Bestie del 900 -  Il buffo integrale
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Bestie del 900 - Il buffo integrale

  1. 448 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Bestie del 900 - Il buffo integrale

Informazioni su questo libro

Pubblicati rispettivamente nel 1951 e nel 1966, Bestie del 900 e Il buffo integrale costituiscono le ultime raccolte di racconti palazzeschiane. La prima si costruisce come un'irriverente parodia dei bestiari medievali e, nel presentare al lettore il carattere e la morfologia di una dozzina di animali, finisce per descrivere mirabilmente la condizione umana. La seconda, che già nel titolo riecheggia quel tema del "buffo" centrale nella produzione dello scrittore fiorentino (basti citare il suo Palio dei buffi del 1937), rappresenta il vero punto d'arrivo della novellistica di Palazzeschi: un godibilissimo, dissacrante, allegro e tragicomico ritratto della vita con tutti i suoi insensati paradossi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804551140
eBook ISBN
9788852061073

Il buffo integrale

L’amico Galletti

Durante la fermata del direttissimo Roma-Milano, alla stazione di Firenze ben poco traffico e treno non affollato, ragione per cui i pochi viaggiatori che salirono se ne andavano su e giù lungo il corridoio dei vagoni per scegliersi un posto a loro pieno agio e gradimento.
Il signore che poco prima era passato con la valigia a mano dando un’occhiata esplorativa al viaggiatore seduto solo nell’angolo, ripassò poco dopo, e dopo avergli elargito un’occhiata anche più penetrante ricevendone una adeguata di ritorno, entrando deciso e sistemata la valigia sopra la rete gli si sedé di fronte seguitando a guardarlo, e l’altro rispondendo con sempre cresciuta attenzione al suo sguardo.
Esistono, a loro totale insaputa fra gli uomini, dei legami ignoti di cui s’interessano i poeti e non gli scienziati i quali essendo capaci di avvicinare due continenti, e magari di creare uno scherzo per poterli distruggere insieme in un colpo, non vi saprebbero poi dire come e perché due uomini si avvicinano, di quale natura siano le forze che li fanno avvicinare e li tengono legati in quel dato momento tanto che noi, informatissimi in grazia di tante inestimabili conquiste sulle faccende del sole della luna e delle stelle; della molecola e dell’atomo; dei protòni neutroni ed elettroni, cose che vivamente appassionano l’umanità del nostro tempo, lasciando ognuno a friggere nel proprio grasso, poco o nulla conosciamo di quell’atomo che si chiama uomo e per cui rimane nella sua zona essenziale sconosciuto non solo agli altri ma bensì a sé stesso e, quasi generalmente, per il pochissimo che ne sappiamo, in gran parte falsato; e se talvolta gli capiti, per un puro accidente di scoprire qualcosina in proprio o che gli si rivela come da una scucitura del vestito, impaurito di sé si affretta a ricucirlo, ponendo in azione ogni artifizio per sembrare un altro, falsandosi sempre più e meglio, e magari sodisfattissimo del fatto suo.
E dire che gli scienziati sarebbero i soli a potergli recare lumi e conforto, un provvidenziale giovamento, giacché alle loro fantasie tutti prestano orecchio e fanno credito, mentre le scoperte dei poeti lasciano il tempo che trovano ritenendole fantasticherie da fiaba o sogno. E se ai detti scienziati voi domandaste chiarimenti in proposito, quasi sicuramente vi risponderebbero senza dare importanza al fenomeno che tali legami sono in modo esclusivo un prodotto del caso e giustamente, giacché non sono per nulla un prodotto del caso taluni ordigni creati da loro e che da un momento all’altro possono capitarci sul cranio.
Perciò non è difficile indovinare come quei due signori, dopo avere attaccato così bene con lo sguardo, tanto meglio avrebbero attaccato col discorso.
Per tutti gli altri luoghi l’abbrivo è unico e di carattere meteorologico: il tempo, mentre che per il treno è di carattere pratico, si può dir matematico, ma unico lo stesso:
«Siamo in orario?» esordì il nuovo venuto, e l’altro guardando l’orologio al polso:
«Esatto. Se continua di questo passo saremo a Milano alle venti e trentotto.»
«Lei va a Milano?»
L’altro annuì col capo.
