.
I villi sani sono fondamentali per la buona digestione e l’assorbimento dei nutrienti alimentari. I celiaci producono anticorpi che, insieme alle citochine (sostanze simili a ormoni) e all’effetto delle cellule immunitarie, attaccano l’intestino e appiattiscono i villi, causando malassorbimento e comparsa di sintomi.
La celiachia è due volte più comune del morbo di Crohn, della colite ulcerosa e della fibrosi cistica messe insieme. Negli Stati Uniti colpisce 1 persona su 133. Oggi è disponibile tutta una serie di esami del sangue per controllare la presenza di anticorpi specifici. Per la diagnosi definitiva (prima di cominciare una dieta priva di glutine) di solito è necessaria una biopsia intestinale.
I celiaci sono più soggetti ai disturbi legati al malassorbimento, tra cui diarrea, gonfiore addominale, perdita di peso, nausea, vomito, anemia, osteoporosi e problemi allo smalto dentale. L’autoimmunità celiaca può inoltre dar luogo a infiammazioni del sistema nervoso centrale e periferico, disturbi del pancreas e di altri organi (tra cui cistifellea, fegato e milza), disturbi ostetrici e ginecologici come aborti spontanei e sterilità.
In rarissimi casi una celiachia trascurata è stata messa in relazione con un rischio maggiore di contrarre alcuni tipi di cancro, specie il linfoma intestinale. Attualmente non esistono farmaci per il trattamento della celiachia, e non esistono cure. Tuttavia i celiaci possono condurre una vita sana e normale seguendo una dieta senza glutine. Questo significa eliminare tutti i prodotti contenenti grano, segale e orzo.
La celiachia non è un’allergia alimentare. Le allergie alimentari, tra cui quella al grano, sono problemi che un individuo può anche superare (vedi capitolo III). La celiachia è una malattia autoimmune provocata dal funzionamento anomalo del sistema immunitario che attacca il proprio organismo. Chi soffre di celiachia, ne soffre per tutta la vita.
Il dottor Dicke: il grano è il fattore scatenante
La vera svolta, quella che finalmente ha portato alla dieta senza glutine come terapia, si ebbe nei Paesi Bassi grazie al pediatra Willem-Karel Dicke. Come mostrano le sue ricerche, il dottor Dicke sospettava da tempo che il grano potesse avere un ruolo nei sintomi e nei disturbi riscontrati nei suoi piccoli pazienti.
Durante la Seconda guerra mondiale, quando la farina di frumento era difficile da trovare, il tasso di mortalità dei bambini olandesi affetti da celiachia calò nettamente. Il dottor Dicke seguì la sua precedente intuizione secondo cui quella drastica variazione andava collegata all’aumentato consumo di fecola di patate. Dopo la fine del conflitto, con la reintegrazione della farina di frumento nella dieta dei bambini, il numero dei celiaci e il tasso di mortalità tornarono ai livelli dell’anteguerra. Questo contribuì a rafforzare in lui l’ipotesi che fosse la farina di frumento la responsabile dei sintomi riscontrati nei bambini ormai definiti «celiaci».
Nei decenni che avevano preceduto le scoperte del dottor Dicke, molti bambini ritenuti affetti da celiachia erano stati alimentati solo con banane per periodi da tre a sei mesi (per questo furono definiti banana babies). Era stato Sidney Haas, un pediatra di New York, a ideare questa dieta negli anni ’20 del Novecento, che rimase la terapia principale fino agli anni ’50, quando il dottor Dicke pubblicò un approfondito studio alimentare in cui documentava come il glutine fosse il fattore scatenante della celiachia.
Il glutine si globalizza
Dopo che, nell’Ottocento, Samuel Gee ebbe definito la celiachia e che, nel Novecento, Willem-Karel Dicke ebbe spiegato come affrontarla, si cominciò a considerare questa malattia più da vicino. Sulla base del lavoro clinico e di ricerca portato avanti dal dottor Dicke negli anni Cinquanta, la celiachia era considerata un problema gastrointestinale che colpiva soltanto i bambini, principalmente quelli di origine caucasica. Il tipico bimbo celiaco era descritto di carnagione chiara, con occhi azzurri e capelli biondi, di origine nordeuropea.
All’inizio degli anni ’70 furono sviluppati i primi strumenti diagnostici e si effettuarono i primi studi epidemiologici. Secondo questi studi, la celiachia era un problema limitato essenzialmente all’Europa settentrionale, e non presente negli altri continenti. Gli scienziati si chiedevano perché avesse una distribuzione tanto singolare.
