Il ciclo degli eredi di Shannara - 2. Il druido di Shannara
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Il ciclo degli eredi di Shannara - 2. Il druido di Shannara

  1. 448 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il ciclo degli eredi di Shannara - 2. Il druido di Shannara

Informazioni su questo libro

Per i quattro eredi di Shannara, riunitisi per liberare le quattro terre dal dominio degli Ombrati, non sono poche le prove che lo spettro del mitico Allanon impone loro di superare. E' infatti necessario restituire ai druidi la scomparsa roccaforte di Paranor, ma occorre anche ritrovare la magica Pietra Nera degli Elfi, attualmente in possesso di una creatura antichissima che sta lentamente pietrificando il mondo.

Proseguendo il ciclo iniziato con "Gli eredi di Shannara", Terry Brooks ha saputo creare una favola spettacolare, un magico viaggio nell'ignoto e nel fantastico dove niente è impossibile.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804388272
eBook ISBN
9788852060748

1

Il Re del Fiume Argento si fermò al limitare dei Giardini che erano stati il suo regno sin dal tempo delle fate e rivolse il suo sguardo in basso, verso il mondo dei mortali. Ciò che vide lo rese triste e sconfortato. La terra, malata, stava morendo, la fertile terra nera si trasformava in polvere, le verdi pianure inaridivano, le foreste erano ormai distese infinite di alberi privi di linfa vitale e l’acqua nei laghi e nei fiumi stagnava o era evaporata del tutto. Ovunque anche le creature che vivevano su quella terra soffrivano e morivano poiché il loro nutrimento era stato avvelenato. Perfino l’aria aveva perso parte della sua purezza.
E mentre succede tutto questo, pensava il Re del Fiume Argento, il potere degli Ombrati si consolida.
Sfiorò con le dita i petali cremisi del ciclamino che fioriva folto ai suoi piedi. Proprio dietro a lui cresceva la forsizia, poco più in là c’erano corniole e ciliegi, fucsie e ibiscus, rododendri e dalie, distese di iris, azalee, narcisi, rose, e centinaia di altri fiori e piante, tutti in piena fioritura, con una profusione di colori che si estendeva a perdita d’occhio. Si scorgevano anche animali, grandi e piccoli, creature la cui origine risaliva al tempo in cui regnavano armonia e pace.
Adesso, nel mondo delle Quattro Terre e delle creature scampate al caos e alla distruzione delle Grandi Guerre, quel passato era quasi dimenticato. Il Re del Fiume Argento era il solo superstite. Egli era pieno di vita quando il mondo era agli albori e nascevano le prime creature. Era giovane allora, e non era solo. Adesso era un vecchio ed era l’ultimo di quella stirpe. Tutto ciò che esisteva un tempo, eccetto i Giardini dove egli viveva, era scomparso. Solo i Giardini sopravvivevano, immutati, grazie alla magia delle fate. Il Verbo aveva affidato i Giardini al Re del Fiume Argento raccomandandogli di occuparsene e di mantenerli come ricordo di quel tempo passato che forse un giorno sarebbe potuto ritornare. Il resto del mondo era cambiato ma i Giardini no.
Tuttavia si erano ristretti, non tanto da un punto di vista fisico ma piuttosto spirituale. I confini dei Giardini erano fissi e immutabili, la loro esistenza era al di sopra dei cambiamenti che avvenivano nel mondo dei mortali. I Giardini erano più una presenza che un luogo definito. Ma questa presenza era stata intaccata dalla malattia del mondo al quale era legata, poiché era compito dei Giardini preservare quel mondo. Da quando le Quattro Terre erano state avvelenate il compito era diventato arduo, gli effetti erano diminuiti e incredulità e sfiducia nella sua esistenza – che sempre era stata qualcosa di indefinito – si facevano largo nelle menti degli esseri umani.
Tutto questo rendeva triste il Re del Fiume Argento. Non si affliggeva per sé – era al di sopra di ciò che stava succedendo – ma per le genti delle Quattro Terre, uomini e donne mortali che correvano il pericolo di perdere per sempre la magia delle fate. Per secoli, nella terra del Fiume Argento, i Giardini erano stati il loro rifugio e lui era lo spirito amico, protettore del popolo. Si era preso cura di loro, gli aveva infuso un senso di pace e benessere che trascendeva l’aspetto fisico, e aveva promesso che avrebbero ancora trovato nel loro mondo bontà e amicizia. Adesso questo non esisteva più, non poteva più proteggerli. Gli Ombrati, avvelenando le Quattro Terre, avevano corroso la sua stessa forza esiliandolo nei Giardini e impedendogli di aiutare coloro che aveva protetto.
