Introduzione
1. Le prime due righe (da «… a Venezia» a «del Suo») sono dattiloscritte; poi il testo, qui proposto integralmente e trascritto nella sua forma originaria, continua manoscritto fino alla fine.←
2. In un suo Ricordo di Marinetti mio padre Luce (cui la morte impedì di scrivere quella biografia marinettiana che era nei suoi voti) delinea una descrizione simile, ma meno eloquente; cfr. Claudia Salaris, Filippo Tommaso Marinetti, La Nuova Italia, Scandicci 1988, pp. 34-37.←
3. “Storica” nel senso che le tappe più significative nella vita di Marinetti marcano anche le tappe più importanti della storia del Futurismo, la quale a sua volta si identifica con la storia dell’avanguardia in Italia e non solo: Alessandria d’Egitto, Parigi, Milano, Roma, e adesso Venezia. Marinetti vive e opera soprattutto nelle grandi città italiane, a tutte e tre le quali si potrebbe a questo punto estendere l’epiteto di «tradizionale e futurista», con cui egli definiva Milano. Cfr. La grande Milano tradizionale e futurista, accompagnata da Una sensibilità italiana nata in Egitto, a cura di Luciano De Maria, Mondadori, Milano 1969. È vero che, per esempio, nel manifesto Contro Roma passatista del 1910 Marinetti aveva parlato delle «tre piaghe purulente della nostra penisola: Firenze, Roma e Venezia» (cfr. Teoria e invenzione futurista, a cura dello stesso De Maria, Mondadori, Milano 1983 [19681], d’ora in avanti TIF, p. 287). Ma da quegli anni primonovecenteschi molta acqua è passata sotto i ponti (se è lecito usare questa metafora nel caso veneziano): in effetti, il presente romanzo sancisce il recupero di Venezia al nesso tradizione/Futurismo.←
4. D’un chateau l’autre (con bizzarra sintassi “marinettiana” nel titolo) del 1957, Nord del 1960, e infine Rigodon, completato nel 1961, l’anno stesso della morte di Céline; quest’ultimo romanzo esce postumo, come sta uscendo ora Venezianella e Studentaccio. Ma, a differenza del romanzo italiano, quello francese non deve aspettare una sessantina d’anni, e viene pubblicato a poca distanza di tempo, nel 1968. ←
5. Cfr. Carlo Fumian, Venezia “città ministeriale” (1943-1945), in Giannantonio Paladini e Maurizio Reberschak, La Resistenza nel veneziano, vol. 1, Università di Venezia, 1985 e Maurizio Reberschak, Francesco Pasinetti, i giovani, Venezia tra fascismo e dopoguerra, in L’immagine di Venezia nel cinema del Novecento, a cura di Gian Piero Brunetta e Alessandro Faccioli, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 2004, p. 145.←
6. Lo si veda ora in Filippo Tommaso Marinetti, Teatro, 2 voll., a cura di Jeffrey T. Schnapp, Oscar Mondadori, Milano 2004, vol. 1, pp. 477-531.←
7. Il grande scrittore rinascimentale, in effetti, fa un paio di rapide ma suggestive comparse in VS: «il Canale di San Crisostomo suggerì labirintici sottintesi al poeta Aretino quando dall’alto sorvegliava quel liquido sgherro al servizio dei Dieci mascherati di nero» (a pp. 87-88 nel capitolo Piedestalli di eroi n° 1), dove la raffigurazione del canale come “liquido sgherro”, con la sua evocazione di un’oscura figura (contagio estetico di quelle maschere nere) in rapida corsa, è una delle personificazioni più brillanti nel romanzo. E più avanti nello stesso capitolo Studentaccio «pensa al poeta Aretino rigirantesi fra i suoi liquidi amoerri di lussuria cinismo potere vendetta verità» (p. 90) –, lista di concetti che, come la maggior parte degli elenchi marinettiani, rivela, dietro l’accostamento apparentemente arbitrario, un senso dialettico della realtà: l’inserzione imprevista di un termine valoriale come «verità» dopo tre termini negativi o almeno, per quanto riguarda «potere», problematici è un modo di rendere giustizia alla complessità della figura intellettuale dell’Aretino. ←
