Dopo il pescecane
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Dopo il pescecane

  1. 140 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dopo il pescecane

Informazioni su questo libro

Un consigliere delegato, un primario ospedaliero, un aspirante mafioso, uno scippatore, un ufologo, persino la Lucia manzoniana… sono solo alcuni tra i protagonisti dei diciassette racconti che compongono questa raccolta, pubblicata nel 1979. Scritti tutti, tranne uno, in prima persona, essi narrano – come chiarisce l'autore – "situazioni e storie e personaggi che spesso esulano dalla comune esperienza". Come di consueto, Malerba fa della scrittura un'arma per creare paradossi, per allarmare il lettore e ottenere un effetto comico: un comico dissacrante, esplosivo, talora orrorifico, che rende Dopo il pescecane un libro "strano", inquieto e inquietante, ma capace di accendere il pensiero con lampi di profonde intuizioni. E soprattutto con inestinguibili interrogativi sul mondo e sull'uomo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804643944
eBook ISBN
9788852059988

Aster perennis

Questo rumore ormai fa parte della mia persona come i piedi piatti e altri piccoli difetti fisici come il neo che ho sul naso e il pomo di Adamo. Ma mentre i piedi piatti il neo sul naso e il pomo di Adamo sono difetti esterni, il rumore è un difetto interno, cioè viene da dentro e non da fuori. È un rumore della mente e non delle orecchie. Le orecchie non c’entrano. Infatti lo sento io solo. Quando ero ragazzo questo non lo sapevo e credevo che anche gli altri lo sentissero. Mi sembrava il rumore del tuono e dicevo avete sentito il tuono? I miei compagni si mettevano a ridere e dicevano guarda che noi non abbiamo sentito proprio niente. Questo rumore di tuono arrivava spesso nelle giornate di sole, con il cielo senza una nuvola, limpidissimo. Qualche volta i miei compagni mi prendevano in giro in un modo volgare e dicevano che questi rumori li facevo io. In un certo senso avevano ragione. Poi ho imparato a far finta di niente e a non parlarne più con nessuno.
Qualche mese prima della sua fine disgraziata, mio padre mi raccontò che ogni giorno a ore diverse, ma sempre prima del tramonto, sentiva un rumore come di qualcuno che bussava tre volte al vecchio portone della nostra casa di campagna a Radice. Capii subito che si trattava dello stesso rumore che sentivo io. Mi ricordo che stavamo camminando nel viale delle Rimembranze giù in fondo vicino all’edicola dei giornali e che io aprii la bocca per dirgli che lo stesso rumore lo sentivo anch’io, ma poi non dissi niente. Non ho mai avuto molta confidenza con mio padre, abbiamo sempre parlato poco e anche gli argomenti più urgenti venivano sempre rimandati a un altro momento. Non ci andava di parlare e non parlavamo quasi mai. Però quel giorno ho capito una cosa importante e cioè che si tratta di un rumore ereditario.
Da quando mio padre mi ha detto che lo sentiva anche lui, l’ho ascoltato con più attenzione e ho capito che assomiglia veramente al rumore di qualcuno che bussa al portone della nostra casa di campagna, anche se il rimbombo sembra lontano come quello del tuono.
Il rumore in sé non mi dà fastidio e dura così poco, al massimo cinque o sei secondi. Però ormai è entrato nella mia giornata e la divide in due, prima e dopo il rumore. Io sto lì a aspettare che arrivi e questa attesa è inerte, aspetto e basta. Tendo le orecchie come un cane da caccia e mi dico ecco che arriva ecco che sta arrivando e invece quasi sempre mi sbaglio e devo aspettare ancora molte ore.
Qualche volta faccio le scommesse con me stesso. Mi dico se arriva entro un quarto d’ora vado al cinema o al teatro, se invece non arriva entro un quarto d’ora farò un chilometro a piedi. È chiaro che in queste scommesse le probabilità sono tutte a mio sfavore e le perdo quasi sempre. Io però sono di parola e le scommesse le mantengo, così è quasi un anno che non vado al cinema e al teatro e, quel che è peggio, adesso mi trovo a dover fare trentadue chilometri a piedi. Sono rimasto indietro con il mio debito di chilometri prima di tutto perché con i miei piedi piatti faccio fatica a camminare, e poi perché quest’anno sono stato a letto dieci giorni con l’influenza. Almeno nel periodo dell’influenza non avrei dovuto fare le scommesse, questo è stato lo sbaglio. Ma non sapevo proprio che cosa fare, mi annoiavo, così ho fatto le scommesse e le ho perse tutte. Quando il mio debito sarà salito a quarantadue chilometri partirò da Piazza Venezia e andrò a piedi fino a Palestrina dove non sono mai stato.
