Sarti Antonio fra gente perbene
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Sarti Antonio fra gente perbene

Racconti. Volume primo

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sarti Antonio fra gente perbene

Racconti. Volume primo

Informazioni su questo libro

Dopo trent'anni di attività narrativa coronata da ampio successo di critica e pubblico, Loriano Macchiavelli si può considerare il "padre vivente" del giallo italiano, punto di riferimento per le nuove generazioni di scrittori ormai assurto al ruolo di "classico". Il personaggio-chiave della sua produzione è il sergente Sarti Antonio, antieroe umanissimo, dotato di straordinaria memoria ma incapace di risolvere i casi senza l'aiuto dell'amico Rosas, universitario ed extraparlamentare di sinistra, colto e logico quanto basta. Un investigatore a metà, dunque, ma un personaggio intero, questurino umile e mediocre, un uomo della rara specie dei "Don Chisciotte". Molte delle sue avventure, soprattutto racconti o romanzi brevi pubblicati su periodici a partire dagli anni Settanta, sono oggi poco note o introvabili.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804544296
eBook ISBN
9788852059827

Una lama tra le nuvole

Con questo romanzo breve il processo di sostituzione di Poli Ugo a Sarti Antonio compie un altro decisivo passo, dopo il romanzo L’archivista. Poli, vice ispettore aggiunto e archivista nella stessa questura di Sarti, detto lo Zoppo per una gamba massacrata durante una sparatoria, è una sorta di personaggio maledetto da frustrazioni multiple, da misantropia e razzismo, ma dotato anche di un vero talento investigativo che esercita ormai per la propria distorta soddisfazione personale. È così, con un sorrisetto arcimaligno, che sigla le pratiche d’archivio, che contengono i tanti casi irrisolti dai colleghi normali, quelli per intenderci come Sarti Antonio. In questa storia i tic volutamente sgradevoli di Poli sono ridotti al minimo, perché fin dall’inizio il poliziotto è fagocitato da un evento al limite dell’assurdo e del fantastico. Insieme ad altri passeggeri egli è preso in ostaggio alla stazione di Bologna da terroristi del Bangladesh (sic!) e trasportato in aereo nello Sri Lanka (ancora sic!). Paradossalmente, su questo sfondo da film esotico di spionaggio si svolge invece una vicenda che potrebbe essere un giallo della “camera chiusa” di tradizione britannica. Ne risulta un divertente intrigo che distribuisce sberleffi alla moda delle vacanze esotiche, ai classici di Fleming e della Christie, a note figure dei “bassifondi” politici italiani. C’è poi l’impertinente ritrattino di un noto professore e scrittore, qui chiamato in modo trasparente “Umberto Come”, autore del saggio Metodologia e deformazioni ideologiche delle invenzioni popolari nel XII secolo. Un piccolo segno della ben più impegnativa sfida che Macchiavelli sta per intraprendere col “professore” e che sfocerà nel romanzo La Rosa e il suo doppio (1987).
Il TEE è in ritardo di oltre un’ora e Poli Ugo, vice ispettore aggiunto, è il più arrabbiato fra i passeggeri nella sala d’attesa di prima classe, stazione di Bologna. Per la verità ha in tasca un biglietto di seconda, ma voglio vedere chi avrà la faccia di importunarlo con una richiesta assurda: è zoppo, si appoggia a un bastone e ha l’aria incarognita di chi non può permettersi di perdere tempo. Raimondi Cesare, ispettore capo, non ha tenuto conto di questi fattori quando lo ha spedito a Roma. Non ne tenne conto neppure qualche anno fa, quando lo chiuse in un archivio della questura: «S’è mai visto, è vero come si dice, un vice ispettore aggiunto che va in giro a indagare con il bastone?». Poli Ugo tentò di spiegare che lui non indagava “con il bastone” ma con la testa, e che una gamba massacrata per motivi di servizio non ottenebra le facoltà mentali. Passò in archivio e ci sta ancora. Oggi l’ispettore capo lo ha spedito a Roma perché: «… è vero come si dice, un capo archivio ha il dovere di essere aggiornato sui moderni metodi elettronici di archiviazione». E Poli