8. Ulteriori specificazioni e riferimenti si possono trovare nella nota di Amerigo Fabbri che introduce i primi quattro capitoli di VS da lui editi e copiosamente annotati in «YIP. Yale Italian Poetry», V-VI (2001-2002), pp. 193-226, a cui seguono altre sue pagine critiche e contributi alle pp. 229-313 della stessa rivista. (La pioneristica edizione dei capitoli di VS è meritoria anche se non più utilizzabile: il Fabbri lavorava sull’unica versione allora disponibile – un complesso di due dattiloscritti quasi identici – prima del rinvenimento del manoscritto originario dell’opera; si veda la Nota al testo del presente volume.) Altre specificazioni, riferimenti e analisi su questo periodo e sul romanzo si trovano nella monografia inedita di Patrizio Ceccagnoli, FTM Redux. Studio sull’ultimo Marinetti, presentata come tesi dottorale all’Università di Columbia nel 2011.←
9. Siamo all’inizio del primo capitolo (p. 3), che è anche l’unico privo di titolo. Il lettore avrà già notato, nei passi fin qui citati, che lo stile di questo romanzo è peculiare – e non parlo soltanto della quasi totale assenza di segni di punteggiatura. Ma di ciò parleremo più avanti: qui è rilevante il contesto di situazione. Che è la serie di battaglie a sorti alterne svoltesi fra il 1941 e il 1942 intorno a Tobruk (oggi Tobruch) in cui si sono opposte le truppe italo-tedesche a quelle britanniche e alleate, e che si conclude con la definitiva occupazione alleata della zona. (L’azione del romanzo sembra dunque svolgersi nel corso del biennio precedente a quello della sua composizione.) Una trentina d’anni prima questa stessa zona (Tobruch, Tripoli, ecc.) era stata teatro di altre battaglie italiane – che però erano risultate in ultima analisi vittoriose – nella guerra italo-turca del 1911-12. A quella guerra risale uno dei primi testi “futuristi” di Marinetti: La battaglia di Tripoli (26 ottobre 1911) vissuta e cantata da F.T. Marinetti, Tipografia “Elzeviriana”, Padova 1912 (tradotto da Decio Cinti dall’originale francese dello stesso anno, La Bataille de Tripoli) – opera interessantemente ibrida, e futurista nel programma prefatorio piuttosto che nella sua effettiva testualità. Il trionfante scenario di scrittura del 1911 diviene nel ’41-42 una scena ambigua su cui si proietta l’ombra del disastro. In una visione esterna e oggettivistica, potremmo parlare di nemesi storica, o di ironia della storia, o di giustizia poetica. Ma qui abbiamo a che fare con una raffinata opera letteraria, dunque la prospettiva è soggettiva e indiretta – la prospettiva, come vedremo, della palinodia.←
10. Il fortunoso trasferimento di Venezianella da un’«aeroambulanza argentea» a un «acquatico ospedale», e in generale il biancore ospedaliero che circonfonde la sua apparizione («portare come un grande fuso di seta bianca la mascheratissima crocerossina morente nel bianco di una corsia»), sono elementi che fanno pensare a La nave bianca del 1941, forse il primo lungometraggio con regia di Roberto Rossellini, anche se alcuni lo attribuiscono a Francesco De Robertis – e anche il primo nella trilogia rosselliniana di film che rappresentano un contributo creativo alla propaganda militare di quel periodo. La struttura documentaristica di La nave bianca è focalizzata su un gruppo di marinai italiani feriti in un conflitto navale, e il suo abbozzo di trama si basa sulla corrispondenza che s’intreccia fra uno dei feriti e una crocerossina. È interessante in VS il poetico rovesciamento dei ruoli, per cui la curatrice professionista viene a trovarsi invece nella posizione di essere curata in ospedale. Ma anche questo rovesciamento può avere una genealogia: la crocerossina ausiliaria, compagna del protagonista, che muore a...