
- 336 pagine
- Italian
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La serie infernale
Informazioni su questo libro
Poirot riceve una lettera in cui un anonimo, che si firma A.B.C., gli comunica che ad Andover avverrà un assassinio, cosa che accade realmente. Fa seguito una seconda lettera che avverte di un crimine a Bexhill, quindi una terza che anticipa un omicidio a Churston. La serie di delitti sembra intenzionata a continuare. E Poirot, per indagare, organizza una squadra di investigatori con i parenti delle vittime. (1890-1976) è la più famosa giallista al mondo e una delle più prolifiche autrici di ogni tempo: ha al suo attivo circa ottanta opere tradotte in più di cento lingue, e oltre due miliardi di copie vendute.
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Informazioni
Print ISBN
9788804649090eBook ISBN
9788852061615CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
Eravamo tutti raccolti intorno a Poirot e stavamo ascoltando con attenzione spasmodica le sue spiegazioni conclusive su questo caso misterioso.
«Devo ammettere» cominciò «che, fin dal principio, è stato soprattutto il “perché” di questa faccenda a preoccuparmi. Qualche giorno fa Hastings mi ha detto che il caso poteva considerarsi risolto. E io gli ho risposto che “il caso era l’uomo”! Qui non si trattava del mistero di tutti questi delitti, ma del mistero di A.B.C. Per quale motivo aveva giudicato necessario commettere questi delitti? E perché aveva scelto me come avversario?
«Che si trattasse di uno squilibrato non è una risposta soddisfacente. Dire che un uomo commette delle azioni insane perché non è sano di mente è soltanto stupido e irrazionale. Un pazzo può essere altrettanto logico e ragionevole nelle sue azioni quanto un uomo che abbia il cervello a posto… considerato, naturalmente, il suo particolare punto di vista. Facciamo un esempio: se un tizio si ostina ad andare in giro portando, come unico indumento, uno straccio intorno ai fianchi come un perizoma, è logico che venga considerato come minimo un po’ eccentrico! Ma, se poi si viene a sapere che costui è fermamente convinto di essere il Mahatma Gandhi, il suo modo di comportarsi diventa perfettamente logico e ragionevole.
«Nel nostro caso, quindi, era necessario cercare di immaginare una determinata mentalità, per la quale fosse logico e ragionevole commettere quattro o anche più delitti, oltre a darne anticipatamente l’annuncio per lettera a Hercule Poirot.
«Il mio amico Hastings potrà confermare che, subito, fin dalla prima lettera che ho ricevuto, ne sono rimasto sconvolto e turbato. Sin dal primo momento mi parve che ci fosse qualcosa che non quadrava in quella lettera!»
«E avevate pienamente ragione» osservò Franklin Clarke asciutto.
«Già. Però, vedete, fin dal primo momento ho commesso un errore gravissimo. Ho lasciato che questa sensazione… per quanto fosse molto forte… rimanesse tale. L’ho considerata una specie di intuizione. Ma, in un cervello raziocinante ed equilibrato, l’intuizione non esiste… non esiste quella che potremmo definire un’ipotesi che formuliamo in seguito a un’ispirazione improvvisa! Naturalmente chiunque può formulare un’ipotesi… che in seguito risulta giusta o sbagliata. Se è giusta, la si chiama intuizione. Se è sbagliata, in genere, ci si guarda bene dal parlarne ulteriormente! Però, capita spesso che quella che viene definita intuizione sia, in realtà, un’espressione basata su una deduzione logica o su un’esperienza. Quando un esperto ha la sensazione che ci sia qualche cosa che non lo convince in un quadro o in un mobile oppure nella firma di un assegno, non fa che trovare la conferma di quella sensazione in un certo numero di piccoli segni caratteristici e di minutissimi dettagli. Non ha bisogno di esaminarli minuziosamente perché gli basta l’esperienza… Il risultato, in ogni caso, è sempre lo stesso: una netta impressione che qualcosa non quadrava. Questa non è più “un’ipotesi”, ma un’impressione fondata “sull’esperienza”.
