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Il ciclo degli eredi di Shannara - 3. La regina degli elfi di Shannara
- 448 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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Il ciclo degli eredi di Shannara - 3. La regina degli elfi di Shannara
Informazioni su questo libro
Attenta ragazza! Vedo sulla tua strada pericolo, difficoltà , tradimenti e male oltre ogni immaginazione. La profezia della vecchia Addershag è tremenda, eppure Wren Ohmsford attraversa le Terre dell'Ovest e lo Spartiacque Azzurro, supera foreste e deserti alla ricerca degli Elfi. Quegli Elfi che da oltre cent'anni nessuno ha più incontrato nel mondo degli uomini. La sua è una missione ai limiti dell'impossibile, ma Wren non può evitarla. Per obbedire all'ombra di Allanon e per sciogliere finalmente il mistero che avvolge le sue stesse origini.
La fantastica epopea di Shannara si arricchisce di un nuovo, esaltante capitolo. Ancora una volta Terry Brooks spinge più lontano i confini del suo mondo magico.
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Sì, puoi accedere a Il ciclo degli eredi di Shannara - 3. La regina degli elfi di Shannara di Terry Brooks, Savino D'Amico in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Print ISBN
9788804386803eBook ISBN
97888520607551
Il fuoco.
Crepitava nelle lampade a olio che pendevano distanti e solitarie alle finestre e all’entrata delle case della sua gente. Scoppiettava e sibilava lambendo le torce imbevute di pece, poste a illuminare gli incroci e ai lati dei cancelli. Brillava tra i rami frondosi di antichi alberi di quercia e di noce americano nei viali fiancheggiati da lampioni di vetro. In una miriade di luci tremolanti, le fiamme erano simili a minuscole creature che la notte minacciava di scoprire e distruggere.
Come noi, pensò lei.
Come gli Elfi.
Alzò gli occhi, e guardò al di là degli edifici e delle mura della città dove il Killeshan innalzava il suo pennacchio di fumo.
Il fuoco.
Sprazzi di luce rossastra uscivano dalla bocca frastagliata del vulcano, mentre il bagliore del magma incandescente si rifletteva sulle nuvole di vog – la cenere vulcanica – sospese in foschi banchi nel cielo vuoto. Il Killeshan incombeva su di loro, enorme e intrattabile: un fenomeno della natura a cui nessuna magia degli Elfi poteva sperare di resistere. Erano settimane ormai che dalle viscere della terra si sentiva salire un brontolio, che pareva insoddisfatto e risoluto, un accumulo di pressione che alla fine si sarebbe senz’altro scaricata.
Per il momento, la lava apriva cunicoli e gallerie attraverso le crepe e le fenditure delle sue pareti, precipitando nelle acque dell’oceano in lunghi nastri serpeggianti che bruciavano la giungla e tutto quanto c’era di vivente. Un giorno o l’altro, neanche tanto lontano, lei ne era certa, questa via di sfogo secondaria non sarebbe stata sufficiente, e il Killeshan sarebbe esploso in un’eruzione che li avrebbe sterminati tutti.
Se mai ci fosse stato ancora qualcuno.
Una donna stava ferma ai bordi dei Giardini della Vita vicino al punto in cui cresceva l’Eterea. L’antico albero si innalzava verso il cielo, quasi costretto a lottare per farsi strada attraverso il vog e respirare l’aria più pulita degli strati superiori. I suoi rami argentati erano illuminati debolmente dalla luce dei lampioni e delle torce; le foglie scarlatte riflettevano l’incandescenza più scura del vulcano. Dal fuoco si alzavano zampilli che danzavano assumendo strane forme appena distinguibili attraverso i rami degli alberi, come se cercassero di formare un quadro. La donna guardava le immagini che apparivano e sparivano, come se fossero state lo specchio dei suoi pensieri, e la tristezza minacciava di sopraffarla.
Cosa devo fare? pensò disperata. Quali possibilità mi rimangono?
Nessuna, lo sapeva. Nessuna, se non aspettare.