Certe volte mi domando come è possibile che uno come me sprechi il suo tempo e le sue energie a aspettare questo rumore e peggio ancora a fare chilometri e chilometri di strada a piedi. Che senso ha? Dovrei smettere di fare queste scommesse, ma da quando quei mascalzoni mi hanno licenziato dall’ufficio non ho niente da fare, le mie giornate sono vuote.
Qualche volta il rumore mi raggiunge durante il sonno. Non parlo della notte perché il rumore arriva sempre prima del tramonto come succedeva anche a mio padre, ma quando mi appisolo nel pomeriggio. Dopo mangiato mi metto su una poltrona a leggere il giornale e spesso mi addormento. Se il rumore arriva mentre dormo, io mi sveglio di soprassalto. Questo succede dopo che ho capito da mio padre che il tuono non c’entra e invece stanno bussando al portone. Mi sveglio di soprassalto anche se sto dormendo nell’appartamento di città dove non c’è un portone ma una piccola porta a un solo battente e se uno vuole farsi aprire non ha che da suonare il campanello che è bene in vista a fianco della targhetta con il mio nome e cognome.
Nella casa di campagna invece c’è un vecchio portone pieno di paletti e catenacci. Se uno bussa fa proprio un rumore molto simile a quello che sento ogni giorno. Ho fatto la prova con un contadino. Mi sono chiuso in casa e gli ho detto di bussare forte tre volte con il pugno chiuso. La rassomiglianza è impressionante. Ho anche trovato la stanza da dove il rimbombo è uguale a quello che sento nelle orecchie. È la mia camera da letto al piano superiore.
La camera da letto della mia casa di campagna, quella dove adesso dormo io, è la stessa dove è stato ucciso mio padre. Gli assassini pare che fossero tre e sono rimasti impuniti. Non si sa che cosa volessero da lui perché mio padre non teneva mai denaro in casa e nemmeno oggetti di valore, d’oro o d’argento. Quei tre arrivarono di notte e bussarono al portone per farsi aprire. Mio padre sparò alcuni colpi di fucile dalla finestra tanto per spaventarli, e pensava di averli messi in fuga. Dopo un po’ si affacciò e questi gli spararono in faccia. Così perlomeno vennero ricostruiti i fatti dai carabinieri.
A un certo momento ho deciso di far finta di niente, come se non lo sentissi, ma ho capito subito che questo era impossibile. Stavo sempre lì a aspettarlo peggio di prima. Se fosse un rumore reale basterebbe tapparsi le orecchie con la cera, ma così invece non serve a niente, mi tappo le orecchie e lo sento lo stesso.
Un giorno in campagna guardavo un contadino che stava falciando gli argini e mi dicevo lui taglia l’erba con il falcetto e io con quello mi taglio tutte e due le orecchie. Ero proprio disperato, ma avrei fatto la più grossa stupidaggine della mia vita. Prima di tutto perché le orecchie non c’entrano come ho già detto, e poi perché rischiavo di finire in manicomio. Un pittore famoso è finito in manicomio per essersi tagliata una sola orecchia.
Per molto tempo ho preferito vivere in città perché il rumore continuo del traffico in qualche modo copre e confonde questo rumore che mi perseguita da quando sono nato. Ho tentato di coprirlo anche con la musica. Stavo lì a sentire la musica dalla mattina alla sera. Mettevo sul giradischi dieci microsolchi di canzonette e li sentivo tutti, uno dietro l’altro al massimo volume. Poi li giravo e ascoltavo le altre dieci facciate. Ascoltavo un po’ di tutto, da Caterina Valente a Nat King Cole che canta in spagnolo. Poi ho capito che è inutile barare. Da allora mi metto lì e aspetto il rumore come si aspetta il treno in una stazione quando il treno è in ritardo. Magari sfoglio un giornale o una rivista con i fumetti o con le donne nude, ma di solito preferisco stare fermo e in silenzio senza occuparmi di niente, senza leggere.
