Il Buddha ribelle
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Il Buddha ribelle

Guida per la rivoluzione della mente

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il Buddha ribelle

Guida per la rivoluzione della mente

Informazioni su questo libro

In ognuno di noi c'è un innato spirito di ribellione. Fa parte della nostra persona e, se alimentato da saggezza e compassione, ha il potere di liberarci dalla paura e dall'infelicità. È la voce della nostra mente desta. È il nostro Buddha ribelle, l'acuta e limpida intelligenza che si oppone alla condizione di illusorietà in cui ci muoviamo normalmente, che ci riscuote dalla passiva accettazione dell'ingannevole realtà di tutti i giorni, svelandoci la forza della nostra natura illuminata. È la penetrante energia che ci spinge a cercare la verità e a incamminarci sulla via che conduce alla libertà. In un agile volume che raccoglie, rielaborandoli, i temi di due cicli di lezioni tenuti negli Stati Uniti, Dzogchen Ponlop ci guida nella rivoluzione interiore che il nostro Buddha ribelle ha la capacità di operare. Fornendoci dettagliate istruzioni per la meditazione, questo grande maestro ci mostra poi come tramite l'addestramento della mente e la comprensione della nostra vera natura possiamo emanciparci da un'inutile condizione di sofferenza e dalle nevrosi che ci affliggono quotidianamente. Ci offre quindi un'esauriente introduzione all'essenza degli insegnamenti del Buddha, affrancandoli dall'alone di religiosità che talvolta rischia paradossalmente di offuscarne il senso, e spiegandoci che, se vogliamo trasporli nella nostra esperienza personale, dobbiamo sottrarci alla tentazione di emulare i rituali e il modello culturale del buddhismo asiatico tradizionale per segnare una nostra via al risveglio, all'illuminazione. Dzogchen Ponlop spazza via quindi i vecchi miti per presentare la vera essenza degli insegnamenti del Buddha e, con una chiarezza e un'autorevolezza non comuni, prospetta al buddhismo occidentale un futuro promettente. «Tutti noi desideriamo scoprire la verità profonda sulla nostra identità e non ci stanchiamo mai di cercarla, ma per trovarla dobbiamo necessariamente lasciarci guidare dalla nostra stessa saggezza, dal Buddha ribelle dentro di noi.»

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804648000
eBook ISBN
9788852060625
X