Fissò quel mondo in rovina finché la sua disperazione si trasformò in forza. Nella sua mente affioravano i ricordi. Un tempo i Druidi proteggevano le Quattro Terre, ora però se ne erano andati. Un piccolo gruppo di discendenti, tra i migliori della stirpe degli Elfi di Shannara, aveva posseduto ciò che rimaneva della magia delle fate. Ma ormai erano morti tutti.
La disperazione lasciò il posto alla speranza. I Druidi sarebbero potuti tornare. C’erano le nuove generazioni della vecchia stirpe di Shannara. Il Re del Fiume Argento, anche se non poteva recarsi nelle Quattro Terre, era a conoscenza di quasi tutto ciò che vi succedeva. L’ombra di Allanon aveva chiamato alcuni dei figli di Shannara a ristabilire la magia perduta e forse, se fossero vissuti a sufficienza, avrebbero trovato il modo per portare a termine la loro missione. Ma la loro vita era in pericolo, tutti rischiavano di morire, minacciati dagli Ombrati a est, sud e ovest, e da Uhl Belk, il Re della Pietra, a nord.
Chiuse per un attimo gli occhi. Era a conoscenza di quello che avrebbe salvato i figli di Shannara – una magia, così potente e oscura che nulla avrebbe potuto fermare, una magia che avrebbe superato gli ostacoli creati dai loro nemici infrangendo la barriera di illusione e menzogne che nascondeva la verità ai quattro dai quali dipendeva tutto.
Quattro, non tre. Lo stesso Allanon non aveva capito cosa significava.
Si girò e tornò indietro verso il centro del suo rifugio. Lasciò alle sue spalle il canto degli uccelli; la fragranza dei fiori e il calore dell’aria lo blandivano mentre camminava e percepì colore, profumo e forma di tutto quello che lo circondava. All’interno dei Giardini, virtualmente, il suo potere era assoluto; ora la sua magia era necessaria oltre quei confini. Sapeva quello che doveva fare. Assunse le sembianze di un vecchio che di tanto in tanto appariva nel mondo sottostante. Il suo passo divenne strascicato, il suo respiro ansante, i suoi occhi velati e il suo corpo indolenzito. Gli uccelli tacquero e le bestiole che erano attorno a lui fuggirono veloci. Fece uno sforzo per separarsi da tutto quello che aveva creato, ritirandosi nel passato, sentendo il bisogno di ricuperare le sensazioni di un mortale per capire meglio quale parte di sé era necessaria.
Giunto al centro del suo regno, si fermò. C’era un lago d’acqua trasparente, alimentato da un piccolo ruscello, dove un unicorno si dissetava. La terra intorno era scura e fertile, ai margini del lago, candidi come la neve, crescevano sottili e delicati fiori senza nome. All’estremità più lontana, da un cespuglio di violette, spuntava un piccolo albero contorto le cui delicate foglie verdi erano striate di rosso. Da due grandi rocce, vene di minerali colorati brillavano al sole.
Il Re del Fiume Argento rimase immobile dinanzi alla vita che scorreva intorno a lui, pronto a diventare tutt’uno con essa. Fatto questo, quando ogni cosa era confluita nella forma umana che lui aveva assunto, come se avesse unito con una corda invisibile piccoli pezzi e parti diverse, egli si protese per comporre un tutto unico. Le sue mani, con pelle rugosa e ossa fragili, si levarono per evocare la magia e le sensazioni spazio-temporali, residui di un’esistenza mortale, scomparvero.
Per primo gli si avvicinò il piccolo albero portando davanti a lui la sua struttura priva di radici, scheletro di quello che stava per creare. Si piegò a poco a poco per assumere la forma che egli desiderava, mentre le foglie intrecciate attorno ai rami si staccavano e volavano via. Seguì la terra, trasportata a manciate da palette invisibili che la deponevano contro l’albero, ricoprendolo, tracciandone il contorno. Poi fu la volta dei minerali per i muscoli, delle acque per la linfa e dei petali di fiori delicati per la pelle. Raccolse la seta per i capelli sulla criniera dell’unicorno e perle nere per gli occhi. La magia si insinuò iniziando la sua opera e, lentamente, la creazione prese forma.
Quando tutto fu finito, la fanciulla che stava in piedi davanti a lui era perfetta in tutto tranne che per un particolare. In lei mancava ancora la vita.
Egli si guardò intorno e scelse una colomba. La prese e, ancora viva, la introdusse nel petto della fanciulla facendone il suo cuore. Si avvicinò subito a lei per stringerla tra le braccia e trasmetterle la sua stessa vita. Poi fece qualche passo indietro e attese.
Il petto della fanciulla ebbe un sussulto e le sue gambe si contrassero. Aprì gli occhi che, neri come il carbone, spiccavano sulla carnagione pura e delicata. L’ossatura era minuta e finemente modellata, come una scultura dalle morbide curve. I suoi capelli erano così chiari e lucenti da sembrare d’argento.
