Ascesa e caduta dei grandi poteri
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Ascesa e caduta dei grandi poteri

  1. 372 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Ascesa e caduta dei grandi poteri

Informazioni su questo libro

In una polverosa libreria in un paesino remoto del Galles, Tooly Zylberberg sta cercando di leggere una biografia mentre Fogg, il suo giovane assistente, non la smette di blaterare. La sua vita è fatta di questo, passeggiate romantiche nella brughiera, libri, il piccolo pub dove nessuno sa niente di lei. Una sera però il computer si illumina: una richiesta d'amicizia su Facebook. Tooly legge quel nome, lo riconosce, una vertigine le fa chiudere subito lo schermo. Poi riapre la pagina di Facebook, trova il messaggio: "Possiamo parlare di tuo padre?". Già, ma la domanda di Tooly è: "Quale padre?". Il passato torna come un'onda gigantesca e strappa Tooly dal suo tranquillo approdo. Cosa nasconde? Qual è la storia della sua vita? Se c'è una storia, tra le mille lette, che proprio non ha senso quella è la sua. Tooly cresce in Asia, poi in Europa, poi negli Stati Uniti. E chi bada a lei mentre viene sballottata da un continente all'altro? Suo padre, all'inizio, sconclusionato genio dell'informatica che l'adora ma non sa bene come star dietro a una bambina nel caos di Bangkok. Poi arriva Humphrey, il bisbetico scacchista russo. La riporta a New York facendole conoscere sua madre, Sarah, affascinante e tempestosa attrice. E infine c'è Venn, il suo secondo padre, colui che la terrà in pugno con il suo grande carisma, per poi, all'improvviso, scomparire. Tooly aveva da tempo rinunciato a inseguire le troppe domande senza risposta, i troppi fili che non formano una trama, e ora si ritrova quello stupido messaggio. Venn sta per morire e vuole vederla. Ma chi è davvero Venn? Che fine ha fatto il suo padre biologico? E sua madre? Più ambizioso di una storia di famiglia, più avventuroso di un viaggio intorno al mondo, un romanzo che tiene insieme bevitori di vodka russi e bambini americani che cenano con gli occhi incollati ai videogame. Con questo romanzo Tom Rachman è entrato a pieno diritto nel prestigioso pantheon della letteratura angloamericana.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804650331
eBook ISBN
9788852061691

2011

Truccarsi non era esattamente il suo forte. Ricorrendo alle esperienze alla scuola d’arte, Tooly sottolineò ciascun occhio “gestualmente”, come avrebbe detto il suo insegnante, poi strizzò gli occhi alla propria immagine riflessa nello specchietto retrovisore, scrutando attraverso due macchie nere. «Oddio, è ridicolo!» disse, e lasciò cadere una goccia di sputo su un fazzolettino per pulirsi entrambi gli occhi. Un certo modo di scompigliare i capelli sembrava alla moda, mentre un altro ricordava vagamente un ragazzo adolescente. Aveva un aspetto “severo”? Chi glielo aveva detto?
Partì dall’aeroporto di Cork sulla macchina a nolo, attraversò South Tipperary, dirigendosi a est oltre Clonmel, seguendo i cartelli per Waterford, verso la destinazione, Beenblossom Lodge, che aveva localizzato su una mappa on line. In mezzo a una strada di campagna a due corsie, fermò la Nissan Micra, lasciò le quattro frecce lampeggianti. Era agitata al pensiero che “Xavier Karamage” potesse essere a pochi minuti di distanza. Aveva fatto questo viaggio in Irlanda senza essere invitata e senza avvertire. Chissà se lui era lì? Imboccò un viale privato.
Aspettando che apparisse la casa, guidò a passo d’uomo. Ma il viale proseguì per almeno un chilometro attraverso i boschi, offrendo vedute stroboscopiche fra i tronchi degli alberi di un campo color smeraldo che conteneva un laghetto con un isolotto. Infine, arrivò in una radura di ghiaia bordata di rododendri. Il Beenblossom Lodge era una villa georgiana, edera sopra le finestre a ghigliottina, allegri comignoli a ciascuna estremità del tetto d’ardesia, un portico a quattro colonne fiancheggiato da vasi Regency traboccanti di viole del pensiero. Posteggiò accanto a una Range Rover nera e una Mini rosa, e spense il motore. Rimase seduta un momento, guardando la porta d’ingresso.