La donna era Ellenroh Elessedil, Regina degli Elfi, e non poteva fare altro che aspettare.
Impugnò ben stretto lo Scettro e guardò il cielo con una smorfia. Non c’erano stelle, né luna, quella notte. Per settimane si erano fatte vedere ben poco, c’era solo il vog denso e impenetrabile, un sudario che aspettava di calare a coprire i corpi, avvolgerli tutti e farli sparire per sempre.
Stava immobile, irrigidita; una brezza calda soffiava su di lei, facendo svolazzare il tessuto leggero della veste. Era alta, aveva il corpo asciutto e le gambe lunghe. L’ossatura prominente del volto formava tratti subito riconoscibili. Aveva zigomi alti, fronte ampia, e la mascella affilata e liscia. La bocca era larga e sottile. La pelle tesa del volto le conferiva un aspetto scultoreo. Capelli biondissimi le cadevano sulle spalle in fitti riccioli ribelli. Gli occhi erano di un azzurro strano, penetrante, e sembrava sempre che vedessero cose non immediatamente visibili agli altri. Appariva molto più giovane dei suoi cinquant’anni passati. Quando sorrideva, e accadeva spesso, apriva al sorriso il volto degli altri, quasi senza sforzo.
Ma adesso non sorrideva. Era tardi, mezzanotte era passata da un pezzo e lei si sentiva come incatenata da una stanchezza che le impediva i movimenti. Non poteva dormire ed era andata a passeggiare nei Giardini, per ascoltare la notte, per stare sola con i suoi pensieri, e per trovare un po’ di pace. Ma la pace era inafferrabile, i suoi pensieri erano folletti che la schernivano e la prendevano in giro, e la notte era una nuvola nera famelica che aspettava paziente l’attimo in cui avrebbe finalmente spento la fragile scintilla della loro vita.
Il fuoco, di nuovo. Fuoco per dare la vita e fuoco per estinguerla. L’immagine le giunse insidiosa, come un sussurro.
Si voltò di scatto e si mise a camminare nei Giardini. Cort la seguiva, una silenziosa, invisibile presenza. Se avesse voluto cercarlo, non lo avrebbe trovato, ma poteva immaginarselo: un giovane piccolo, robusto, dotato di una forza e di una agilità incredibili. Era una delle Guardie Nazionali, incaricate della protezione dei sovrani degli Elfi: le armi che li proteggevano, le vite spese per salvare quelle dei re. Cort era la sua ombra, se non c’era Cort c’era Dal. L’uno o l’altro erano sempre presenti, per proteggerla. Mentre avanzava lungo il sentiero, i pensieri si avvicendavano in rapida successione. Avvertiva le asperità del terreno attraverso la suola sottile delle scarpe. Arborlon, la città degli Elfi, la sua patria, trasportata qui dalle Terre dell’Ovest oltre cent’anni prima, in questo…
Non concluse il pensiero. Le mancarono le parole per farlo.
La magia degli Elfi, rievocata dall’epoca delle fate, proteggeva la città , ma stava cominciando a scemare. Al profumo intenso e vario dei fiori dei Giardini si sovrapponeva l’odore acre dei gas del Killeshan ogni volta che questi superavano la barriera esterna della Chiglia. Gli uccelli notturni cantavano dolcemente sugli alberi e nei nidi, ma anche le loro melodie erano interrotte dai suoni gutturali degli esseri scuri che stavano in agguato oltre le mura della città , nelle giungle e nelle paludi, o si ammassavano contro la Chiglia, in attesa.
I mostri.
