Shev appoggiò i gomiti sul parapetto, le spalle ingobbite fino alle orecchie e le dita penzoloni, e fischiò piano. «Comunque, hai messo insieme un pubblico niente male.»
Era una donna che aveva girato parecchio lungo il Circolo del Mondo. Come avrebbe potuto fare solo una donna che avesse trascorso metà della vita a scappare. Ma raramente aveva visto una folla simile. Forse in Adua, alla presentazione del primogenito ed erede del re dell’Unione, sebbene Shev pensasse più alla sua pancia vuota che alle strade traboccanti di persone. Forse all’esecuzione di Cabrian, quand’era passata per Darmium, sebbene fosse troppo dolorante e troppo di fretta per esserne sicura. Sicuramente al Tempio di Shaffa, quando il Profeta Khalul in persona era sceso dalle montagne per guidare la preghiera durante il pellegrinaggio d’inizio anno, e persino Shev aveva avvertito una minuscola frazione di devozione, anche se solo per un momento.
Ma certamente non aveva mai visto niente di simile in Styria.
Tutta Talins era radunata là sotto, e molto di più. Una moltitudine così vasta e pressata che a malapena pareva composta d’individui. Sembrava essere diventata un’unica infestazione, senza forma né coscienza. I gradini dell’antico Palazzo del Senato ribollivano, la grande piazza traboccava nelle strade adiacenti. Ogni finestra era riempita di facce, ogni tetto percorso da file di spettatori.
Sul Ponte dei Rintocchi, il Ponte dei Gabbiani, il Ponte dei Baci e il Ponte delle Sei Promesse, non avresti potuto ficcare un’altra persona senza farne schizzare un’altra in acqua. Un paio erano già cadute, e si erano limitate a tirarsi fuori più a valle e tornarsene gocciolanti a una postazione da cui poter assistere alla cerimonia.
Perché non avresti certamente assistito tutti i giorni a una cerimonia come questa.
«Speriamo vada meglio dell’ultima volta che abbiamo incoronato un re della Styria» disse Shev.
Vitari sbucò in terrazza con un calice di vino in mano. «Oh, quella volta è andata piuttosto bene, mi pare.»
«Con i cinque nobili più potenti di questa terra morti stecchiti?»
«Niente di meglio, se sostenevi una sesta persona.» E Vitari rivolse un sorriso alla sua datrice di lavoro, giù in basso, la granduchessa Monzcarro Murcatto. La donna più potente del mondo stava rigidamente in piedi al centro della grande piattaforma, immobile come le statue in suo onore che spuntavano in tutta la Styria. I suoi due cancellieri – Scavier e Grulo – gareggiavano nell’ululare gli elogi più sperticati della sua sovrintendenza sulla nazione.
I suoi sarti e armaioli dovevano aver lavorato per questo gioioso momento con la stessa intensità di soldati e spie. Indossava un abito che separava nettamente la gonna della regina e l’armatura del generale. La corazza-pettorale lampeggiava alla luce, e il lungo strascico era ricamato a serpenti dorati. Al fianco aveva una spada luccicante. Non usciva mai senza spada. Shev aveva sentito dire che ci dormisse insieme. Che la usasse come amante, si diceva. Nessuno osava affermarlo in sua presenza, però.
Le persone sagge facevano molta attenzione a cosa dire in faccia alla Serpe di Talins.
Shev sospirò. «Cattiva marea è quella che non innalza alcuna barca.»
«Mi guadagnavo da vivere frugando tra i rottami lasciati dalle cattive maree altrui» disse Vitari. «Tuttavia sono fiduciosa che quest’incoronazione filerà liscia.»
«Te ne sarai indubbiamente assicurata.» Giù in basso c’erano i soldati, con armature lucide e armi da cerimonia, ma erano pochi, e solo per fare scena. Uno spettatore ingenuo avrebbe pensato che alla granduchessa Monzcarro e a suo figlio non occorresse altro scudo dell’amore del loro popolo. Shev non era ingenua.
Non su questo, almeno.