Quando il rumore è passato mi sento meglio, divento uno come tutti gli altri, mi muovo e faccio quello che devo fare. Di solito lo aspetto in pigiama oppure nudo, d’estate. Quando il rumore è passato allora mi vesto e se sono in città magari mi metto anche la cravatta, poi esco a fare due passi. Spesso vado nei negozi di attrezzi agricoli e di fertilizzanti a fare delle compere o semplicemente a curiosare. Se sono in campagna mi occupo delle mie querce o delle siepi intorno a casa o degli alberi da frutto. Quando lavoravo nell’ufficio, prima che arrivasse il rumore stavo lì immobile senza fare niente. Dopo che era passato mi mettevo a lavorare come una furia, lavoravo per quattro e guadagnavo il tempo perduto. Però mi hanno licenziato lo stesso, quei mascalzoni.
Oggi, per la prima volta da quando mi ricordo, non ho sentito il rumore. Sono rimasto seduto davanti a casa da questa mattina a guardare le macchine che passano nella strada in fondo alla valle. Ho la vista buona e riesco a distinguere anche da lontano la forma e il colore. Così passo il tempo.
A mezzogiorno sono entrato in casa una mezzora a mangiare pane e formaggio come i contadini e ho bevuto un bicchiere di vino rosso. Poi sono uscito di nuovo e mi sono seduto ancora davanti a casa. Qui in campagna l’occhio si riposa perché non c’è niente che luccica o che riflette il sole come in città i vetri delle finestre e delle automobili. Anche i colori qui sono opachi e riposanti, il bruno della terra, il verde dei prati e dei boschi, l’azzurro del cielo, mentre in città i cartelloni pubblicitari offendono la vista con i loro colori violenti. Qui si riposa anche la testa perché non ci sono rumori, salvo le cornacchie e i merli neri che in questa stagione vengono a beccare le nespole selvatiche.
Mi piace molto la campagna però questa di Radice non è la casa più adatta per una persona sola. Se sono tranquillo posso godermi la mia tranquillità, ma quando sono depresso come oggi, allora mi deprimo ancora di più. Siccome però mi deprimo anche in città, ho deciso di venirmi a stabilire qui, tanto più che in città non ho niente da fare da quando quei mascalzoni mi hanno licenziato.
Sto seduto davanti a casa e mentre aspetto il rumore guardo la mia siepe di biancospino che ho potato a metà e che dovrei finire di potare. Guardo le mie quercette che ho seminato due anni fa nel prato sotto casa e che avrebbero bisogno di una bella zappata e di un po’ di letame. In ottobre o novembre il letame e a marzo il concime chimico.
Quando hanno sentito che ho seminato le ghiande, i contadini qua intorno hanno fatto molte chiacchiere sul mio conto. Ma intanto le mie quercette crescono e in due anni sono già arrivate a sessanta e alcune a settanta centimetri. A novembre seminerò anche le castagne. Ho scoperto che i contadini odiano la terra e ancora più della terra odiano gli alberi. Allora bisogna che ce ne occupiamo noi di città sia della terra che degli alberi. I castagni crescono più rapidamente delle querce. Fra venti anni saranno dei veri alberi e fra cento saranno degli alberi giganteschi. Solo che ci vuole la pazienza di aspettare, ma questa a me non manca.
A mio padre più degli alberi piacevano i fiori e conservo ancora un vaso con la radice di un aster perennis. Ogni anno a primavera mette fuori i germogli e alla fine dell’estate fa i fiori. A me i fiori non mi interessano perché durano poco mentre gli alberi durano molto, anche dei secoli. Però questo aster perennis è durato più di mio padre, è ancora vivo mentre lui è morto per via di quei tre assassini.