Il cuore altruista

Qualche volta si dice che il mondo è grande, altre che il mondo è piccolo. Comunque la si pensi, sappiamo che su questa terra c’è moltissima gente e che ci sono tanti tipi di sofferenza quanti sono gli abitanti del pianeta. Indipendentemente dal fatto che venga da fuori o da dentro, spesso la sofferenza è acuita dal senso di solitudine e di abbandono che porta con sé. Soffrire fa sentire privi di amici. Quando apriamo il nostro cuore agli altri, l’intensità della sofferenza che incontriamo può risultare insostenibile. Il nostro spirito d’amore e compassione può uscirne scosso. È utile allora ricordare come talvolta la più efficace medicina che possiamo offrire per contrastare qualsiasi tipo di sofferenza sia semplicemente la gentilezza. La gentilezza è un modo per dire: «Non sei solo. Ti ho visto, ti ascolto, sono con te». Fosse anche solo per un momento o per un giorno, questo senso di autentica vicinanza può cambiare la traiettoria di una vita. Essere sinceri e gentili è come dispensare un farmaco ad ampio spettro contro il dolore che affligge i cuori. Dare cibo, riparo e lavoro è importante, e bisognerebbe provvedere anche a questo, nella misura del possibile. Se siete nella posizione di poter soddisfare anche solo una di queste necessità, non tiratevi indietro. Ma essere sinceri e gentili è nella disponibilità di tutti noi.
Per essere in grado di offrire gentilezza agli altri, dobbiamo innanzi tutto imparare a essere gentili con noi stessi. Solo a quel punto possiamo rivolgerci agli altri ed estendere loro la stessa cordialità. Ancora una volta, cercare di aiutare il prossimo non significa proporsi di salvarlo, nel senso di metterlo su quella che a nostro giudizio è la «retta via». Se si vuole davvero salvare qualcuno, l’unica strada consiste probabilmente nell’essere sinceri e gentili. Non si salvano le persone spingendole verso la meta che si ha in mente per loro. Se agite con questa finalità, la vostra opera sarà più simile a quella di un missionario religioso che a quella di un buon amico. L’idea di porsi come un salvatore nasce da una notevole componente di egocentrismo, oltre che da una visione teistica. Si può anche pensare: «Voglio salvare Tizio o Caio in quanto uomini, non mi propongo di salvare la loro anima». In tal caso si sta forse usando un’etichetta diversa, ma l’impostazione e le relative azioni rimangono più o meno le stesse.
È invece possibile rapportarsi agli altri come buoni amici. Se avete un buon amico, sapete bene che quella persona cercherà sempre di essere presente e disponibile ogniqualvolta vi serva aiuto. Il vostro amico non è lì per cercare di convertirvi o di salvarvi, ma solo per darvi manforte e facilitarvi la vita. Quando una persona cerca di salvarne un’altra, i rapporti possono anche deteriorarsi. Si può tentare di sollevare un amico dal dolore, dalla depressione o anche solo dalla sventura di avere idee politiche sbagliate, ma in ogni caso bisogna rispettare l’integrità di ciascun individuo e tenere conto dei propri limiti in termini di conoscenza. D’altro canto, spesso l’unica cosa che si può offrire, e che occorre offrire, è proprio la gentilezza. Un cuore buono e gentile può dissolvere le barriere che ci separano. Quando si percepisce dentro di sé il timbro della gentilezza autentica e si è in grado di comunicarlo a un’altra persona, questa, per quanto difficile o triste possa essere la sua situazione, riceverà un benefico senso di calore e di pace.
Il nostro apprezzamento per questo mondo, che ci dà tanta sofferenza e tanta gioia, è solo l’inizio di un’avventura ben più grande. Una volta che mente e cuore si sono schiusi, uniti e alleati, diventiamo più audaci e coraggiosi, avanzando su una strada che da un senso di positivo appagamento ci porta a una visione totalmente altruista. Questo, ovviamente, non accade dall’oggi al domani, ma tramite un graduale intervento sulle nostre abitudini. Se ci abituiamo a guardare gli altri con una disposizione positiva, questa tendenza diventerà sempre più forte. E se prendiamo l’abitudine di guardare il mondo attraverso le lenti del disinteresse, anche questo atteggiamento si farà più forte. La combinazione di queste due abitudini trasformerà l’inclinazione all’egoismo in sollecitudine compassionevole e disinteressata per gli altri.
Compassione e altruismo sono due realtà differenti? Anche se dal punto di vista del buddhismo sono la stessa cosa, nello specifico il termine «altruismo» implica un’espansione del nostro spirito di compassione tale da indurci a perseguire il benessere degli altri. Questo non significa smettere di perseguire il nostro benessere; di fatto, però, tendiamo ad anteporre i bisogni degli altri alle nostre necessità e ai nostri desideri: se stiamo pranzando con qualcuno, ci viene spontaneo servire tutti gli altri prima di noi stessi; se siamo in lista d’attesa per un’operazione, non cerchiamo di sopravanzare gli altri, e se c’è qualcuno che ha più bisogno di noi, lo lasciamo passare avanti. Quanto al potere e al denaro, poi, siamo felici di vederli nelle mani di chi sa usarli saggiamente, a vantaggio di tutti, al di là che a beneficiarne siamo noi stessi o qualcun altro. Il vero altruismo, insomma, scaturisce da uno stato di equilibrio interiore. Si è in pace con se stessi e si è contenti di ciò che si ha. Trascesa l’ossessiva attenzione verso se stessi, si è più calmi e felici. Donare riesce spontaneo ed è fonte di gioia.

