Acqua che scorre.
Rumore di uccellini.
Dov’è il riparo? cantano. Dov’è il riparo?
E in sottofondo, la musica.
Giuro, musica.
Strati di musica, flautata e strana e familiare.
E c’è luce che preme sull’oscurità, strati di luce, bianca e gialla.
E calore.
E morbidezza sulla mia pelle.
E un silenzio lì accanto a me, mi si schiaccia addosso forte più che mai.
Apro gli occhi.
Sono in un letto, sotto delle lenzuola, in una stanzetta quadrata dalle pareti bianche con la luce del sole che si riversa da almeno due finestre aperte e il suono del fiume che scorre fuori e gli uccelli che volteggiano sugli alberi (e musica… è musica, no?) e per un attimo non solo non so dove sono, ma non so neanche chi sono o cos’è accaduto o perché provo dolore al…
Vedo Viola, china su una sedia accanto al letto, dorme, respira con la bocca aperta, le mani strette fra le gicocchia.
Sono ancora troppo ittontito per riuscire a muovere la bocca e pronunciare il suo nome ma il mio Rumore lo sta articolando forte e chiaro perché le sue palpebre battono e si aprono e il suo sguardo incontra il mio e scatta in piedi dalla sedia e mi stringe fra le braccia e il mio naso le preme sul collo.
«Oh Gesù, Todd» dice, schiacciandosi così forte a me da farmi quasi male.
Le poggio una mano sulla schiena e isspiro il suo profumo.
Fiori.
«Credevo non saresti mai tornato» dice, stringendo forte. «Credevo fossi morto.»
«Morto?» faccio, la voce rauca, sforzandomi di ricordare…
«Stavi male» dice Viola, staccandosi da me, le gicocchia ancora sul letto. «Malissimo. Il dottor Snow non era certo che ti saresti mai risvegliato e quando un medico arriva a dire questo…»
«Chi è il dottor Snow?» chiedo, guardandomi intorno nella stanzetta. «Dove siamo? Siamo a Haven? E cos’è quella musica?»
«Siamo in un insediamento chiamato Carbonel Downs» dice. «Il fiume ha continuato a trasportarci e…»
S’itterompe perché mi vede guardare ai piedi del letto.
Lì dove Manchee non è.
Ricordo.
Sento la stretta al petto. Mi si chiude la gola. Lo sento abbaiare nel mio Rumore. «Todd?» dice, chiedendosi perché lo abbandono. «Todd?» con un interrogativo, proprio così, una domanda sospesa per sempre, mi chiede dove vado senza di lui.
«Non c’è più» dico, come a me stesso.
Viola sembra sul punto di dire qualcosa ma quando la guardo negli occhi, li ha umidi e si limita ad annuire, che è la cosa giusta, la cosa che voglio.
Non c’è più.
Non c’è più.
E non so che dire.
«È Rumore quello che sento?» esclama una voce, preceduta dal suo Rumore, da dietro una porta ai piedi del letto. Entra un uomo, un uomo massiccio, alto e imponente, con un paio di occhiali che gli fanno sembrare gli occhi sporgenti e una ciocca ribelle sulla testa e un sorriso sbilenco e il suo Rumore mi giunge tanto carico di sollievo e di gioia che quasi mi verrebbe da scappare via dalla finestra alle mie spalle.
«Il dottor Snow» mi dice Viola, mentre si affretta ad alzarsi per cedergli il posto.
«Lieto di conoscerti, finalmente, Todd» dice il dottor Snow con un ampio sorriso, sedendosi sul letto e prendendo uno strumento dal taschino della camicia. Ne infila due estremità alle orecchie e poggia la terza sul mio petto senza neanche chiedere il permesso. «Mi faresti un bel respiro profondo?»
Non faccio nulla, lo guardo e basta.
«Sto controllando se hai i polmoni liberi» dice e ora capisco cos’è che ho notato. Il suo accento è il più simile a quello di Viola che ho mai sentito a Mondo Nuovo. «Non esattamente identico» dice «ma molto simile.»
«È stato lui a guarirti» dice Viola.
Non dico nulla ma faccio un respiro profondo.
«Bene» dice il dottor Snow, spostando l’estremità del suo strumento su un altro punto del mio petto. «Ancora.» Isspiro ed espiro. Scopro che sono capace di isspirare ed espirare, riempiendomi e svuotando completamente i polmoni.
«Stavi davvero male, ragazzino» dice. «Non ero certo che saremmo stati in grado di sconfiggerla. Non emettevi neppure Rumore, fino a ieri.» Mi guarda negli occhi. «Era da tanto che non vedevo questa sindrome.»
«Sì, be’» dico.
«Non sentivo di aggressioni da parte di Spackle da tantissimo tempo» dice. Non gli rispondo nulla, mi limito a respirare profondamente. «Ottimo, Todd» dice il dottore. «Potresti toglierti la maglietta, per favore?»
Guardo lui, poi Viola.
«Aspetto fuori» dice lei, ed esce.
Stiro le braccia indietro per sfilarmi la maglietta dalla testa e nel farlo mi accorgo che non ho più dolore fra le scapole.
«Ho dovuto suturare con dei punti, lì» dice il dottor Snow, girando dietro di me. Mi poggia lo strumento alla schiena.
Mi ritraggo di scatto. «È freddo.»
«Non ha voluto lasciarti da solo neppure un attimo» dice, senza rispondermi, mentre controlla il mio respiro in diversi punti. «Neppure per dormire.»
«Da quanto mi trovo qui?»
«Questa è la quinta mattina.»
«Cinque giorni?» dico e non gli lascio il tempo di dire di sì che già sto scalciando le lenzuola e scendo dal letto. «Dobbiamo andare via di qui» dico, un po’ vacillante ma in piedi.
Viola si affaccia sulla porta. «Ho provato a dirglielo un sacco di volte.»
«Siete al sicuro qui» dice il dottor Snow.
«L’abbiamo già sentita questa» dico. Guardo Viola in cerca di sostegno, ma lei si limita a trattenere un sorriso e mi accorgo di essere lì in piedi con indosso solo un paio di mutande lise e buchellerate che non coprono quanto dovrebbero. «Ehi!» dico, mettendo le mani nei punti importanti.
«Siete al sicuro qui, più che in qualunque altro posto» dice il dottor Snow alle mie spalle, passandomi i miei pantaloni da una pila di bucato ben lavato. «Siamo stati uno dei fronti principali durante la guerra. Sappiamo come difenderci.»
«Quelli erano Spackle.» Volto le spalle a Viola e infilo le gambe nei pantaloni. «Qui si parla di uomini. Mille uomini.»
«Così si dice» risponde il dottor Snow. «Anche se non è numericamente possibile.»
«Numericamente non so niente di certo» dico «ma sono armati.»
«Anche noi.»
«Hanno i cavalli.»
«Anche noi.»
«E avete degli uomini che ...