Ugo non si è opposto. Nei lunghi anni che ho passato accanto a lui, ho seguito i suoi aggiornamenti di carattere. Da quando, giovane funzionario rampante, si batteva per una promozione o un caso difficile, fino a quando, chiuso in se stesso, oggi, si prende le sue rivincite in privato. E il fatto di essere in archivio, lo aiuta: gli passano davanti tutti i casi che si sviluppano in città; ha in memoria i cittadini coinvolti con la questura. E non sono pochi. Risolve casi che i colleghi archiviano insoluti, ma si guarda dal comunicarlo al superiore. «Se i miei colleghi a due gambe non ci sono arrivati, non vedo perché rimediare io che ho una gamba sola e un bastone a sostegno dell’altra.» Archivia il caso risolto e va avanti così, prendendosi inutili e silenziose rivincite.
Oggi, più incarognito del solito, non si è comperato neppure il giornale e consuma il ritardo del TEE scandagliando i compagni d’attesa. Indica, con un gesto del capo e uno sguardo, un tale: «Bella compagnia». È seduto di fronte, distinto, elegante, raffinato e scommetto profumato; legge «Il Messaggero». «Ha un dossier alto così nel mio archivio.» È la prima volta che parla dell’archivio come “suo”. È sempre stato un “buco fetente”, un “archivio di merda” o, al più, quando era in buona, “il letamaio”. «Si chiama Florestano Canna, detto Pisello. Ne immagino il motivo. Un dossier alto così.» Il viso di Pisello non mi ricorda nulla, ma lo Zoppo chiarisce: «Sette anni fa aveva la barba ed era grasso. Ora fa ginnastica ogni giorno e si vede. Abbronzato e pieno di soldi». Continua a fissare Pisello e sul viso gli si stampa il sorriso che assomiglia ad una smorfia. Conosco il modo di sorridere e non mi piace. Pisello si sente osservato, alza gli occhi dal «Messaggero» e incontra lo sguardo ironico e la smorfia di Poli Ugo. È indeciso se ricambiare quella sorta di sorriso o tornare al giornale. Sceglie «Il Messaggero», ma è a disagio. «È stato implicato nel rapimento Fasolli, ma lo salvò la testimonianza di un medico il quale dichiarò che, al momento del rapimento, Pisello era ricoverato nella sua clinica. Il tribunale non si chiese come Pisello pagasse la degenza in una clinica di lusso se viveva di espedienti. A giudicare dall’aspetto, oggi gli va meglio.» La lunga ed esauriente spiegazione è una novità; lo Zoppo ha scarsa considerazione del sottoscritto e nessuna propensione a parlare quando non gliene venga un utile.
Chiuso l’argomento Pisello, Poli Ugo passa a un giovane delicato, pallido come una ragazzina e rasato di fresco: «Conosco anche quello». Poi c’è un professore universitario con tanto di barba incolta, occhiali e bozze dell’ultimo saggio da controllare e spedire all’editore. Sul frontespizio è scritto: Umberto Come – Metodologia e deformazioni ideologiche delle invenzioni popolari nel XII secolo. Un distinto signore dalla pelle scura consulta appunti in una scrittura incivile; una bella donna sommersa di giornali; un professionista si coccola amorosamente la ventiquattrore; un giovanotto dall’aria decisa sigla lettere, prende appunti e guarda troppo spesso dalla vetrata perché ha fretta di vedere ilTEE fermarsi al primo binario: il tempo è denaro. E c’è una hostess. Che sia hostess lo si deduce dall’abito che indossa e dal fatto che è giovane e carina come devono esserlo, per contratto, le hostess. Usa il treno per motivi suoi e a lei lo Zoppo riserva il suo particolare sorriso di circostanza.
La tranquillità di un mattino primaverile bolognese è rotta dall’ingresso violento di due giovani con il mitra in pugno. Lo portano con disinvoltura, devo riconoscere. Uno di loro si mette a lato della porta, protetto dal muro, e l’altro si pianta al centro della sala e grida: «Nessuno si muova! Siamo tigri del Bangladesh». È lui che comanda, il numero Uno. Si guarda attorno e si rivolge, con linguaggio incomprensibile per un bolognese medio, al distinto signore di pelle scura. Poche e veloci frasi e si mettono d’accordo. Il distinto signore deposita ai piedi del numero Uno il suo bagaglio, appunti compresi, e