L’avventura dell’amore

Se in teoria tutto ciò è stupendo, in realtà sembra poco credibile. Ritratti ideali di questo tipo sono di qualche utilità, se poi non conosciamo nessuno che sia davvero capace di incarnarli? Forse il punto è che di tanto in tanto scorgiamo questa compassione e questo completo disinteresse proprio in noi stessi. Ci sono persone che amiamo incondizionatamente. Ci sono volte che riusciamo ad amare persino noi stessi. Ci sono ore o giorni in cui ci sentiamo in pace e ci comportiamo in maniera affabile e cortese. Sotto questo aspetto, abbiamo già un cuore altruista e non dobbiamo andare in cerca di un cuore nuovo, o migliore: si tratta solo di riconoscere quello che abbiamo e di lavorarci sopra, di credere in esso, di sollecitarlo finché non abbia recuperato appieno il suo potere. È un’avventura in cui il Buddha ribelle si imbarcherà con gioia.
Il seme della compassione è sempre presente nella mente di tutti gli esseri, siano essi uomini, animali o creature di qualsiasi altro genere. Per quanto orribile una persona possa apparire, nella sua vita il seme della compassione non mancherà di manifestarsi, in una forma o in un’altra. È vero, ci sono gli spietati, insensibili tiranni del passato e del presente, che hanno gettato il mondo nel caos e causato incalcolabili sofferenze; e ogni giorno c’è gente che vende la felicità e il benessere della propria famiglia e dei propri amici in cambio di un po’ di denaro, di potere o di fama. Quando vediamo persone del genere pensiamo: «Per costoro non ci sono speranze». Tutto in loro ci appare meschino, insano, ipocrita.
La mancanza di grazia, per così dire, può portare fino a questo punto. Si può arrivare quasi a perdere il legame con la propria natura illuminata. Ma anche nel più corrotto o rozzo degli individui alberga, in fondo al cuore, un essenziale sentimento di compassione. Ed è qualcosa con cui egli può stabilire un contatto. Nessuno è senza speranza. Questi sono in genere soggetti che hanno paura di manifestare la propria tenerezza, il proprio potenziale di gentilezza, la propria vulnerabilità. Che sia l’amore per qualcuno o la passione per la musica o per l’arte, c’è sempre qualcosa che rivela un nesso con la loro umanità. Persino gli animali più feroci, quelli che divorano la preda quando è ancora viva, si prendono amorevolmente cura dei propri figli.
Questo germe di compassione, questo senso di apertura, di bontà e di calore è ciò con cui ora dobbiamo entrare in contatto. Più riusciamo a essere sinceri e onesti con noi stessi e franchi e leali con gli altri, più acquisiamo coscienza di tutte le potenzialità che abbiamo intorno a noi. Il mondo diventa più lucente, più sorprendente e fresco, e persino più affascinante. In quest’avventura è naturale innamorarsi del mondo. Nonostante la sofferenza e la frastornante confusione di cui è pieno, il mondo ha in sé una grande bellezza, nonché un’energia che a più livelli ci alimenta e ci sostiene. È questa la ragione per cui creiamo l’arte e ne godiamo, cantiamo e danziamo, giochiamo e inventiamo racconti, e ci domandiamo perché una mela cada da un albero a una certa velocità. Sì, ci poniamo anche problemi, che poi ci sforziamo di risolvere, a volte con successo. Siamo un’opera in fieri. Compassione, altruismo, quindi, non significano mostrarsi perfetti o semplicemente fare del bene, ma amare con cuore intrepido gli altri e la vita stessa: possiamo anche non trovarci mai nelle condizioni di poter salvare il mondo, ma le nostre azioni riescono a offrire un contributo profondo, perché nascono spontaneamente dall’amore. Può suonare un po’ romantico, visto che suggerisce l’idea di un amore cieco. Può sembrare irrazionale e irrealistico. Ma il nostro radicato affetto verso il mondo non fa che potenziare il nostro risveglio e non ottunde né la vista né la forza della ragione. Il nostro agire non è impulsivo, quando a guidarci è l’intelligenza. In un’azione realmente spontanea c’è molta sapienza: è un atto preciso e appropriato, che tiene conto del contesto generale e guida le situazioni nella direzione in cui è bene che vadano. Indipendentemente dalle intenzioni, un’azione che non riesca d’aiuto non è compassionevole.
Maturare un siffatto amore non è sempre facile. Sarebbe da sciocchi non capirlo. Perciò è bene riflettere su come sviluppare concretamente un cuore compassionevole nel quadro della nostra vita. Il modo in cui riuscirci varia lievemente per ciascuno di noi. Quel che va bene per me può non andar bene per te. È un percorso interiore estremamente personale. Si tratta di creare tra mente e cuore un legame sempre più saldo, conducendoli a uno stato di gioiosa unità; occorre colmare il divario tra lo spirituale e il materiale, tra l’alto e il basso, tra l’io e l’altro. Sicché il nostro cammino cessa di configurarsi come un problema cui dare soluzione o un obiettivo da realizzare, e diventa un modo di vivere pieno di senso e di beneficio. Nello stesso tempo, poiché non ci è dato sapere chi o che cosa incontreremo strada facendo, ci troviamo di fronte a una vera avventura.