Proprio di fronte alla mia casa, poco più in là del fosso, c’è una cava di tufo abbandonata da tanti anni. È rimasta una parete tagliata nella collina, a strapiombo, alta una decina di metri e lunga almeno duecento. I segni dei blocchetti ritagliati la fanno sembrare una grande muraglia come di un castello o di una città medievale. Contro questa muraglia rimbalzano i rumori e le voci con effetti bellissimi di eco che si ripete fino a cinque o sei volte nelle giornate serene e senza vento. Il silenzio della campagna fa risaltare più netto e preciso il mio rumore e quando mi trovo nella posizione favorevole succede che anche lui si ripete fino a quattro o cinque volte per effetto dell’eco. Così i colpi contro il portone invece di tre diventano dodici o quindici. Cioè succede con il mio rumore quello che succede con i rumori reali e questa mi sembra una gran stranezza perché il mio rumore non viaggia sulle onde sonore come ho già spiegato.
Su questo rumore ho deciso che devo sapere tutto, devo studiarlo a fondo. Peccato che non ho parlato con mio padre se per caso lo sentiva anche mio nonno e mio bisnonno. Se è veramente ereditario, allora da quante generazioni ce lo trasmettiamo in famiglia? Da dove viene? Da quanti secoli va avanti questa storia? Sarei curioso di sapere anche che cosa succederà per le generazioni future. Dovrei avere un figlio per vedere se lo sente anche lui. O farà come ho fatto io con mio padre che non gli ho mai detto niente? Per avere questo figlio però devo trovare una ragazza e sposarla. Dove la trovo? In città nemmeno da pensarci. Le ragazze che ho conosciuto nell’ufficio sono tutte una più odiosa dell’altra, si danno una quantità di arie e non verrebbero mai a abitare in una casa di campagna come questa dove non ci sono gli scaldabagni e i pavimenti di maiolica. Siccome io non ho pregiudizi posso anche sposare una contadina figlia di contadini, e appena mio figlio sarà in grado di parlare mi farò dire se sente il rumore. Cercherò di diventare suo amico e di parlare con lui, non voglio che succeda come fra me e mio padre che non ci parlavamo quasi mai.
Sono venuto qui in campagna perché qui mi è più facile riflettere su tutte queste cose che riguardano il mio rumore. Sto prendendo degli appunti su un quaderno, faccio un quadro statistico mettendo in relazione il mio rumore con le condizioni atmosferiche, con i quarti della luna, l’altitudine sul mare e sopratutto con il mio stato fisico personale. Poi ne parlerò con qualcuno, ma non so proprio con chi. Con chi si parla di un fatto come questo? Forse con il medico. Però non sono malato. A parte i piedi piatti io sto benissimo di salute. Con il prete? Io ho molta stima di Dio, ma ai preti non ci credo.
Oggi mi sono deciso a scrivere sul mio quaderno questa specie di storia del mio rumore preso un po’ sulle generali. La ragione è quella che ho già detto: il sole è ormai tramontato da due ore e lui non si è fatto sentire. È la prima volta che succede.
La campagna qua intorno è al buio completo, fatta eccezione per una luna fiacca e per le luci delle macchine che passano nella strada giù in fondo alla valle. C’è un gran silenzio. Al tramonto ho portato in casa la seggiola sulla quale ho passato la mia giornata a aspettare, ho chiuso il portone con tutti i catenacci come faccio ogni sera, e mi sono seduto al piano di sopra nella mia camera da letto, vicino alla finestra.
Proprio in questo momento, mentre sto scrivendo sul mio quaderno alla luce della luna, mi sembra di sentire dei passi da fuori. Qualcuno si sta avvicinando alla casa. Si direbbe che sono in due o in tre. Si sente scricchiolare il lapillo sotto le suole delle scarpe. Il lapillo è una specie di ghiaia molto porosa che ho fatto mettere intorno a casa così non si forma il fango quando piove. Direi proprio che sono in tre, ma non voglio affacciarmi se prima non so chi sono e che cosa vogliono. È un’ora strana per andare a casa della gente.
Silenzio. Si vede che si sono fermati. Dovrebbero trovarsi proprio qua sotto, vicino al portone. Io sto fermo e aspetto al buio. Se vogliono qualcosa chiameranno. Niente. Mi alzo in punta di piedi e tiro giù il fucile appeso a un chiodo sopra la testiera del letto. Questo di tenere il fucile sopra il letto è una vecchia abitudine dei contadini che aveva mio padre e che io ho conservato. Spero di non doverlo usare, però non è da escludere perché se fossero degli amici o dei contadini dei dintorni a quest’ora avrebbero chiamato invece di fare tutto questo mistero. Del resto io non ho amici da queste parti, posso dire che non conosco nessuno salvo un contadino che viene a portarmi il letame con il carro in autunno o a farmi i lavori più pesanti come scavare le buche per mettere i nuovi alberi da frutto. Allora chi sono questi tali? E che intenzioni hanno? Me lo domando mentre continuo a scrivere al buio, cioè alla luce della luna.