Da lassù riusciva a individuare gli agenti nella folla intorno alla piattaforma, nelle finestre con le migliori visuali, nelle strozzature e su tutti gli angoli. Una donna offriva dolcetti con meno entusiasmo del previsto. C’era un uomo col pastrano che gli calzava in modo strano. Da tutti, trapelava qualcosa nell’atteggiamento guardingo. Nella prontezza della postura.
E indubbiamente ce n’erano altri che neppure gli occhi di Shev, affilati come aghi da anni di pericolo costante, avrebbero mai individuato.
Sì. Shev non conosceva nessuno che si affidasse al caso meno di Shylo Vitari.
«Dovresti essere laggiù.» Accennò col capo alla tripla fila di soldati e marinai, banchieri e burocrati, primi cittadini e sprezzanti aristocratici alle spalle della piattaforma, che si crogiolavano al calore del potere della granduchessa. «Nessuno ha fatto quanto te per ottenere tutto questo.»
«Al credito si accompagna il biasimo.» Vitari scoccò a Shev un’occhiata di traverso, e nessuno scoccava occhiate di traverso come lei. «Noi che lavoriamo nell’ombra facciamo meglio e rimanerci. Che siano i tromboni come quelli a pavoneggiarsi alla luce.»
Scavier e Grulo stavano finalmente arrivando alla fine dei loro discorsi, ed entrambi sudavano sotto le vesti dorate per i grandiosi sforzi retorici. Nell’opinione di Shev, erano solo una noiosissima minestra riscaldata, un rimestare nelle solite mezze-mezze-mezze verità su lealtà , giustizia, autorità e unità . Nella sua esperienza, la gente restava unita solo finché le conveniva, non un secondo di più.
Come i due indietreggiarono, la folla irrequieta si paralizzò. Il bambino si alzò dallo scranno dorato, vestito tutto di puro e semplice bianco, e avanzò impettito e assolutamente sicuro sulla piattaforma. Sua madre lo seguiva, vicina come un’ombra lunga, e la destra guantata stringeva una corona di foglie d’oro.
Mentre suo figlio sorrideva benevolo alla folla, lei la percorreva con sguardo raggelante, come fosse determinata a individuare chiunque tra quelle migliaia di persone osasse sostenere i suoi occhi. Sfidarla. Sollevare la minima obiezione a ciò che stava per succedere.
Il granduca Orso avrebbe certamente obiettato, se fosse stato presente, ma Murcatto aveva ucciso lui, entrambi i suoi figli, entrambi i suoi generali e, per sicurezza, anche la sua guardia del corpo e il suo banchiere, e si era impossessata della sua città .
I grandi magnati di Etrisani e Sipani, Nicante e Affoia, Visserine e Westport avevano obiettato, e, uno per uno, la granduchessa li aveva corrotti, intimiditi o schiacciati sotto il suo stivale d’acciaio.
Diversi primi cittadini d’Ospria avevano sollevato dubbi sul fatto che il figlio di Murcatto fosse davvero erede del loro caro e defunto re Rogont, e le loro teste circondate da mosche erano finite sulle picche sopra le porte delle città , dove adesso sollevavano un assai più eloquente fetore di decomposizione.
Sua Maestà Augusta il re dell’Unione aveva obiettato più di tutti, ma Murcatto l’aveva raggirato politicamente e militarmente, strappandogli gli alleati a uno a uno, per poi sconfiggerlo tre volte sul campo, dimostrandosi il più grande generale del suo tempo.
Perciò non era affatto sorprendente che nessuno obiettasse qualcosa oggi.
Soddisfatta dall’assoluto silenzio che solo una paura schiacciante sa ottenere, la granduchessa sollevò la corona, alta sulla testa del figlio, con entrambe le mani. «Quest’oggi sei incoronato Jappo mon Rogont Murcatto!» proclamò mentre la abbassava lentamente. La voce rimbalzava dalle facciate degli edifici intorno alla piazza, ripresa ed echeggiata dai banditori sparsi nella folla. «Granduca d’Ospria e Visserine, protettore di Puranti, Nicante, Borletta e Affoia, e re della Styria!» e depose le corna sui riccioli bruni di suo figlio.