«Chi sono?» chiese con una voce dolce e musicale come i fruscii della notte.
«Sei mia figlia» rispose il Re del Fiume Argento, provando sentimenti che pensava di aver perduto.
Non le disse che era figlia della terra, creata con la sua magia: avrebbe capito da sola grazie ai poteri che lui le aveva trasmesso. Non era necessaria alcuna spiegazione.
Lei cercò di muovere un passo, poi un altro. Scoprendo di poter camminare cominciò ad avanzare rapidamente, mettendo alla prova le sue capacità mentre girava intorno al padre, lanciandogli timide occhiate. Si guardò attorno curiosa, percepiva profumi, rumori, sensazioni che permeavano i Giardini e avvertiva in essi una sorta di affinità di cui non riusciva a trovare una spiegazione.
«I Giardini sono mia madre?» chiese all’improvviso, e il Re rispose affermativamente. «Sono parte anche di te?» e di nuovo egli annuì.
«Seguimi» le disse dolcemente.
Insieme attraversarono i Giardini, esplorandoli come ogni padre farebbe con il figlio; esaminarono i fiori, osservarono il rapido movimento di uccelli e animali, studiarono il complicato intreccio del sottobosco, gli strati di roccia e di terra. Lei era intelligente e vivace, tutto la interessava e nutriva un profondo rispetto per la vita. Egli fu compiaciuto di ciò che vedeva.
Poi cominciò a mostrarle qualcosa di magico. Prima di tutto la magia che lui stesso possedeva, solo in parte però, per non spaventarla. Poi lasciò che lei provasse a opporvisi. Scoprire di possedere la magia, la sorprese più di ciò che le permetteva di fare. Eppure non esitò a usarla: era anzi impaziente.
«Vuoi conoscere il tuo nome?» le chiese.
«Sì» rispose lei guardandolo attenta.
«Il tuo nome è Viridiana. Ne comprendi il significato?»
Dopo un attimo di riflessione lei rispose nuovamente: «Sì».
La condusse verso un vecchio noce quasi del tutto privo di corteccia, con il tronco ricoperto di rampicanti. Qui, rinfrescati da una brezza leggera, profumata di gelsomino e begonia, si sedettero vicini, sull’erba soffice. Un grifone vagava tra l’erba alta e si strofinava contro le mani della fanciulla.
«Viridiana» disse il Re del Fiume Argento. «C’è una cosa che tu devi fare.»
Pacatamente le spiegò che avrebbe dovuto lasciare i Giardini per andare tra gli uomini. Le disse dove doveva andare e cosa doveva fare. Le parlò dello Zio Oscuro, del Cavaliere, e di Ombrati senza nome, di Uhl Belk ed Eldwist e della Pietra Nera. Mentre parlava con lei, rivelandole la verità sulla sua origine, sentiva una fitta dolorosa al petto, chiaramente umana, proveniente da quella parte di lui che era rimasta nascosta per secoli. Diventò triste e la sua voce si spezzò mentre dagli occhi scendevano lacrime. Sorpreso, cercò di soffocarle, e riprendere il discorso gli costò fatica. La fanciulla lo fissava in silenzio – il suo sguardo era intenso, profondo e ansioso. Non discusse le sue parole e non fece domande. Semplicemente ascoltò e accettò.
Quando egli terminò di parlare lei si alzò. «Capisco qual è la mia missione. Sono pronta.»
Ma il Re del Fiume Argento scosse la testa. «No, figlia mia, non lo sei. Lo scoprirai quando abbandonerai questo luogo. Nonostante la tua origine e i tuoi poteri, sei vulnerabile e ci sono cose dalle quali io non posso difenderti. Guardati da ciò che non puoi capire.»
«Lo farò» rispose.
Camminò con lei sino al limite estremo dei Giardini, dove iniziava il mondo degli uomini e insieme rivolsero i loro sguardi sulle sue rovine. Rimasero muti a lungo poi la fanciulla disse: «Senz’altro là c’è bisogno di me».
Egli annuì tristemente, sentendo già la sua mancanza. Lei è solo un elemento, pensò, ma si rese conto immediatamente di essere in errore. Lei era molto di più. Lei era parte di lui, in modo più intimo di quanto non potesse esserlo una figlia naturale.
«Arrivederci, padre» gli disse improvvisamente scostandosi dal suo fianco.
Uscì dai Giardini e scomparve nel mondo. Allontanandosi non lo aveva baciato né abbracciato. Se ne era semplicemente andata poiché sapeva di doverlo fare.
Il Re del Fiume Argento tornò indietro. Gli eventi lo avevano affaticato, avevano indebolito il suo potere magico. Sentiva il bisogno di riposarsi. Si liberò rapidamente dal suo aspetto umano, spogliandosi della sua carnalità, di ricordi e sentimenti, tornando a essere una creatura delle fate.
Anche così, ciò che provava per Viridiana, sua figlia, creata con il suo potere, non mutò.