Adesso risento i passi. Stanno facendo il giro intorno alla casa. Forse cercano una finestra al piano terra per entrare, ma si sbagliano perché da allora, da quando è successo il fatto di mio padre, ho fatto mettere delle robuste ferrate a tutte le finestre basse. Non entreranno dalle finestre del piano terra. Se per caso hanno portato una scala per arrampicarsi al primo piano dove sto io, li accoglierò a fucilate. Ma forse stanno girando intorno alla casa sperando che io non resista alla tentazione di affacciarmi alla finestra. Anche in questo caso si sbagliano perché io non mi affaccerò. Non voglio fare la fine di mio padre.
Forse mi conviene sparare un colpo in aria per fargli sapere che sono armato. Ecco che adesso sono ritornati davanti al portone. Si avvicinano, ma tanto da lì non entreranno. Sono sicuro di averlo chiuso bene e per quanto vecchio non riusciranno a sfondarlo. È di quercia. Mi sembra adesso di sentirli parlare sottovoce, ma non riesco a capire che cosa dicono.
Finalmente succede quello che aspettavo da un po’. Uno di loro batte tre colpi al portone con il pugno, tre colpi che rimbombano nell’aria e la fanno vibrare. Il rumore è esattamente lo stesso che sento tutti i giorni, con la differenza che questa volta è un rumore reale, cioè viene da fuori e non da dentro. Intanto anche oggi è arrivato.
Secondo loro dovrei andare giù a aprire il portone. Se no perché avrebbero bussato? Invece di scendere io punto il fucile contro un vetro della finestra e sparo un colpo. Ho sparato. Adesso rimetto in canna un’altra cartuccia così ho pronti due colpi per ogni eventualità. Ancora mi fischiano le orecchie per il rimbombo dell’esplosione dentro la stanza. Sparare in un ambiente chiuso fa male alle orecchie, ma dovevo farlo.
Da fuori non si sente più nessun rumore. Silenzio totale. O stanno immobili o sono scappati. Potrebbero essere scappati e io non averli sentiti per via di questo fischio che mi è rimasto nelle orecchie. Secondo me sono proprio scappati. Però, prima di affacciarmi aspetterò che venga la luce del sole. Ho una grande curiosità di sapere che cosa stanno facendo, ma non voglio rischiare di prendermi una fucilata in faccia. Questi tipi che girano di notte nelle campagne sono capaci di tutto.
È passata forse un’ora e non ho sentito più niente. Perché dovrebbero stare ancora qua sotto? O cercano di entrare o se ne vanno. Secondo me se ne sono andati. Oppure si sono acquattati contro il muro e aspettano che io mi affacci per spararmi a tradimento. Ma perché dovrebbero farlo? In ogni caso, da quando ho sentito il mio rumore io sto meglio, ho voglia di muovermi, di fare qualcosa. Potrei aprire la finestra e sparare due colpi in aria per vedere se si muovono. Se non si muovono vuol dire che non ci sono più, cioè sono scappati fin da quando ho sparato il primo colpo. Per essere sicuro di questo dovrei affacciarmi.
Magari mi affaccio a una finestra sul dietro della casa. Questa mi sembra una buona idea. Però l’ultima volta che li ho sentiti stavano davanti al portone. Allora dovrei affacciarmi dalla camera da letto. Proverò a aprire la finestra piano piano, senza fare rumore. Devo stare molto at...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Oscar scrittori moderni
  4. Introduzione di Paolo Mauri
  5. DOPO IL PESCECANE
  6. Dopo il pescecane
  7. Gli avvoltoi
  8. Mafioso
  9. Bakarak
  10. Due miliardi
  11. Il pilota
  12. Il gioco dello scippo
  13. Gorilla
  14. Il marito femminista
  15. L’ufologo
  16. La trama
  17. La risata
  18. Il mostro
  19. Autobiografia di una sardina
  20. Aster perennis
  21. Cento scudi d’oro
  22. Il favoloso Andersen
  23. Copyright