Il sentiero finiva all’estremità settentrionale dei Giardini, su un promontorio che sovrastava la sua casa. Le finestre del palazzo erano buie, all’interno dormivano tutti, tranne lei. Più in là si estendeva la città , gruppi di case e di botteghe nascoste dietro la barriera protettiva della Chiglia come animali spaventati, rannicchiati nelle loro tane. Nessuno si muoveva, come se la paura rendesse impossibile il movimento, come se il movimento potesse perderli. Scosse la testa tristemente. Arborlon era un’isola circondata da nemici. Dietro, a est, incombente sulla città , c’era il Killeshan – montagna enorme, dal profilo frastagliato, fatta di lava solidificata per le eruzioni succedutesi nei secoli – il vulcano addormentato fino ad appena vent’anni prima, ora attivo e inquieto. A nord e a sud c’era la giungla, fitta e impenetrabile, che si estendeva in un groviglio di verde fino alle rive dell’oceano. A ovest, sotto i pendii su cui sorgeva Arborlon, stavano il Rowen e, al di là , la parete scoscesa del Blackledge. Né l’uno né l’altro appartenevano agli Elfi. Un tempo, il mondo intero era appartenuto a loro, prima della venuta dell’Uomo. Un tempo, non c’era luogo in cui essi non potessero andare. Perfino all’epoca del Druido Allanon, appena trecento anni prima, tutte le Terre dell’Ovest erano state loro. Adesso erano ridotti in questo spazio ristretto, assediati da ogni parte, imprigionati dentro il muro della loro magia che andava diminuendo. Tutti in trappola, tutto quanto restava.
Guardò nell’oscurità al di là della Chiglia, immaginando che cosa potesse esserci in attesa. Pensò per un attimo all’ironia di tutto ciò – gli Elfi, rimasti vittime della propria magia, dei propri piani intelligenti, ma fuorviati, e di timori di cui non avrebbero mai dovuto tenere conto. Come avevano potuto essere tanto sciocchi?
Giù, lontano da dove si era fermata, nei pressi dell’estremità della Chiglia, nel punto in cui essa poggiava sulla lava solidificata di qualche antica colata, ci fu un improvviso bagliore di luce, un lampo di fuoco seguito da una veloce, accecante esplosione e da un grido. Urla in rapida successione e poi silenzio. Un altro tentativo di aprire una breccia nelle mura e un’altra morte. Succedeva ormai ogni notte, da quando i mostri erano diventati più audaci e la magia continuava a diminuire.
Lanciò un’occhiata dietro di sé ai rami superiori dell’Eterea sollevati sopra gli alberi del Giardino, una copertura di vita. L’albero aveva protetto gli Elfi da un pericolo tanto grande e per tanto tempo. Si era rinnovato e aveva recuperato le forze. Aveva dato pace. Ma non poteva proteggerli adesso, non da ciò che li minacciava in quel momento.
Non da se stessi.
Afferrò lo Scettro con un gesto di sfida e sentì il potere magico che emanava, un calore contro il palmo della mano e le dita. Lo Scettro era spesso e nodoso e così levigato da avere una meravigliosa lucentezza. Era stato tagliato da un noce nero e impregnato della magia del suo popolo. Sull’estremità era stata incastonata la Pietra, detta Loden, bianco splendore contro il buio della notte. La regina si rifletteva nelle sue sfaccettature. Si sentiva toccata nell’intimo. Lo Scettro aveva dato forza ai sovrani di Arborlon per oltre un secolo.
Ma neppure lo Scettro poteva ormai proteggere gli Elfi.
«Cort?» chiamò dolcemente.
L’uomo si materializzò accanto a lei.
«Stai qui con me un momento» disse.
Rimasero fermi senza parlare guardando la città . Si sentiva incredibilmente sola. Il suo popolo era minacciato di estinzione. Avrebbe dovuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa. E se i sogni fossero stati ingannevoli? E se le visioni di Eowen Cerise fossero state sbagliate? Certo, non era mai accaduto che la posta in gioco fosse tanto grande! Strinse le labbra in un moto di rabbia. Doveva crederci. Era necessario che ci credesse. Le visioni si sarebbero avverate. Sarebbe arrivata la ragazza, sangue del suo sangue, come promesso. Sarebbe venuta.
Ma almeno lei sarebbe stata sufficiente?
Scacciò la domanda. Non poteva consentirsela. Non poteva dare libero sfogo alla sua disperazione.