«Eh bien, adesso posso ammettere di non aver preso nella giusta considerazione la prima lettera. Quello strano messaggio suscitava in me una profonda inquietudine. La polizia l’aveva considerata un semplice scherzo. Io, invece, no. L’ho presa sul serio. Mi ero convinto che, ad Andover, sarebbe avvenuto un delitto, né più né meno come mi si scriveva in quella lettera. Come ben sapete tutti, un delitto venne effettivamente commesso.
«Naturalmente, a questo punto mi ero già accorto che eravamo nell’impossibilità di scoprire chi fosse l’assassino. Quindi l’unica strada che mi si apriva era quella di cercar di capire quale genere di persona fosse.
«Qualche indicazione c’era. La lettera, il modo in cui era stato commesso il delitto, la persona assassinata. Quello che dovevo scoprire erano il movente del delitto e il motivo per il quale era stata scritta la lettera.»
«Smania di far parlare di sé!» insinuò Clarke.
«Già, sarebbe pienamente giustificata dal suo complesso d’inferiorità» aggiunse Thora Grey.
«Precisamente. Era evidente che bisognava orientare le indagini in questo senso. Ma perché scrivere proprio “a me”? Perché annunciarlo a Hercule Poirot? Se voleva che la notizia fosse strombazzata ai quattro venti, perché non rivolgersi direttamente a Scotland Yard? O, meglio ancora, a un giornale? Forse un giornale non gli avrebbe pubblicato la prima lettera ma, all’epoca del secondo delitto, ormai A.B.C. si sarebbe assicurato tutta la pubblicità che poteva desiderare. Allora, ripeto, perché scegliere Hercule Poirot? C’era di mezzo, forse, qualche motivo “personale”? Effettivamente, nella prima lettera si poteva scorgere una velata antipatia per tutto ciò che era straniero… A ogni modo, non mi parve una spiegazione soddisfacente.
«Poi è arrivata la seconda lettera… seguita dall’assassinio di Betty Barnard a Bexhill. A questo punto mi è apparso chiaro quello che avevo sempre sospettato, e cioè che il procedimento seguito dall’assassino per i suoi delitti era quello dell’ordine alfabetico. Questo fatto, però, anche se ad altri sembrava un elemento definitivo, per me non forniva una risposta alla questione principale. Che cosa spingeva A.B.C. a commettere quei delitti?»
Megan Barnard si agitò sulla seggiola.
«Non esiste quella che si chiama… la mania omicida?» domandò.
«Avete perfettamente ragione, Mademoiselle!» esclamò Poirot voltandosi verso di lei. «Effettivamente “esiste” il desiderio diabolico di uccidere. Bisogna dire, però, che è una spiegazione non adatta al nostro caso. Chi soffre di questa mania omicida, in genere, prova il desiderio di uccidere quante più persone è possibile. Si tratta di un bisogno irresistibile, che lo coglie periodicamente. In questo caso, però, la tendenza dell’assassino è quella di far scomparire le proprie tracce… non di annunciare pubblicamente i propri futuri misfatti. Ora, se prendiamo in considerazione le quattro vittime prescelte o, almeno, le prime tre (perché sappiamo molto poco del signor Downes come del signor Earlsfield) vediamo subito che l’assassino, se avesse voluto, avrebbe potuto farla franca e non sollevare il minimo sospetto. Franz Ascher, Donald Fraser o Megan Barnard ed, eventualmente, anche il signor Clarke… ecco le persone sulle quali sarebbero caduti immediatamente i sospetti della polizia, se non avessero avuto in mano prove tanto lampanti che l’assassino andava cercato altrove. Nessuno avrebbe mai pensato a un omicida folle e sconosciuto, vero? E, allora, che necessità aveva costui di richiamare l’attenzione su di sé? Perché lasciare vicino a ogni cadavere una copia dell’orario delle ferrovie A.B.C.? “Che cosa” l’obbligava a farlo? Soffriva, forse, di qualche complesso legato all’orario delle ferrovie?
«A questo punto mi sono accorto di non riuscire assolutamente a capire quale fosse la mentalità dell’assassino. Possibile che lo facesse unicamente per magnanimità? Oppure per la paura che la colpa dei suoi delitti ricadesse su una persona innocente?
