Ho sentito raccontare una storia…
Migliaia di anni fa, una città che aveva moltissimi templi dedicati alle divinità sprofondò nel mare.
Le campane di quei templi sommersi ancora lanciano i loro rintocchi; forse, sono le onde a farle suonare, oppure sono i pesci che, nuotando tutt’intorno, muovono i battacchi. Quali siano le ragioni, quelle campane ancora suonano e perfino oggi quella musica dolcissima può essere udita dalla riva.
Anch’io volevo sentire quella musica, per cui sono andato in cerca di quella spiaggia e, dopo aver vagato per anni, alla fine l’ho trovata. Purtroppo ho potuto ascoltare solo il tumulto del mare: il fragore delle onde che si frangevano contro le scogliere risuonava ininterrotto in quel luogo solitario, ma non c’era musica alcuna, né si poteva udire il rintocco delle campane.
Ho continuato ad ascoltare con attenzione ma su quella riva nulla si poteva udire, fatta eccezione per il continuo ribollire delle onde.
Eppure ho aspettato. In realtà, mi ero scordato la via del ritorno e adesso quella spiaggia ignota e solitaria sembrava essere destinata a testimoniare la fine della mia vita.
Piano piano, perfino il pensiero teso all’ascolto delle campane scomparve; e io mi sedetti su quella spiaggia.
Poi, una notte, all’improvviso udii le campane di quei templi sommersi che suonavano a distesa, e quella musica dolcissima iniziò a colmare la mia vita di gioia.
Sentendo quella musica, mi destai dal mio sonno e, da allora, non sono più riuscito a riaddormentarmi. Adesso qualcuno è costantemente sveglio, dentro di me; il sonno è svanito per sempre e la mia vita si è colmata di luce… infatti, là dove non c’è sonno, non c’è oscurità.
E sono felice. In realtà, sono diventato felicità incarnata; infatti, come può esistere tristezza, quando è possibile udire la musica del tempio di Dio?
Anche tu vuoi raggiungere quella spiaggia? Anche tu vuoi udire la musica di quei templi sommersi? Allora andiamo, incamminiamoci dentro noi stessi: il cuore è il mare, e nelle sue profondità si trova la città dei templi sommersi.
D’altra parte, solo coloro che sono, in ogni senso, calmi e presenti saranno in grado di udire la musica di quei templi. Come potrebbe mai essere udita questa musica, quando ci sono conflitti fragorosi di pensieri e desideri? Perfino il desidero di udire questa musica diventa un ostacolo che impedisce di sentirla.
In una notte buia guardavo le stelle nel cielo. L’intera città era addormentata e io provavo una profonda compassione per quelle anime addormentate: dopo un giorno di duro lavoro, quei poveretti dovevano sognare l’appagamento di tutti i loro desideri irrisolti. Stavano vivendo nei sogni e nei sogni dormivano; nessuno di loro aveva visto il sole, né vedevano la luna o le stelle. In realtà, gli occhi capaci di vedere i sogni non sono in grado di vedere ciò che è davvero presente: è cosa essenziale e primaria che la polvere dei sogni scompaia, prima di poter vedere la verità.
Via via che l’oscurità della notte diventava sempre più profonda, il numero delle stelle nel cielo aumentava. Gradualmente, l’intera volta celeste fu ricolma della loro luminescenza; e non solo il cielo: anch’io ero colmato della loro bellezza silenziosa.
Non è forse vero che il cielo dell’anima è ricolmo di stelle, quando le vede risplendere in cielo?
La verità è che l’uomo si riempie di ciò che vede: la persona che vede l’insignificante si riempie di insignificanza; colui che vede la grandezza si riempie di magnificenza.
I nostri occhi sono le soglie sulle nostre anime.
Seduto contro un albero, ero semplicemente perso nel cielo, quando qualcuno, dietro di me, mise la sua mano fredda e morta sulla mia spalla. Potevo sentire anche il rumore del suo piede: non erano suoni emessi da un essere vivente; e la sua mano era così priva di vita che, perfino nell’oscurità, non impiegai molto tempo per capire i pensieri dietro i suoi occhi; questo contatto con il suo corpo mi aveva portato addirittura i venti della sua mente.