Si voltò e si incamminò rapida per tornare indietro, attraverso i Giardini, fino al sentiero che portava di nuovo giù. Cort rimase ancora un po’, quindi scomparve nell’ombra. Lei non se ne accorse. La mente era rivolta al futuro, alle profezie di Eowen, e al destino degli Elfi. Era decisa a fare in modo che il suo popolo si salvasse. Avrebbe aspettato la ragazza finché avesse potuto, finché la magia avesse tenuto lontani i nemici. Avrebbe pregato perché le visioni di Eowen si avverassero.
Era Ellenroh Elessedil, Regina degli Elfi, e avrebbe fatto quanto era in suo potere.
Il fuoco.
Bruciava anche dentro.
Protetta dalla corazza delle sue convinzioni, scese e uscì dai Giardini della Vita nelle ore pigre del primo mattino per andare a dormire.
2
Wren Ohmsford sbadigliò. Era seduta in cima a una scarpata che dava sullo Spartiacque Azzurro, la schiena contro il tronco levigato di un vecchio salice. L’oceano si stendeva a perdita d’occhio davanti a lei, uno scintillante caleidoscopio di colori sulla linea dell’orizzonte dove il tramonto striava le acque di macchie rosso dorato e color porpora, mentre basse nuvole formavano strani disegni nel cielo all’imbrunire. Stava scendendo lentamente il crepuscolo, un alito di brezza notturna increspava le acque mentre sopraggiungeva la calma. I grilli cominciavano a frinire, si vedevano già le lucciole.
Wren strinse le ginocchia contro il petto, sforzandosi di rimanere diritta mentre in realtà desiderava stendersi. Erano ormai quasi due giorni che non dormiva, e la stanchezza stava per avere il sopravvento. Sotto la volta del salice era fresco e ombreggiato, e sarebbe stato facile lasciarsi andare, rannicchiarsi sotto il mantello, e assopirsi. All’idea, senza volerlo, le si chiusero gli occhi, ma li riaprì all’istante. Non poteva dormire finché non tornava Garth, lo sapeva. Doveva stare all’erta.
Si alzò e fece qualche passo fino all’orlo della scarpata, lasciandosi accarezzare il volto dalla brezza e assaporando con tutti i sensi i profumi del mare. Le gru e i gabbiani planavano e scendevano in picchiata sull’acqua, col loro volo aggraziato e languido. In lontananza, troppo distante per essere visto in modo chiaro, qualche grosso pesce sollevava l’acqua con enormi spruzzi e scompariva. Lasciò vagare lo sguardo. Dal punto in cui si trovava fin dove l’occhio poteva giungere, la costa seguiva una linea ininterrotta di irte scogliere ricoperte di alberi, dietro le quali si innalzavano i monti brulli e ammantati di bianco dello Sperone di Roccia a nord e dell’Irrybis a sud. Una serie di spiagge rocciose separavano le scogliere dall’acqua, le loro nude estensioni erano cosparse di pezzi di legno portati dalle onde, di conchiglie e ciuffi di alghe.
Oltre la riva c’era solo la vuota distesa dello Spartiacque Azzurro. Aveva viaggiato tanto, era andata in capo al mondo, pensò con una punta di amarezza, eppure la sua ricerca degli Elfi non si era ancora conclusa.
Un gufo fece udire il suo verso nel folto del bosco dietro di lei, facendola voltare. Cercò circospetta un movimento, un segno che desse nell’occhio, senza esito. Non c’era traccia di Garth. Era ancora in giro, a seguire tracce…
Lentamente fece ritorno alle ceneri del fuoco che aveva acceso per cucinare e ne sparse i resti...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Mappa
- La Regina degli Elfi di Shannara
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15
- Capitolo 16
- Capitolo 17
- Capitolo 18
- Capitolo 19
- Capitolo 20
- Capitolo 21
- Capitolo 22
- Capitolo 23
- Capitolo 24
- Capitolo 25
- Capitolo 26
- Capitolo 27
- Capitolo 28
- Capitolo 29
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