porge i polsi che vengono cinti dalle manette. Le reazioni degli altri passeggeri in attesa del TEE sono varie e istruttive del carattere: Pisello solleva i piedi dal pavimento e si stringe le ginocchia al petto; il docente universitario posa le mani aperte sulle bozze come a volerle difendere a costo della vita; la bella donna spalanca la bocca per gridare, ma non grida e cerca affannosamente gli occhiali fra i giornali. Li trova e li posa sul naso: è miope e vuol vedere chiaro nel suo futuro. Il professionista stringe al petto la ventiquattrore, il giovanotto deciso scarabocchia un incontrollato segno sull’intera pagina di appunti: è il grafico del suo sussulto e della sua paura. La hostess cerca, con lo sguardo, la via per fuggire. Che non esiste. E si rannicchia sul sedile. Il giovane delicato e pallido non si scompone: guarda i due terroristi e deve supporre che si tratti di uno scherzo di carnevale perché conserva il sorriso dolce sul viso. Si accorge che fanno sul serio e diventa ancor più pallido, ma si mantiene tranquillo. A Poli Ugo cade il bastone, ma si riprende e si china a raccoglierlo. Borbotta: «Il numero Uno lo conosco: uno studente pakistano segnalato».
«Tu, zoppo, che stai borbottando?» Oltre la vetrata appare, per un istante, la sagoma di un poliziotto della ferroviaria, armato. I due terroristi si addossano al muro, tenendo sotto tiro i passeggeri. «Tu, zoppo! Esci e di’ loro che non facciano cazzate o cominciamo a sparare.»
Prima di Poli Ugo si alza il signore con la ventiquattrore: «Mi permette, signor terrorista?». Si avvicina al numero Uno e gli porge il biglietto da visita: «Ecco, ritengo che fuori vi sarei più utile io di quello zoppo. Mi chiamo Delli Canti e sono chirurgo. Medico personale dell’onorevole…». Sussurra un nome all’orecchio del terrorista. «Una mia parola all’onorevole e otterrete più di quanto lo zoppo vi farebbe avere in un giorno di trattative.» Poli Ugo, vice ispettore aggiunto, non gradisce che lo si indichi con il nomignolo e il suo bastone arriva, secco e violento, sul fianco del professore: «Lui può chiamarmi zoppo: ha in mano il mitra. Tu no, bestia!». Nonostante il dolore, Delli Canti, piegato in due, non abbandona la valigetta. Si lamenta a occhi chiusi e si massaggia il fianco. Il numero Uno dice: «Ben fatto, zoppo, ma non ci provare più. Se qualcuno si muove troppo in fretta, come hai fatto tu, io sparo. D’accordo? Ora tu esci e dirai che abbiamo un esponente del governo del Bangladesh, oltre ai passeggeri. Voglio un pulmino davanti alla stazione e un aereo con dodici ore di autonomia, pronto al decollo. Tempo tre ore. Se no, ucciderò…». Cerca la prima vittima e la trova: «… il professor Delli Canti e getterò il corpo sul primo binario». La decisione sconvolge il professore; si alza e grida:
«Perché io? Siamo in tanti qui. Lei non sa chi sono io! Guardi che posso…» Non può nulla, lo sa e siede borbottando: «In caso di sparatoria, un medico sarebbe utile. Un medico è importante, come il prete».
«Se ci sarà una sparatoria, nessuno qui avrà necessità né di medico né di prete, professore. Calmati.» Per la verità, il professor Delli Canti è già calmo e si stringe al petto la preziosa valigetta. Borbotta a se stesso: «Ma perché lui fuori e non io?». Gli risponde Poli Ugo:
«Io sono zoppo, bestia. E uno zoppo è degno di rispetto.» A voce bassa: «Oltre a essere di peso». Zoppica verso la porta, l’apre lentamente, sporge il bastone e lo agita all’esterno perché non lo prendano a colpi di mitra appena metterà fuori anche la testa. Ci sarà l’intero nucleo Celere schierato lungo i binari. «Non sparate! Sto per uscire. Non sparate!» La prudenza non è mai troppa: lega un fazzoletto sulla punta del bastone e intanto cerca di calmare i colleghi di sventura: «State calmi e vedrò come si può venirne fuori». Dal suo sedile, il professor Delli Canti urla, e la sua voce è di nuovo isterica e gracchiante: «Intanto fuori ci vai tu. È comodo». Non gli basta e corre allo Zoppo, prima che il numero Uno glielo impedisca. Una raffica di mitra accarezza la testa di Poli Ugo e si perde nel cielo bolognese, oltre la porta spalancata. Il numero Due non ha ancora parlato, ma la raffica è stata più chiara delle parole. Il professore, appeso al collo di Poli Ugo, immobile e con gli occhi sbarrati, balbetta: «Mi ha preso?».