Se si sbagliava su ciò che conteneva quella casa, il suo viaggio sarebbe stato uno spreco colossale, e niente sarebbe stato chiarito. Ma se aveva ragione? Rimase immobile, il retro delle ginocchia sudate appiccicato al sedile di vinile.
Bussò alla porta. Attese.
Bussò di nuovo.
Venne ad aprire una giovane donna dai capelli fiammanti, in jeans e stivali da cavallerizza, camicia azzurra con due bottoni slacciati di troppo, aperta sul petto lentigginoso, presumibilmente per l’allattamento, data la presenza del neonato dalle labbra lucenti appoggiato sul suo fianco. «Salve!» disse allegramente la donna, grattandosi la rossa criniera con l’antenna del cordless.
«Scusi il disturbo» disse Tooly. «Sto cercando Xavier Karamage. È giusto?»
«Sì, certo» rispose l’altra allegramente, con l’accento nitido dell’aristocrazia inglese, poi disse al telefono: «Mamma? Visite. Sì, sì. Baci a tutti». Riattaccò e si rivolse a Tooly – «La prego, entri» – poi la precedette in un lungo vestibolo, l’assito di pino chiazzato da fango secco, scarpe spaiate tra giocattoli di bambini, un radiatore coperto di posta, un vaso di peltro contenente un fucile smontato, bastoni da hockey su prato, fioretti da scherma, cesoie, un pallone sgonfio. «Il mio orrendo marito è fuori a porre fine a vite innocenti» disse la donna, scalciando con la punta del piede un sonaglio che schizzò in fondo al corridoio. Entrò da una porta, dondolando il bambino sul fianco, mentre la voce si affievoliva: «Non saprei nemmeno dire quando tornerà quell’uomo orribile».
Tooly la seguì, attraversando la porta di una biblioteca scura, poi una sala da pranzo bordeaux, giù per cinque gradini in una cucina rustica con soffitto a travi, un ampio camino, e una finestra a riquadri affacciata sul parco.
«A proposito, non so nemmeno chi è lei» esclamò la donna, sedendosi su una lunga panca in cucina, piazzando il poppante sul tavolo davanti a lei. Tirandosi un acino d’uva in bocca, offrì la ciotola a Tooly. «Sono così impegnata con il battesimo, che non riesco nemmeno a pensare. Per favore, ne prenda uno. Ne prenda un grappolo. Li prenda tutti, se vuole.»
Si scambiarono i nomi e Tooly si descrisse come una vecchia amica di Xavier, dicendo che passava da quelle parti.
«Bene, mi consola che non sapessimo del tuo arrivo» disse Harriet, passando al tu. «Altrimenti avrei dovuto arrabbiarmi con quel bruto. Ha l’abitudine di far aspettare i suoi ospiti. E così, Tooly, dovrei sapere chi sei? Scusa, non vorrei sembrare scortese. Certo che dovrei saperlo.» Si grattò la testa, disse: «Troppa mancanza di sonno».
«Pensi che tornerà presto?»
«Sì, sì. Appena avrà messo fine ai suoi omicidi.» Arguì che questo richiedesse una spiegazione. «Furetti» soggiunse. «Io non me ne preoccupo affatto, lasciamoli in pace, non credi? Ma il mio spaventoso marito ha scovato un nido in una garenna abbandonata ed è stato impegnato a pompare gas di scarico là sotto per giorni. Per quel che mi riguarda, i furetti sono carini. È come avere delle volpi che sfrecciano in giardino. Lui la pensa diversamente. Forse ha ragione – sono considerati bestie nocive. Nondimeno…»
Il piccolo guardò Tooly a bocca aperta e lei ricambiò, alzando le sopracciglia. Harriet guardò i due che si guardavano a vicenda. «I bebè fissano la gente così. Mi dispiace.»
«Non m’importa. Non mi capita spesso di fissare un’altra persona. Purché a lui non dispiaccia se…»
«Lei.»
«Purché a lei non dispiaccia se la fisso a mia volta.»
Ma la piccola perse interesse nei rumori degli adulti, e la sua improvvisa mancanza di attenzione le zittì.
«È passato un angelo» disse Harriet.
«Cosa?»
«È la cosa che dicono i francesi quando una conversazione s’interrompe di colpo. A proposito di angeli, c’est le diable qui s’approche. Ciao, caro.» Si alzò a salutare il marito.