Quella persona era viva, era giovane, ma da tempo la vita l’aveva abbandonata; e forse la gioventù non l’aveva mai neppure sfiorata.
Entrambi sedemmo sotto le stelle. Presi le sue mani prive di vita tra le mie, così da permettere loro di riscaldarsi un pochino; così da permettere al calore della mia vita di fluire nella sua. Quel giovane era solo, ma forse l’amore poteva riportarlo in vita.
Senza dubbio, non era il momento di parlare, per cui rimasi in silenzio. A volte il cuore trova intimità nel silenzio, e le ferite che le parole non possono rimarginare vengono guarite: il silenzio può curare anche quelle. Le parole e i suoni sono un fastidio e un ostacolo che impedisce di comprendere l’intera sinfonia.
La notte era quieta e immobile. La musica silente ci avvolse entrambi. Quel giovane non mi era più estraneo; io ero presente, in lui. A un certo punto la sua immobilità pietrificata ebbe fine e le sue lacrime mi dissero che si stava sciogliendo: stava piangendo, tutto il suo corpo tremava; le vibrazioni di ciò che piangeva nel suo cuore stavano toccando ogni nervo del suo corpo. Continuò a piangere, a piangere, a piangere… e a un certo punto disse: «Voglio morire. Sono assolutamente povero e sconfortato. Non ho nulla di nulla, vivo nella più assoluta miseria!».
Rimasi in silenzio per un po’ e poi, lentamente, gli dissi che mi era venuta in mente una storia…
Un giovane disse a un mistico: «L’esistenza mi ha portato via ogni cosa. Non ho altra scelta che morire».
Gli chiesi se per caso non fosse lui quello stesso giovane.
Il mistico gli disse: «Vedo un tesoro immenso nascosto dentro di te, me lo venderesti? Se me lo vendi, tu otterrai ogni cosa, inoltre risparmierai all’esistenza un insulto».
Di nuovo chiesi a quel giovane se non fosse lui ad aver parlato. Non lo potevo dire per certo; d’altra parte, io ero proprio quel mistico e sembrava che la storia si stesse ripetendo.
Il giovane di quella storia si stupì… e forse anche il giovane a cui stavo parlando si meravigliò.
Lui disse: «Tesoro? Ma se non possiedo neppure un centesimo».
Al che il mistico scoppiò a ridere e disse: «Vieni, andiamo dal re. Il re è molto astuto: ha un occhio particolare in grado di scorgere tesori nascosti; sono certissimo che comprerà il tuo. In passato gli ho portato molti venditori di tesori nascosti».
Il giovane non riusciva a comprendere: per lui tutto ciò che il mistico stava dicendo era un enigma. Comunque, lo seguì fino al palazzo del re.
Lungo il cammino, il mistico gli disse: «Ci sono alcune cose che devono essere chiarite in anticipo, così da non sollevare discussioni di fronte al re. Questo re è qualcuno che non baderà a spese se la cosa gli piace, non ci sono limiti di prezzo! Quindi, è importante sapere se sei pronto a vendere queste cose, oppure no».
Il giovane disse: «Ma quale tesoro? Di cosa parli?».
Il mistico spiegò: «Per esempio, i tuoi occhi: quanto li valuti? Potrei far salire il loro prezzo fino a cinquantamila rupie, di fronte al re. Ti bastano? Oppure il tuo cuore, o la tua mente? Per ciascuna di queste cose puoi arrivare ad avere fino a centomila rupie».
Il giovane era allibito: pensava che il mistico fosse matto. E glielo chiese: «Sei impazzito? Gli occhi? Il cuore? La mente? Di cosa stai parlando? Non posso vendere queste cose a nessun prezzo! E non solo io, nessuno le può vendere».
Il mistico scoppiò a ridere e disse: «Sono impazzito io, o forse lo sei tu? Se hai cose tanto preziose che non sei disposto a vendere neppure per centinaia di migliaia di rupie, perché lamenti di essere povero? Usale! La grotta del tesoro che non viene utilizzato è vuota, sebbene sia piena; e la grotta del tesoro che viene utilizzato è piena, anche se è vuota. L’esistenza ci dona tesori, tesori immensi, ma ciascuno deve cercarli e scavare da solo, per scoprirli. Non esiste ricchezza più grande della vita; e chi non riesce neppure a vedere una ricchezza in tutto ciò non la troverà da nessun’altra parte».