«Re della Styria!» ripeté in coro la folla con un’unica voce di tuono. Si alzò un gran fruscio, un’onda percorse la calca umana mentre ogni uomo e donna s’inginocchiava. Anche Murcatto fece un passo indietro e si abbassò rigida. Evidentemente quelle vesti non erano state confezionate per inginocchiarsi.
Gli occhi di Shev notarono una sola figura che non lo fece. Un uomo d’aspetto ordinario, in abiti ordinari, in piedi accanto a una colonna sui gradini del Palazzo del Senato, a braccia incrociate. Sembrò guardare su, verso Vitari, e annuire appena. Anche lei sembrò farlo appena, in risposta.
Re Jappo si alzò e sorrise. Sette anni, è già calmo e controllato al cospetto d’un pubblico così maestoso, come poteva essere Juvens in persona.
«Oh, alzatevi su!» gridò con vocina flautata.
Una risata scosse la gran folla, e divenne subito un applauso di tuono. Gli uccelli spaventati si alzarono dai tetti mentre ogni campana in città cominciava a suonare in celebrazione dell’evento di giubilo. Vitari alzò il calice per un brindisi silenzioso, e Shev ci batté contro l’anello con un ping delicato. Giù sulla piattaforma, la granduchessa abbracciò suo figlio, e sorrise. Uno spettacolo appena meno eccezionale dell’incoronazione d’un re in Styria. Comunque era difficile strapparle un sogghigno.
«Ha ottenuto l’impossibile!» Shev dovette piegarsi in avanti e vociare sopra il baccano.
«Ha unito la Styria!» Vitari vuotò il calice in un’unica lunga sorsata.
«Quasi tutta, almeno.»
«Per adesso.»
Shev scosse lentamente la testa mentre guardava i primi cittadini della Styria sfilare davanti a re Jappo e porgergli le loro ossequiose congratulazioni sotto lo sguardo di falco di sua madre. «Quante persone sono dovute morire per dare a quel bambino un cappello d’oro?»
«La cifra esattamente necessaria. Consolati con il pensiero che senza il tuo operato la guerra avrebbe potuto rivelarsi assai più sanguinosa.»
Shev fece una smorfia. «Per i miei gusti è stata già sanguinosa quanto basta. Sono felice che sia finita.»
«La spada può anche essere riposta nel fodero, ma la guerra continua. Adesso ci sposteremo su campi di battaglia più oscuri, utilizzando armi più subdole. E il generale dell’Unione sarà ancora più spietato.»
«Lo Storpio?» mormorò Shev.
Vitari contrasse la mascella mentre guardava verso il nuovo re della Styria. «Le sue legioni segrete si stanno già muovendo.»
A quel pensiero, Shev si schiarì la gola. «Prima che arrivino… posso domandare se sua Grazia ha preparato qualcosa per me?»
«Oh, sua Grazia ha una discreta memoria per i debiti, come potrebbero testimoniare il duca Orso e i suoi figli, se fossero in grado.» Vitari estrasse un foglio arrotolato. «Murcatto paga sempre fino all’ultimo centesimo.»
Adesso che era arrivato il momento, Shev si scoprì improvvisamente, assurdamente nervosa. Prese il rotolo dalle dita di Vitari con simulata confidenza, lasciò la luce del sole ed entrò a testa bassa nella penombra dorata della stanza. Lo srotolò sul tavolo, rivelando così diversi paragrafi di fitta scrittura.
«In data terzo giorno del blah, blah, blah… alla presenza dei testimoni blah, blah… io, Horald Gasta, noto anche come Horald il Dito, di Westport, con la presente concedo il mio pieno perdono alla ladra Shevedieh ul Kana mut Mayr…» Lei alzò lo sguardo. «Ladra?»
Vitari aggrottò un sopracciglio arancio mentre rientrava dal terrazzo. «Preferivi spia?»
«Preferivo…» cosa? «Specialista commerciale, magari?»
Vitari sbuffò. «Anche io preferirei che il mio culo fosse sodo come vent’anni fa. Dobbiamo guardare in faccia la realtà .»
«Se vuoi… saperlo, ehm… il tuo culo è eccellente.» Shev si schiarì la gola e Vitari assottigliò gli occhi. «Mi sa che ladra va benissimo.» Riprese a leggere. «Per...