«Anch’io. È proveniente da Roma?»
L’altro annuì col capo.
«Vengo da Roma anch’io, ma mi sono fermato un giorno a Firenze per salutare un amico.»
«È quello che farò io stesso durante il viaggio di ritorno: mi fermerò a Firenze per salutare un amico che non vedo da qualche tempo.»
«Ma lei è fiorentino, se non sbaglio.»
L’altro annuì col capo.
«Son fiorentino anch’io.»
«Me n’ero accorto.»
«Ma residente a Roma da molti anni.»
«Anch’io.»
«Fui trasferito a Roma durante il fascismo.»
«Anch’io.»
«Già, come le dicevo, mi sono fermato a Firenze per passare una giornata con un vecchio amico che sta poco bene, poveretto, ha il peggiore, il più incompreso e incomprensibile dei mali, è per natura triste, malinconico, pessimista ad oltranza, sfiduciato e scettico sul conto della vita fino alla negazione del proprio io; un temperamento disgraziatissimo le dico, con crisi acute di tragico mutismo e di sconforto che ne fanno addirittura un essere pietrificato; e disgraziatamente va sempre peggiorando via via che gli anni passano; non s’interessa più a nulla, nulla lo attrae e vede tutto nero. L’ho trovato in uno stato veramente pietoso. Mi sono fermato per infondergli un po’ di coraggio e di questo, debbo dire, se ne mostra riconoscentissimo, me ne è profondamente, sinceramente grato. Ho messo in opera ogni mezzo a mia disposizione per rasserenarlo sul conto di questa nostra misteriosa, travagliata e combattutissima esistenza pure sapendo che è tempo perduto e fiato sprecato. Un male che ha le proprie radici nello spirito, difficilmente classificabile e incurabile come non altro; che sfugge alla più attenta osservazione ed è generalmente poco o punto riconosciuto, e in un certo senso mal giudicato dagli altri che lo vedono come un male astratto considerandolo per la massima parte immaginario. Mi scrive delle lettere che muovono a pietà e mi lasciano addolorato per un giorno intero. Per questo lo amo tanto, perché comprendo la sua sofferenza come nessuno.»
«Appunto, appunto, capisco, un male che gli altri difficilmente comprendono e compatiscono non avendo la propria base in una parte qualificata del corpo: i polmoni o il fegato, il cuore o lo stomaco; e per il quale sotto sotto mostrano diffidenza e incredulità come per un fatto più che casuale volontario non conoscendone le cause con precisione; e d’altra parte osservandone gli effetti sempre un pochino vaghi, incerti e transitori, e che, per quanto gravissimi, appaiono campati in aria all’osservatore superficiale o sprovveduto.»
«Stato vago che però si riverbera in ogni parte dell’organismo, tanto che una volta mi scrive di aver male al fegato e di essere diventato verde come un cetriolo; che gli fanno male i reni e ne paventa il blocco da un momento all’altro; o i polmoni, e che vive nella certezza assoluta di finir tisico; o così maledettamente lo stomaco che da tre giorni non ha toccato cibo; e oppresso da certe emicranie che non gli consentono di tollerare la luce del giorno; un’altra volta ancora ch’è diventato sordo, sordo spaccato; o quasi cieco, si trascina tastoni come nella nebbia, che ha perduto la memoria in un modo così assoluto da non ricordarsi il proprio nome di battesimo; che soffre d’insonnia e durante la notte, non riuscendo a chiudere occhio, gli appaiono visioni infernali e fantasmi ossessionanti che lo terrorizzano; o essendo affetto da asma bronchiale respira come i pesci boccheggiano quando si trovano fuori del loro elemento; che ha le caviglie così gonfie da non consentirgli di muovere un passo: tutte le volte un male diverso. Come dicevamo poco fa un fatto morale ma che si riverbera, a volta a volta, in ogni parte del suo sciagurato organismo. Ho tentato per l’ennesima volta di rallegrarlo, distrarlo in qualche modo, dandogli notizie piccanti, ghiotte, raccontandogli delle salaci storielle per giungere a incuriosirlo strappandogli un sorriso, infondendogli una piccola dose d’interesse per la vita e per il mondo, come del resto ho sempre fatto con scarsissimo risultato, e al tempo medesimo guardandomi dall’insistere troppo giacché con un simile soggetto si ottiene facilmente l’effetto contrario, o gli si strappa quel sorriso di rassegnazione e gratitudine che affiora sulle labbra di un moribondo, e col risultato di vederlo ancor più triste di quando sta serio. Povero amico mio, se lei sapesse come con tutto ciò mi è teneramente affezionato e pieno di riconoscenza per il fedele e comprensivo interessamento del suo infelicissimo stato.»