ISTANZA DI SUSSIDIO

Immaginate di andare da qualcuno e dirgli: «Io vorrei aiutarti, ma prima devi migliorare un po’ il tuo modo di fare. Inoltre sarebbe meglio se tu riuscissi a essere un po’ più gentile nei miei riguardi. Allora sì, penso proprio che potrei esserti di grande aiuto». Che le si formuli ad alta voce o che non se ne abbia nemmeno piena consapevolezza, non di rado queste condizioni fanno capolino. Abbiamo allora le idee confuse su ciò che significa condividere un cuore compassionevole. Desideriamo aiutare gli altri, ma nello stesso tempo poniamo una serie di requisiti che essi devono preliminarmente soddisfare. È un po’ come con le istanze di sussidio che si presentano agli enti assistenziali: per ottenere il sussidio bisogna ottemperare a pagine e pagine di requisiti, condizioni e obblighi. L’idea di compassione di cui stiamo parlando è tutt’altra cosa. La nostra compassione inizia con la disponibilità ad accogliere. Più che a un contratto prematrimoniale assomiglia a una stretta di mano. Ci si incontra e si stabilisce una relazione, mentre i dettagli vengono definiti lungo il cammino.

AFFRONTARE LE SFIDE DEL MONDO REALE

Se siamo capaci di accantonare le nostre liste di requisiti e di accettare gli altri così come sono, allora riusciremo a individuare un modo intelligente per entrare in contatto con la loro condizione mentale o emotiva e per aiutarli sul serio. Se arriviamo a questo punto, la nostra è autentica compassione, priva di artifici e di distinguo, non riservata ad alcuni e negata ad altri. Quando abbracciamo questa visione altruista, la nostra vita e il nostro percorso spirituale cominciano a intrecciarsi, fino a diventare un’unica realtà. Guardandoci, la gente intorno a noi non vede una persona religiosa o spirituale, né vede un eremita o un monaco che ha adottato un codice di condotta extramondano. Vede semplicemente un buon vicino. Quando la vita e il percorso spirituale si fondono a tal punto, ogni situazione quotidiana può diventare parte della nostra pratica. Nulla rimane inevitabilmente escluso.
Ma se non c’è più contrasto tra la nostra vita e la nostra pratica, come facciamo a sapere se stiamo davvero praticando? Eccoci qui, nella nostra bella casa, con il nostro partner, i bambini, il cagnolino o il gattino. Il quadro è più o meno quello in cui ci trovavamo prima di intraprendere il nostro viaggio. Se fossimo membri di una comunità monastica, invece, vivremmo in un ambiente ben distinto, con un programma prestabilito e un codice di condotta che ci ricorderebbero continuamente la nostra intenzione di praticare. Tutto sarebbe configurato in modo molto chiaro. Ma poiché nel nostro caso non è così, quali sono le fonti della nostra disciplina? Ebbene, sono la concentrazione e la consapevolezza che abbiamo sviluppato in precedenza. In qualità di uomini o donne di famiglia, dotiamo la nostra mente di un senso di disciplina che prescinde dal nostro stile di vita. Perciò alla domanda «Stiamo praticando davvero?», ciascuno di noi deve rispondere per proprio conto.
Osservate la vostra mente quando vi alzate, al mattino, e vi accorgete che non c’è più latte per la colazione, che sta piovendo un’altra volta, che la macchina è in riserva, che i ragazzi stanno ascoltando musica con le cuffie e non vi rivolgono la parola. Dov’è in quel momento il vostro equilibrio, la vostra compassione? Se cercate segnali che vi ricordino la vostra pratica, li troverete agevolmente nella vita di ogni giorno.
Nella vita familiare abbiamo molte più opportunità di affrontare le sfide del mondo reale di quante ne abbiano gli eremiti o gli asceti. Il tempo che all’inizio abbiamo dedicato a formare la nostra mente non era che la preparazione a fronteggiare tali sfide, a tradurre l’esercizio mentale in azione che si estrinseca nel mondo. È sempre possibile lavorare sulle emozioni mediante la meditazione: ci sediamo in silenzio e invitiamo la rabbia o la gelosia a manifestarsi, così da poterle mettere a fuoco e intervenire su di esse. Questo tipo di esercizio è estremamente importante, ma è un po’ come le simulazioni di combattimento che si fanno nell’esercito. Anche se ci fornisce gli strumenti e le strategie essenziali per riconoscere e controllare i nostri stati emotivi, questo addestramento si svolge in una sorta di zona demilitarizzata, al riparo dal fuoco nemico. Finché siamo nel nostro bozzolo ci troviamo al sicuro. Ma alla fine dobbiamo lasciare la base, mettere alla prova le competenze acquisite e vedere che cosa abbiamo imparato. Dobbiamo uscire allo scoperto e affrontare i pericoli della vera collera, della vera invidia, della vera bramosia, andare oltre lo stadio di apprendista, di cadetto del buddhismo. È nell’agone della vita che diventiamo dei guerrieri e conquistiamo la libertà.