2

Walker Boh, tremante, riprese coscienza.
Zio Oscuro.
Il bisbiglio di una voce nella mente lo fece riemergere dal fondo del buco nero nel quale stava scivolando, sospingendolo dal buio più cupo verso una luce grigiastra: avvenne tutto così bruscamente che i muscoli delle sue gambe furono attanagliati da un crampo. Alzò la testa che teneva ripiegata tra le braccia, aprì gli occhi e guardò, privo di espressione, davanti a sé. Ondate continue di dolore travolgevano il suo corpo. Era come se fosse stato colpito da un ferro incandescente ed egli si ripiegava su se stesso nell’inutile sforzo di lenire il dolore. Solo il suo braccio destro rimaneva disteso, pesante e fastidiosa appendice che non gli apparteneva più, unito per sempre al pavimento della caverna nella quale giaceva, trasformato in pietra fino al gomito.
Questa era l’origine del dolore.
Chiuse gli occhi per combatterlo, cercando di superarlo, di vincerlo. Ma aveva perso la forza, il potere magico si era affievolito, indebolito dalla lotta sostenuta per resistere al veleno dell’Asphinx. Erano trascorsi sette giorni da quando era arrivato nella Cripta dei Re per cercare la Pietra Nera, sette giorni da quando aveva trovato la creatura portatrice di morte lasciata lì per intrappolarlo.
Oh, sì, pensò agitato, proprio per ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Mappa
  4. Il Druido di Shannara
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Capitolo 7
  12. Capitolo 8
  13. Capitolo 9
  14. Capitolo 10
  15. Capitolo 11
  16. Capitolo 12
  17. Capitolo 13
  18. Capitolo 14
  19. Capitolo 15
  20. Capitolo 16
  21. Capitolo 17
  22. Capitolo 18
  23. Capitolo 19
  24. Capitolo 20
  25. Capitolo 21
  26. Capitolo 22
  27. Capitolo 23
  28. Capitolo 24
  29. Capitolo 25
  30. Capitolo 26
  31. Capitolo 27
  32. Capitolo 28
  33. Capitolo 29
  34. Capitolo 30
  35. Capitolo 31
  36. Capitolo 32
  37. Capitolo 33
  38. Copyright