L'uomo senza qualità
  1. 1,320 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Ulrich, l'uomo "senza qualità", di qualità ne ha tante e straordinarie, ma non riesce a indirizzarle verso uno scopo. Ha ormai passato i trent'anni e ha alle spalle una breve carriera di ufficiale, studi di ingegneria e matematica, accompagnati da vaste letture in tutti i campi del sapere, quando viene nominato segretario del comitato che organizza le celebrazioni per il settantesimo anniversario dell'ascesa al trono di Francesco Giuseppe, che cadrà nel dicembre 1918. Un'attività che prende il nome di Azione parallela perché si contrappone ai festeggiamenti che i "cugini tedeschi" stanno organizzando per i trent'anni di regno di Guglielmo II, nel giugno del medesimo anno. La narrazione dei progressi dell'Azione parallela, scarsi fino all'insuccesso, si interseca nel romanzo con quella di vicende private, come la crisi della coppia formata da Walter e Clarisse o il complesso legame che unisce Ulrich alla sorella Agathe, e di vicende sociali a carattere esemplare, come quella di Christian Moosbrugger, condannato a morte per l'assassinio di una prostituta. La trama lascia ampio spazio a divagazioni e introspezioni, oltre che a complesse simbologie, sempre interpretabili da molteplici direzioni. In ogni pagina di questo capolavoro incompiuto, fondamentale nella storia della letteratura al pari della Recherche di Proust, dell' Ulisse di Joyce, dei libri di Kafka, Rilke e Mann, rifulgono i frammenti di una struttura in perenne movimento, specchio di una realtà mai univoca, nella quale domina la dimensione del possibile, insieme apocalittica e liberatoria, esplorata con gli strumenti dell?ironia e del paradosso.
Il volume è curato da Ada Vigliani e arricchito da uno scritto di Ingeborg Bachmann.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804625551
eBook ISBN
9788852062063
PARTE III

Verso il Regno Millenario (I criminali)