I suoi quattro cani scorrazzarono nel disimpegno, ciascuno diverso per taglia e colore, da un terrier scozzese ad altezza caviglia, a un bobtail alto fino all’anca, con in mezzo un jack russell e un bull terrier, ciascuno che annusava, saltava, abbaiava, correndo in giro per tutta la casa. «Non sui divani, ragazzi!» gridò Harriet. «Neanche tu» disse al marito che scalciava gli stivali di gomma vicino alla lavatrice.
Si chinò a baciare la moglie. Un perfetto gentiluomo di campagna, nell’aspetto, in giaccone impermeabile Barbour e berretto di tweed, che gettò sul tavolo. Harriet mise in testa alla piccola il berretto, che la ingoiò fino alla gola tremolante, scatenando un Uaaaaa! terrorizzato. «Oh, stupidina!» esclamò Harriet, togliendole il berretto. Rivedendo la madre, la bimba gorgogliò, e Harriet si chinò a sbaciucchiarle la guancia. «C’è solo un angelo qui! Vero, tesoro?» La piccola si produsse in una risatina.
Harriet insistette – e il marito la spalleggiò, ignorando le proteste di Tooly – che doveva fermarsi per la notte nella casa degli ospiti, proprio di fronte alle scuderie. Lui prese la sua sacca dalla Micra, la condusse oltre una dozzina di box, con tre cavalli che nitrivano contrariati, verso i suoi alloggi sul retro.
«Lo sapevo» disse Tooly. «Lo sapevo che eri tu.»
Camminarono per un minuto, senza parlare, lei chiudendo gli occhi per qualche secondo, elettrizzata e tranquillizzata dalla sua vicinanza. «Questo posto è incredibile» disse. «Quanta terra avete qui?»
«Se te lo dico in acri» chiese Venn «significherebbe qualcosa per te?»
«Probabilmente no.»
«In questo caso, circa centoquaranta acri.»
«È la metà del Texas?»
«Non proprio. Ma un’area rispettabile, per South Tipperary.» Aprì la porta della dépendance, infilò dentro la sacca.
«Non sembri sorpreso che sia arrivata fin qui.»
«Non sono mai sorpreso, papera, mai sorpreso.»
«Non ti spiace che sia venuta, vero?»
«Tooly, Tooly, Tooly» disse lui, mettendole un braccio intorno alle spalle. «È un po’ tardi per chiederlo.»
Rientrarono nella casa principale dal retro della cucina e trovarono Harriet che batteva sul suo iPad, la piccola ipnotizzata dallo schermo.
«Vado a mostrare la proprietà alla nostra giovane amica» Venn informò la moglie, senza aver informato Tooly.
«Magnifico» disse Harriet, sollevando la piccola verso il marito. «Bacio.»
Con sorpresa di Tooly, lui eseguì doverosamente, chinandosi sulla guancia paffuta della bambina.
La pioggia della sera prima aveva impregnato il terreno dietro le scuderie, e lei e Venn sguazzarono verso gli alberi, con i quattro cani alle calcagna. Tutto questo sciaguattare rendeva la loro escursione decisamente comica – Tooly si mise a ridere, si girò verso di lui e lo vide sorridere a sua volta. Proseguirono, col fango che si ispessiva sulle sue scarpe. «Allora» osservò Tooly «sei l’orgoglioso proprietario di una palude. Congratulazioni. E dove diavolo mi stai portando?»
Raggiunsero una jeep aperta del tempo di guerra, che lui usava per andare in giro sulla proprietà. Ai cani che guaivano, disse: «Quelli di voi che vogliono venire, salgano adesso». Tutti e quattro balzarono a bordo, seguiti da Tooly.
Venn sparò la jeep sullo sterrato, sollevando fango, mentre i cani protendevano i musi nel vento. Guidando con il gomito sul volante, Venn le indicò le vedute salienti mentre procedevano: dove Harriet andava a cavallo, dove facevano battute di caccia, l’alveare giù per la collina. Non si era allacciato la cintura di sicurezza, così non lo fece nemmeno Tooly, tenendosi aggrappata alla maniglia della portiera con il vento che le schiaffeggiava il viso. Venn si fermò davanti a una ventina di arnie in legno di cedro, annebbiate da nugoli di api. Spense il motore, il rombo rimpiazzato dal ronzio degli insetti. Saltò giù e ispezionò un’arnia pullulante di api.