«Nel frattempo, pur non trovando risposta alla questione principale, cominciavo a raccogliere parecchi elementi che mi permettevano di formarmi un concetto, ancora piuttosto vago, della personalità dell’assassino.»
«E quali sarebbero?» gli domandò Fraser.
«Prima di tutto… aveva una mente ordinata e precisa. Il fatto che i suoi delitti si seguissero in ordine alfabetico doveva avere, evidentemente, una grande importanza per lui. D’altra parte, però, bisogna osservare che non dimostrava una predilezione speciale per un determinato tipo di vittime: Alice Ascher, Betty Barnard, Sir Carmichael Clarke non avrebbero potuto essere più diversi l’uno dall’altro! Non solo, ma non doveva soffrire di un complesso verso un particolare sesso o una particolare fascia di età, nella scelta delle sue vittime, e questo mi è sembrato subito un fatto molto curioso. Quando un uomo uccide indiscriminatamente, di solito lo fa per togliere di mezzo chiunque gli sia di ostacolo o lo infastidisca. L’ordine alfabetico, invece, ci dimostrava che il nostro era un caso ben diverso. Infatti questo tipo di assassino di solito predilige un genere particolare di vittima, quasi sempre del sesso opposto. La scelta casuale delle vittime mi sembrava in stridente contrasto col criterio alfabetico.
«Intanto si faceva strada nel mio cervello un’altra piccola deduzione. La scelta dell’orario A.B.C. mi faceva pensare che l’assassino avesse il pallino delle ferrovie. In genere capita più facilmente fra gli uomini, non fra le donne. Di solito i treni piacciono di più ai maschietti che alle bambine. Anche questo poteva essere indizio di una mentalità che, sotto certi aspetti, era rimasta immatura. Il motivo “infantile” mi pareva predominante.
«In seguito anche l’assassinio di Betty Barnard e il modo in cui è stato compiuto mi hanno fornito qualche altra indicazione. Soprattutto il modo usato per ucciderla (e vi prego di perdonarmi, signor Fraser!). Prima di tutto la povera ragazza è stata strangolata con la sua stessa cintura… di conseguenza si poteva avere la quasi completa certezza che fosse stata uccisa da una persona con la quale doveva essere in rapporti intimi, di amicizia o di affetto. Secondariamente, quando ho potuto sapere qualcos’altro sul carattere della ragazza, il quadro di ciò che era accaduto si è fatto più chiaro.
«Betty Barnard era una ragazza un po’ civetta, che amava farsi corteggiare da uomini attraenti. Quindi il nostro A.B.C., per richiamare la sua attenzione e persuaderla a uscire con lui, doveva essere un uomo piuttosto affascinante… oh, il sex appeal! Insomma, doveva saper sfruttare il proprio fascino per fare colpo. E doveva far scattare la molla dell’interesse nelle ragazze! Non è difficile immaginare come dev’essersi svolta la scena sulla spiaggia: l’uomo comincia ad ammirare la cintura della povera Betty. Lei se la toglie per mostrargliela e lui, fingendo di scherzare, gliela passa intorno al collo… Magari dice anche: “Adesso ti strangolo!” Tutto sempre con lo stesso tono scherzoso di prima. Lei ridacchia… lui stringe…»
Donald Fraser si alzò in piedi di scatto. Era livido.
«Monsieur Poirot… vi supplico… per amor di Dio!»
«Basta così. Ho finito» rispose Poirot, cercando di calmarlo con un gesto. «Non aggiungo altro. E adesso passiamo al delitto successivo, l’assassinio di Sir Carmichael Clarke. In questo caso l’omicida torna al suo primo metodo: un colpo che gli fracassa la testa. Abbiamo, anche qui, il solito complesso per l’ordine alfabetico, però c’è un piccolo particolare che mi preoccupa. Per essere rigorosamente coerente, l’assassino avrebbe anche dovuto scegliere i nomi delle varie località secondo una sequenza più regolare.