Un decennio dopo, un celebre genetista italiano, Luigi Luca Cavalli-Sforza, avanzò una teoria interessante, ma in ultima analisi risultata non corretta, secondo la quale l’agricoltura, nata in Mesopotamia, si spostò da sud a nord e da est a ovest alla velocità di circa un chilometro all’anno. L’agricoltura e i cereali contenenti glutine avrebbero quindi raggiunto l’Europa settentrionale molto più tardi rispetto ad altre parti del mondo sviluppato.
Secondo il ragionamento di Cavalli-Sforza, dato l’alto tasso di mortalità per celiachia nel mondo antico, nelle regioni dove l’agricoltura si era sviluppata prima i celiaci erano stati eliminati dalla selezione naturale. Sebbene la malattia (e i geni che predisponevano a essa) fosse già scomparsa in gran parte delle aree dove l’agricoltura aveva avuto origine, continuava a essere presente in luoghi come l’Europa settentrionale, dove i cereali contenenti glutine erano arrivati molto più tardi. Sembrava una spiegazione plausibile, ma accurate ricerche epidemiologiche, condotte anche dagli scienziati del Center for Celiac Research, hanno dimostrato che le cose stanno in un altro modo.
A caccia della celiachia
Dal 1984, quando Cavalli-Sforza avanzò la sua teoria, svariati ricercatori hanno condotto studi epidemiologici coerenti e sistematici per misurare in modo accurato la diffusione della celiachia in tutto il mondo. Il professor Carlo Catassi, condirettore del Centro e mio caro amico, è una vera autorità in materia di epidemiologia della celiachia.
I suoi studi pionieristici, iniziati in Italia, ci aiutarono a riconoscere che la celiachia colpisce molti più individui di quanto si pensasse. Nel 1996, analizzando campioni di sangue di studenti italiani sani, il professore mostrò che la celiachia era presente in 1 caso su 184. Inoltre, da quei risultati si evinceva che la gran parte dei casi atipici (cioè che non presentano i sintomi gastrointestinali tradizionalmente associati con la celiachia) restava non diagnosticata, a meno che i medici non andassero attivamente in cerca della celiachia per spiegare dei sintomi extraintestinali.
Sotto la guida del professor Catassi e in collaborazione con tanti altri colleghi in tutto il mondo, il Centro ha intrapreso studi epidemiologici in zone in cui Cavalli-Sforza aveva messo in dubbio l’esistenza della celiachia, come il Medio Oriente, l’Africa settentrionale, l’America meridionale, l’Asia. Questi studi hanno ribaltato la teoria di Cavalli-Sforza, evidenziando la presenza della celiachia in Africa settentrionale, India e, più di recente, in Cina.
ALTA MORTALITÀ NEL DESERTO
Il caso dei Saharawi, una popolazione nomade del Sahara occidentale, costituisce un esempio drammatico delle conseguenze del consumo di glutine su una determinata parte della popolazione. Dalla fine degli anni ’70 i Saharawi furono confinati in campi profughi a causa della guerra civile. Per via di trasferimenti forzati, carestie e malnutrizione (e dunque alta mortalità), divennero motivo di grande preoccupazione per le organizzazioni attive sul fronte dei diritti umani.
Per salvare i Saharawi si decise di intervenire, per esempio, inviando cibo. Le agenzie internazionali si chiesero che tipo di alimenti mandare: dovevano essere versatili e non deperibili. Il grano fu la scelta più naturale.
Un popolo nomade, che per millenni aveva basato la propria dieta su frutta, verdura, latte e carne di cammello, venne esposto per la prima volta a cereali contenenti glutine. Ne conseguì il tasso più alto di celiachia mai registrato al mondo: il 6% della popolazione complessiva. La maggior parte dei bambini malati è ancora senza diagnosi e corre il rischio di morire prematuramente a causa della diarrea cronica e della malnutrizione.
La sfortunata esperienza dei Saharawi ci dà un’idea di quello che dovette essere il primo contatto fra esseri umani e glutine, riportandoci indietro nel tempo di diecimila anni, quando tutti gli individui predisposti erano in vita e la celiachia operò la selezione mortale. Nel corso dei millenni sarebbe sopravvissuto solo chi fosse affetto da una forma leggera. In assenza di interventi, è probabile che la prevalenza della celiachia tra i Saharawi finirebbe per scendere all’1%, riflettendo l’andamento di gran parte del mondo, una volta che si fosse verificata questa selezione sfavorevole.
Nell’Africa settentrionale, quello dei Sah...