«Non dovresti indossare una tenuta protettiva?» gli gridò Tooly, tenendosi a distanza di sicurezza insieme ai cani. «Non pungono?»
Lui ritornò, alzò la mano, gonfia di punture, e imballò il motore.
«Idiota» disse lei.
Ripartirono, il veicolo che sferragliava sulle griglie per il passaggio del bestiame, il braccio di Venn che rabbrividiva mentre compiva un ampio gesto sopra il parabrezza, a indicare la terra davanti a loro. «È tutta dei suoi» disse Venn. «Sono anglo-irlandesi. La famiglia è antichissima.» Durante la guerra d’indipendenza irlandese, le spiegò, gli antenati di sua moglie avevano ceduto la residenza contro la loro volontà, quando i nazionalisti vi avevano appiccato il fuoco. Molto tempo dopo, i Beenblossom avevano fatto pellegrinaggi annuali per visitare il cimitero di famiglia – Harriet soleva venire con i nonni. Poi, due anni prima, Venn si era guadagnato la loro eterna gratitudine quando aveva restituito la proprietà ai Beenblossom, convincendo gli ultimi proprietari, rovinati dal crollo immobiliare, ad accettare un’offerta ridicolmente bassa.
«La recessione è stata terribile in Irlanda, vero?» disse Tooly.
«Come nella maggior parte dei posti» rispose lui. «È sempre la solita vecchia storia: mercato immobiliare senza regole, ipoteche folli, il crollo ovvio.» Conifere sfrecciarono via ai lati della jeep. «A quanto pare, è stata la storia della povertà in Irlanda a fargli perdere la testa.» Si fermò a riflettere. «Di fatto, è la storia da biasimare per gran parte di questa crisi. Di sicuro è quello che sta distruggendo l’Europa.»
«Cosa vuoi dire?»
«Be’, cercare di saldare insieme tutti questi Paesi» disse. «Tutta questa idea dell’Unione Europea, di coinvolgere in un’economia comune nemici giurati in modo che smettano di tagliarsi la gola a vicenda – e con i tedeschi a finanziare il tutto per i sensi di colpa della guerra. Proprio adesso ai tedeschi viene chiesto di pagare i debiti di Grecia, Spagna, Italia, e ogni altro Paese che mette le mani nelle tasche pubbliche. Quello che stanno dicendo è: “Quanto vi sentite storici?”. Stanno chiedendo: “Continuerete a pagare per quello che hanno fatto i vostri nonni settant’anni fa?”.» Uscì dalla strada, guidando nell’erba alta. Si fermò davanti a un pascolo occupato da polli in cerca di becchime. «È la storia il problema» continuò. «La gente, guarda caso, non è un prodotto del proprio tempo. È il prodotto di un tempo precedente.» Lasciando le chiavi a ciondolare nel quadro, Venn saltò giù dalla jeep, spiaccicando il fango con gli stivali. «Serve una mano?»
«Se l’Europa è un tale casino, perché ci stai?» chiese Tooly, scendendo dal veicolo.
«Sono venuto proprio perché era tutto un casino. Un tempo pensavo che bisognasse andare dove i posti prosperavano. Invece bisogna seguire il caos. È lì che c’è dinamismo. Come disse il poeta: “In Italia, per trent’anni, sotto i Borgia, hanno avuto guerre, terrore, omicidi e spargimenti di sangue, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, hanno avuto cinquecento anni di democrazia, e che cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù!”.»
«Quale poeta l’ha detto?»
«Mi è andata bene in Irlanda» continuò Venn. «Ma sarò fuori di qui molto presto.»
«Per andare dove?»
«Perché? Vuoi avvertirli?» Le pizzicò il braccio con affetto. «Ci sono opportunità ovunque...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 2011
  4. 1999
  5. 1988
  6. 1988: la fine
  7. 1999: la metà
  8. 2011: l’inizio
  9. 1988
  10. 1999
  11. 2011
  12. 1988
  13. 1999
  14. 2011
  15. 1988
  16. 1999
  17. 2011
  18. 1988
  19. 1999
  20. 2011
  21. 1988
  22. 2000
  23. 2011
  24. 1988
  25. 2000
  26. 2011
  27. 1988
  28. 2000
  29. 2011
  30. 1988: la fine
  31. 2000: nel mezzo
  32. 2011: l’inizio
  33. RINGRAZIAMENTI
  34. Copyright