FINO A CHE PUNTO SIETE DISPOSTI A SPINGERVI?

Quando portiamo la nostra pratica nella vita quotidiana, ogni situazione ci offre un’occasione per sperimentare il risveglio, che ci troviamo nella sala di un tempio o per la strada. Bisogna perciò continuare a tenere la mente sotto controllo, vagliando in ogni frangente le proprie motivazioni. Anche se non siamo impegnati a salvare il genere umano, sfruttando queste semplici opportunità possiamo trasformare la nostra vita in un percorso verso la libertà che sia insieme un contributo alla liberazione degli altri.
Questo nobile e disinteressato spirito di compassione può apparire un obiettivo estremo. Spogliarsi di ogni egoismo? Votarsi totalmente al benessere degli altri? E non si sta parlando di «altri» in senso astratto, ma di persone reali; gente deliziosa o irritante, che vive in periferia o in centro, che si informa leggendo i giornali o guardando distrattamente la televisione, che può essere straordinariamente acuta o insopportabilmente stupida. Fino a che punto siete disposti ad allontanarvi dalle vostre opinioni e dai vostri valori di partenza per andare incontro a una persona confusa e sofferente?
In realtà la compassione non è una disposizione d’animo cui diamo artificiosamente vita per compiere opere buone a beneficio di qualcun altro. È invece un elemento costitutivo della nostra natura, della nostra essenza, e quando ci sintonizziamo sulla sua lunghezza d’onda ne veniamo arricchiti e beneficati almeno quanto la persona che è oggetto della nostra sollecitudine e della nostra solidarietà. Se ci impegniamo sul serio in un processo di collaborazione con gli altri, stiamo automaticamente collaborando anche con noi stessi. Ogni istante dedicato a un simile scopo, quindi, è tutt’altro che sprecato, anche dal punto di vista della libertà individuale. Un adagio buddhista dice: «Aiutare gli altri è il modo migliore per aiutare se stessi». Quando cerchiamo di consigliare un’altra persona, di parlarle con il cuore in mano, quando ci sforziamo di aiutarla esaminando nel modo più attento e profondo i suoi problemi, in quel preciso istante è possibile che faccia capolino un’improvvisa intuizione riguardo a un nostro problema. Spesso è mentre ci ingegniamo per cavare gli altri dalle loro difficoltà che sperimentiamo una sorta di liberazione dalle nostre. Quella del mutuo beneficio è una possibilità sempre presente. Proprio per questo non dovremmo mai pensare che noi la sappiamo lunga, mentre il tizio che abbiamo davanti, così confuso, sia un povero sprovveduto. Nello stesso tempo, non bisogna aspettarsi alcun tornaconto o compenso particolare. La vera compassione, insomma, non conosce calcoli.

DIVENTARE INTREPIDI

Da circoscritta e specifica, la compassione può svilupparsi fino a diventare una realtà vasta come il cielo. Si può partire da un semplice senso di apprezzamento nei riguardi di un’opera d’arte o del proprio animale domestico, per poi scoprire di essersi gradualmente aperti a dare valore a una porzione del mondo ben più cospicua. Se non ci sottraiamo a questo processo, il nostro senso di apprezzamento e di empatia può dilatarsi fino ad abbracciare il mondo intero e ogni uomo. Prima però dobbiamo essere disposti a schiudere il nostro cuore. Questa disponibilità potrà poi evolvere fino a diventare assenza di paura. Ma perché per arrivare dove ci siamo prefissi dobbiamo essere intrepidi? Perché quando apriamo il nostro cuore, mostriamo al mondo ciò che siamo; quel cuore non si apre soltanto nella sfera privata, a porte chiuse. Essere chi siamo, in ogni situazione, sen...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione Nati per essere liberi
  4. I. Il Buddha ribelle
  5. II. Ciò che dovreste sapere
  6. III. Imparare a conoscere la propria mente
  7. IV. Buddha in cammino
  8. V. La strada da seguire
  9. VI. Il rapporto con la confusione
  10. VII. Le tre forme di addestramento
  11. VIII. Svelare la storia dell’io
  12. IX. Oltre l’io
  13. X. Il cuore altruista
  14. XI. Ciò che hai sulla bocca
  15. XII. Alimentare la fiamma
  16. XIII. Il buon pastore e il fuorilegge
  17. XIV. Un lignaggio del risveglio
  18. XV. Fare comunità
  19. Appendice
  20. Istruzioni per la pratica della meditazione
  21. Poesie scelte
  22. Nota della curatrice
  23. Ringraziamenti
  24. Copyright