«No, ma al tuo posto chiederei il permesso prima di muovermi.» Il professore ha ben stretta nella destra la valigetta. Guarda il numero Uno: «Permette che dia al signore qui, alcuni consigli per farsi ascoltare là fuori?» e poiché il numero Uno non risponde, si sente autorizzato: «Chiedi di parlare con l’onorevole…». Sussurra all’orecchio e per i presenti il nome dell’onorevole resta un mistero. «Digli che io sono qui. Digli che mi faccia uscire.» Poli Ugo si toglie dall’abbraccio del professor Valigetta e agita oltre la porta il bastone con il fazzoletto bianco. Grida: «Non è successo nulla! Uno sbaglio! Ora esco».
«Hai capito? Che mi faccia uscire se non vuole che questi documenti…» Agita la valigetta oltre la porta perché la si veda dall’esterno. «… finiscano nelle mani sbagliate. E sarebbe un guaio per lui. Capito?» Senza volgersi indietro, Poli Ugo alza il bastone, ma il professore non vede il cenno d’intesa perché il numero Uno lo ha strappato all’interno, assieme alla preziosa ventiquattrore.
Io ho sempre seguito il mio personaggio, ma in questa occasione preferisco la sala d’attesa perché ho la sensazione che le cose più importanti si svilupperanno qui. Intanto ho l’opportunità di completare la conoscenza dei personaggi e di apprendere, per esempio, che i due terroristi sono oppositori del generale Ershad; che il signore in manette è un rappresentante del governo del generale e che si trova a Bologna dove aveva rappresentato l’editoria del suo paese alla Fiera del Libro. Editoria che, come si sa, ha vasti e riconosciuti meriti. Ora i terroristi intendono barattare l’esponente con alcuni compagni di lotta detenuti nelle prigioni di quel paese che Henry Kissinger chiamò la pattumiera del mondo. E può anche darsi che lo sia, ma è una pattumiera piena di morti.
La hostess si chiama Linda e ha paura esattamente come gli altri sequestrati, ma continua a offrire conforto e assistenza ai compagni di sventura: è il suo mestiere. Florestano Canna, detto Pisello, da quando ha veduto spuntare le armi, si è ritirato, come una lumaca, sul sedile di competenza e non si è più mosso. È nel suo carattere non mettersi in mostra. Il giovane pallido e rasato di fresco si chiama Romeo Quinni e più che un Romeo, a me pare una Giulietta, ma sono cose che riguardano solo lui. Il professore universitario ha tralasciato le bozze perché non riuscirà a spedirle all’editore. La bella donna è una giornalista e l’intervento armato le ha fatto perdere la sfilata di moda a Roma. Il giovanotto deciso è un dirigente di cooperativa ed era atteso a Cuba per un convegno su “la cooperazione dopo la rivoluzione”. Non arriverà in tempo e Fidel ne sarà contrariato. Come avete letto, tre ore spese bene. Come le ha spese bene Poli Ugo perché, senza spargimento di sangue, i terroristi escono dalla stazione, circondati e protetti da...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. di Massimo Carloni e Roberto Pirani
  4. SARTI ANTONIO FRA GENTE PERBENE
  5. Fra gente perbene
  6. Storia breve e molto semplice, da una storia lunga e più complessa
  7. Se non puoi frustare l’asino…
  8. Se d’estate si spara è colpa di Nicolini
  9. Il mistero della ragazza svanita a Porta San Vitale
  10. L’assurdo omicidio di uno studente modello
  11. Misteriosa scomparsa dell’imbianchino buono
  12. Un’epatite occasionale
  13. La mamma e le manette
  14. Dimenticare Riccione? Mai, portiamoci anche la cara estinta
  15. Girando attorno alla P 38. Dissertazioni inconcludenti fra il sottoscritto e Sarti Antonio
  16. Una lama tra le nuvole
  17. Una notte al Grand Hotel
  18. La colpa non è sempre del diavolo
  19. Un affare in alto mare
  20. Come è facile dire “ti amo”
  21. Da maggio a marzo…
  22. Nota biografica
  23. Cenni bibliografici
  24. Copyright