La mezzanotte era già passata da tempo. Mi alzai e dissi a quel giovane: «Va’, va’ a dormire, e domani svegliati come un uomo diverso. La vita è ciò che ne facciamo, è una nostra creazione. Possiamo farne qualcosa di morto, oppure possiamo renderla eterna… sta a noi scegliere! E questo non dipende da qualcun altro, dipende unicamente da noi stessi. E la morte verrà spontaneamente, non è affatto necessario invocarla».
Invoca la vita, invita l’illuminazione. Tutto questo lo puoi conseguire solo tramite un duro lavoro, uno sforzo, un’intensa risoluzione e una dedizione costante.
Un re era molto famoso per la sua generosità: le notizie della sua benevolenza avevano raggiunto i confini dell’impero. La sua umiltà, la sua abnegazione, la semplicità del suo tenore di vita e la sua purezza erano elogiate da tutti; come risultato di tutto questo, il suo ego non conosceva confini: era infinitamente lontano dal divino, come nessun altro uomo potrebbe esserlo.
Com’è facile elevarsi agli occhi dell’uomo, e quanto è difficile essere vicini all’esistenza! E chi desidera elevarsi agli occhi degli uomini inevitabilmente decade agli occhi dell’esistenza, poiché dentro di sé sarà l’esatto opposto di ciò che appare all’esterno. E questo perché gli occhi fisici di un uomo non possono penetrare così in profondità all’interno, ragion per cui facilmente ci si può ingannare da soli.
D’altra parte, è certo che l’intuizione di ciascuno di noi può toccare quell’abisso; e alla fine, l’immagine che ciascuno di noi crea, fondata su quello che gli altri vedono, non ha alcun valore. Ciò che ha valore è l’immagine che si dispiega di fronte al proprio sguardo interiore; e quella stessa immagine, nella sua assoluta nudità, è anche quella che viene riflessa nello specchio dell’esistenza.
In ultima analisi, ciò che una persona vede di se stessa è esattamente ciò che si erge di fronte all’esistenza.
La fama del re continuò ad aumentare, ma la sua anima stava affondando. La sua fama non faceva che ingigantire, mentre la sua anima continuava a rimpicciolirsi: i suoi rami si estendevano sempre di più, mentre le sue radici continuavano a indebolirsi.
Quel re aveva un amico; si trattava di Kubera, il più ricco tra i ricchi, all’epoca; e come i fiumi e gli affluenti si incontrano tutti nell’oceano, i fiumi della ricchezza confluivano tutti nel suo forziere. Quest’uomo era del tutto diverso dal re suo amico: non avrebbe mai donato un solo centesimo come carità, ed era molto malvisto.
Sia il re che il magnate invecchiarono. Uno era tronfio del suo ego, l’altro carico di rimorso. L’orgoglio diede a uno di loro il piacere, il rimorso pungolò l’anima dell’altro. A mano a mano che la morte si avvicinava, il re si avvinghiò sempre più saldamente al suo ego; era qualcosa di solido a cui aggrapparsi… ma alla fine fu il rimorso del ricco a scatenare in lui una rivoluzione: il suo ego non poté più sostenerlo. Divenne una necessità inderogabile rinunciarci!
D’altra parte, vorrei ricordarti che quel rimorso è l’altro lato dell’orgoglio, ragion per cui è molto difficile lasciarsi alle spalle anche questo. Spesso, quando il rimorso si ribalta su se stesso, diventa orgoglio; proprio per questo chi ricerca il piacere diventa un santo, l’avido diventa generoso, l’uomo crudele diviene compassionevole. E comunque, fondamentalmente nelle loro anime non avviene alcuna rivoluzione.
Quel ricco andò da un Maestro, e gli disse: «Sono profondamente disturbato, in me brucia un fuoco inestinguibile… cerco la pace».
Il Maestro chiese: «Non riesci a trovare pac...