«Capisco, capisco in modo perfetto, ed è esattamente il contrario del caso mio. Durante il viaggio di ritorno mi fermerò a Firenze per trascorrere una giornata allegra e spensierata con un amico della prima gioventù, giornata di baldoria senza dubbio. Il piacere di rivederci e di stare insieme è così grande che ci eccita ad essere allegri più ancora di quando eravamo due ragazzi e ne combinavamo d’ogni colore, ora che ci troviamo in piena maturità; e so già di non fallire il colpo ma di superare ogni aspettativa e desiderio. Sarà un bagno di gioia purissima, eccessiva al cento per cento ma assolutamente necessaria alla salute dello spirito in un mondo così travagliato, confuso, pieno di contradizioni e di contrasti, di minacce, di persecuzioni e oppressioni, di sofferenze e falsità. Un tipo ameno, le ripeto, il vero caposcarico a cui il tempo anziché conferire pesantezza e serietà, raccoglimento, lo fa divenir più leggero, addirittura aereo, discolo e spensierato come quando era un ragazzino, e sempre in linea per far gazzarra. Non so proprio come faccia ma le scava di sottoterra per non lasciare un punto d’intervallo e di freddezza quando si trova in compagnia di un amico, né riesce a stare zitto un minuto, instancabile e a getto continuo: un vulcano di piena regola le dico, anzi, più ne fa e più diventa agile e pronto per combinarne delle nuove, un carattere felicissimo; non vi è fatto, per tragico o doloroso che possa essere, capace di annuvolarlo, di far diventar serio quel viso da folletto. Facciamo insieme certe risate che mettono in rivolta il casamento. Si figuri che una sera, m’ero attardato presso di lui per ridere insieme sopra certe nostre avventure e anche su quelle di qualche altro, come si fa generalmente in questo caso, le risate ci facevano fare tali salti sulle poltrone e producevano un tale strepito, che gl’inquilini del piano sottostante insorsero con violenza perché non riuscivano a prender sonno, e con maleparole pretendevano d’imporci il silenzio. E lui che dalla finestra seguitava a gridare: “Chi dorme non piglia pesci!”.»
«Ah! Ah! Ah! Ah!»
«Ah! Ah! Ah! Ah! Devo a quell’adorabile creatura le ore più piacevoli della mia esistenza, e pregusto già il piacere di quelle che passeremo insieme fra qualche giorno. Un uomo di un’energia inesauribile, sano come una lasca, di un coraggio spaventoso e perfettamente spregiudicato. Quale ardore di vita in un essere di quello stampo. Stia pur tranquillo che qualunque cosa avvenga non si lascia sopraffare dalla malinconia e dallo scoraggiamento. Non le so dire quale desiderio abbia di rivederlo e di evadere con lui per qualche ora dalle preoccupazioni, e dalle mille avversità di questa vita grigia ed uniforme che viviamo ogni giorno. Conto d’immagazzinare una buona provvista d’allegria nel mio viaggio di ritorno, e portarmene a Roma una provvidenziale riserva. Per molti giorni pensando a lui e al nostro incontro, riprenderò a ridere da solo come un matto.»
«Ah! Ah! Ah! Ah!»
«Ah! Ah! Ah! Ah! E ogni volta che mi scrive posso contare sopra un giorno felice senz’altro, addirittura eccezionale, e me ne avanza per il giorno dopo, non di rado per due o tre. Vorrei farle sentire che letterine mi manda: ah! e senza servirsi di metafore, chiamando pane il pane e cacio il cacio. Quando ho finito di leggerle, reggendomi la pancia dico a me stesso: “Ma questo terribile Galletti deve averci il diavolo in corpo”.»
«Galletti?»
«Si chiama Galletti, sì.»
«Curiosa combinazione: si chiama Galletti anche il mio.»