«Per esempio, fra le località elencate sotto la lettera A, Andover è al 155° posto. In tal caso la località che cominciava per B avrebbe dovuto trovarsi anche questa al 155° posto, oppure essere al 156° e quella il cui nome cominciava per C trovarsi al 157°. Invece anche in questo caso sembrava che le varie città fossero state scelte un po’ a caso.»
«Non pensate di essere un po’ prevenuto su questo argomento, Poirot?» insinuai. «Siete la persona più metodica e ordinata del mondo… a un livello quasi patologico!»
«No, niente affatto! Non è patologico! Quelle idée! Per quanto, posso ammettere di aver dato, forse, un’eccessiva importanza a questo punto ma… passons!
«Il delitto di Churston non mi ha fornito alcun elemento. Però non dobbiamo dimenticare che, in quell’occasione, siamo stati sfortunati perché la lettera che ce lo annunciava, per un disguido, mi è stata consegnata in ritardo e non abbiamo potuto fare i preparativi necessari.
«Ma, quando venne annunciato il delitto successivo, quello di Doncaster, avevamo messo a punto un piano di difesa formidabile. E il nostro A.B.C. deve aver capito che non poteva illudersi di farla franca ancora per molto.
«Fu a questo punto, inoltre, che l’indizio delle calze richiamò la mia attenzione. Era evidente che la presenza di un commesso viaggiatore che vendeva calze nelle vicinanze della scena del delitto non poteva essere soltanto una coincidenza fortuita. Quindi il rivenditore di calze doveva essere l’assassino. Dirò, per di più, che la descrizione che mi aveva dato di lui la signorina Grey non corrispondeva assolutamente all’immagine che io mi ero fatto dell’uomo che aveva strangolato Betty.
«Adesso sorvolerò sul resto di questa vicenda. Un quarto delitto viene commesso – la vittima si chiama George Earlsfield – e si pensa a un errore del nostro A.B.C. perché un individuo, di nome Downes, più o meno della stessa corporatura e dello stesso aspetto fisico, gli era seduto accanto in quel cinematografo di Doncaster.
«Ma, finalmente, ecco che qualcosa cambia. La fortuna, che finora ha favorito il nostro A.B.C., comincia a voltargli le spalle. Viene identificato… gli si dà la caccia… ed eccolo finalmente arrestato.
«Il caso, come ha detto Hastings, è risolto!
«Può anche essere vero agli occhi del grosso pubblico. L’assassino è in prigione e verrà internato, quanto prima, nel manicomio criminale di Broadmoor. Non ci saranno più delitti. Fine! L’assassino esce di scena.
«Ma, per me, non è finita! Mi accorgo che non so niente… niente del tutto! Perché non conosco né il perché né il percome delle azioni dell’assassino.
«Come se ciò non bastasse, c’è un altro fatterello che mi persuade poco. Cust ha un alibi per la notte in cui è avvenuto il delitto di Bexhill.»
«Già! È quello che mi ha sempre dato fastidio» esclamò Franklin Clarke.
«Infatti. Dava fastidio anche a me. Perché il suo alibi aveva tutta l’aria di essere autentico. Eppure, secondo i nostri calcoli, non poteva esserlo… e, di questo passo, si arriva a un paio d...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Premessa del capitano Arthur Hastings
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Capitolo undicesimo
- Capitolo dodicesimo
- Capitolo tredicesimo
- Capitolo quattordicesimo
- Capitolo quindicesimo
- Capitolo sedicesimo
- Capitolo diciassettesimo
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo diciannovesimo
- Capitolo ventesimo
- Capitolo ventunesimo
- Capitolo ventiduesimo
- Capitolo ventitreesimo
- Capitolo ventiquattresimo
- Capitolo venticinquesimo
- Capitolo ventiseiesimo
- Capitolo ventisettesimo
- Capitolo ventottesimo
- Capitolo ventinovesimo
- Capitolo trentesimo
- Capitolo trentunesimo
- Capitolo trentaduesimo
- Capitolo trentatreesimo
- Capitolo trentaquattresimo
- Capitolo trentacinquesimo
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