«Un caso assai frequente, e in Toscana in modo particolare, ce ne sono molti che portano questo nome: Galletti Antonio.»
«Antonio?»
«Antonio, sì, si chiama Antonio.»
«Si chiama Antonio anche il mio: Galletti Antonio.»
«Non è un caso troppo raro, specialmente in questi nomi assai comuni, di due persone che portano uguale il nome e il casato.»
«Perdoni una mia indiscretezza, ma dove abita il suo amico?»
«Nei pressi della stazione, e più precisamente in via delle Belle Donne.»
«In via delle Belle Donne abita anche il mio. Mi voglia scusare ancora se insisto ma, se non le dispiace, a quale numero?»
«Al numero tre.»
«E al numero tre abita il mio. Quale professione esercita, se è lecito?»
«È impiegato di banca.»
«Bancario anche il mio.»
I due ebbero un istante di arresto seguitando a guardarsi con un senso d’incertezza e smarrimento; quindi attingendo lena, ripresero il loro discorso:
«Ma lei non sarebbe, per caso, il signor Capponcini?»
«Capponcini Francesco. E lei non sarebbe, per caso, il signor Pulcinelli?»
«Pulcinelli Romeo, son’io, esatto.»
Cordialmente si strinsero la mano.
A questo punto ebbero un periodo di arresto più lungo assai del primo, quindi ripresero a parlare come chi proceda in un campo minato.
«Lei mi diceva poco fa come il suo amico sia di carattere triste e malinconico, pessimista in modo eccessivo, depresso e vòlto a veder tutto nero, per intenderci: un malato.»
«Triste e malinconico come non ne ho conosciuto un altro, un malato vero e proprio.»
«Galletti triste... malinconico... malato?...»
«Da destare la più profonda compassione ed insieme l’affetto di un amico buono e sincero come sono io.»
«Le posso assicurare che Galletti non sa nemmeno dove stia di casa la malinconia; è sano e vivacissimo, allegro fino a mettere nell’imbarazzo un amico, sempre pronto a far baldoria, un bontempone autentico: il carnevale al completo.»
«Galletti sano... allegro... bontempone... il carnevale al completo?... Si tratta di un funerale né più né meno, e di quelli di terza classe, un caso di tristezza che rasenta il patologico.»
«Mio caro signore, dire allegro è dir poco, giacché noi ci troviamo davanti, le confermo, al più autentico caposcarico. Lui la malinconia la lascia godere agli altri e fa benissimo: se ne godano finché vogliono.»
«Curioso il fatto però, che Galletti mi ha parlato qualche volta del suo amico Capponcini e non me lo ha mai fatto conoscere.»
«Anche a me del suo amico Pulcinelli senza farlo conoscere neppure a me, e senza insistervi troppo, anzi, facendo in modo di sviare quanto prima l’argomento.»
«Galletti non mette mai insieme i propri amici, di questo mi sono sempre accorto. Una volta soltanto ebbe a dirmi: “Sai, Capponcini non è un amico che anderebbe bene per te, sotto sotto è uno scioccherello, un uomo di pochissimo sugo, ride di nulla, e ride come se qualcheduno gli facesse il solletico sopra la pancia o sotto un braccio; gli piace ridere e scherzare ma senza nessuna profondità, manca di vero spirito; altro che ridere e scherzare nel mondo in cui viviamo, deve avere il cervellino di un grillo”.»
«E a me disse una volta: “Pulcinelli non è un uomo per il tuo gusto, ah! proprio no; è una tale lagna che ti fa cascare il pane di mano, si compiace di far da guastafeste ovunque si trovi, il vero cacadubbi, si lamenta di tutto e di ognuno, né trova mai la scarpa che calza al suo piedino, per intenderci: un lavativo”.»
«E ora che mi ricordo, più d’una volta trovandomi presso di lui quando abitavo ancora a Firenze, ed essendo venuto qualcheduno a trovarlo, mi ha rinchiuso nella sua camera da letto dicendo di aspettarlo un momento perché doveva parlare ad uno scocci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione – di Maria Carla Papini
  4. Cronologia
  5. Nota bibliografica
  6. Nota al testo
  7. BESTIE DEL 900
  8. IL BUFFO INTEGRALE
  9. Note
  10. Copyright