1

La sorella dimenticata

Quando, nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno, Ulrich arrivò a…1 e uscì dalla stazione, si trovò davanti una piazza larga e infossata che, alle estremità, sboccava in due strade risvegliandogli nella memoria impressioni quasi dolorose, com’è tipico di un paesaggio già visto e rivisto, e poi dimenticato.
«I redditi si sono ridotti del venti per cento, glielo assicuro, e il costo della vita è rincarato di un altro venti per cento: in tutto il quaranta per cento!» «E io Le assicuro che la Corsa dei Sei Giorni2 è un evento che unisce i popoli.» Sentiva ancora queste voci risuonargli all’orecchio: le voci dei compagni di viaggio. Distintamente udì poi affermare: «Eppure la lirica è per me al di sopra di tutto!». «È dunque uno svago per Lei?» «No, una passione!»
Ulrich piegò la testa da un lato, come per far uscire acqua da un orecchio. Nel treno affollato il viaggio era stato lungo: gocce della conversazione generale, che s’erano infiltrate in lui durante il tragitto, si riversavano ora all’esterno. In mezzo all’allegra eccitazione dell’arrivo, che la porta della stazione – quasi fosse la bocca di un tubo – lasciava defluire nella quiete della piazza, Ulrich aveva aspettato finché, diventato quel flusso un mero sgocciolio, egli si ritrovò nel risucchio del silenzio che segue il rumore. E mentre il suo udito ne restava turbato, davanti ai suoi occhi calò un’insolita pace. Il mondo visibile si delineava più netto del consueto e, nel dare un’occhiata d’insieme alla piazza, Ulrich scorse dalla parte opposta le comunissime intelaiature a croce delle finestre che, nella luce crepuscolare, si stagliavano nere sulla pallida lucentezza dei vetri, come le croci del Golgota. Anche ciò che si muoveva risaltava sull’immobilità della strada in modo inconsueto, come non accade nelle grandi città. Evidentemente ogni cosa, ferma oppure in moto, aveva spazio qui per dispiegare la propria importanza. Con quella certa curiosità che è propria di chi ritorna egli lo intuì e prese a esaminare la grande città di provincia nella quale aveva trascorso periodi brevi e non molto piacevoli della sua vita. Nel carattere di quella città – lo sapeva benissimo – c’era qualcosa di anonimo e al tempo stesso di coloniale. Un antichissimo nucleo di borghesia tedesca, approdato secoli addietro in terra slava, si era qui disgregato al punto che, non fosse per qualche chiesa e qualche cognome, non aveva lasciato quasi più traccia; e anche degli stati provinciali,3 di cui in seguito quella città era stata sede, non rimaneva molto da vedere all’infuori di un bel palazzo in buone condizioni; tuttavia, al tempo dei governi assoluti, s’era andato stratificando su quel passato l’imponente spiegamento di un governatorato imperiale4 con i suoi uffici centrali per le province, con le sue scuole e i suoi atenei, le caserme, i tribunali, le carceri, la sede vescovile, la ridotta, il teatro e tutta la gente che vi trovava impiego, nonché i commercianti e gli artigiani attratti da quell’apparato; sicché con l’arrivo di imprenditori finì per svilupparsi anche un’industria, le cui fabbriche riempivano i sobborghi, un edificio dopo l’altro, e, durante le ultime generazioni, furono questi imprenditori a influire ben più di qualsiasi altro intervento sul destino di quella striscia di terra. La città aveva una storia, e aveva anche un volto, nel quale però gli occhi non si adattavano alla bocca né il mento ai capelli, e dappertutto vi erano tracce di una vita molto dinamica, ma interiormente vuota. Poteva darsi che, in certe particolari circostanze personali, ciò favorisse il manifestarsi di notevoli stranezze.
Per dirla con un’espressione altrettanto eccepibile: Ulrich avvertiva qualcosa di “spiritualmente inconsistente”, in cui ci si smarriva al punto da sentir nascere in sé l’inclinazione a sfrenate fantasie. Aveva in tasca il curioso telegramma del padre e lo ricordava a memoria. «Ti partecipo la mia avvenuta dipartita» gli aveva fatto comunicare il vecchio signore – o si doveva dire “gli aveva comunicato”? – e nel dispaccio già si esprimeva quell’atmosfera, perché in calce c’era la firma «tuo padre». Sua Eccellenza, il consigliere segreto effettivo,5 non scherzava mai nei momenti seri; e la bizzarra costruzione della notizia possedeva anche una sua logica diabolica, perché era lui stesso che informava il figlio quando, in attesa della propria fine, stendeva quel testo o lo dettava ad altri, stabilendo che il documento in tal modo redatto entrasse in vigore l’istante successivo al suo ultimo respiro; sì, forse non c’era modo più corretto per esprimere tale evento, eppure da quel gesto, in cui il presente tentava di dominare un futuro che non avrebbe più potuto vivere, emanava un sinistro alito cadaverico di volontà rabbiosamente putrefatta.
Mentre rifletteva su quel comportamento che, per chissà quale nesso, gli ricordava il gusto meticolosamente eccentrico delle piccole città, Ulrich pensò non senza apprensione alla sorella sposata che abitava in provincia e che, di lì a pochi minuti, avrebbe rivisto. Già durante il viaggio aveva pensato a lei, perché non ne sapeva molto. Di tanto in tanto, con le lettere del padre, gli erano giunte le canoniche notizie familiari, del tipo: «Tua sorella Agathe si è sposata», annuncio integrato da ulteriori dettagli, dato che in quell’occasione Ulrich non era potuto tornare a casa. E dopo un anno soltanto aveva ricevuto la partecipazione di morte del giovane marito; mentre tre anni dopo, se ben ricordava, era arrivato l’annuncio: «Tua sorella Agathe, con mia viva soddisfazione, ha deciso di risposarsi». A quel secondo matrimonio, cinque anni addietro, Ulrich era stato presente e per qualche giorno aveva visto la sorella; ma ricordava quei giorni soltanto come una gigantesca giostra di teli bianchi in rotazione perpetua. Quanto allo sposo, rammentava solo che non gli era piaciuto. A quell’epoca Agathe doveva avere ventidue anni e lui, Ulrich, ventisette, perché si era appena addottorato; quindi sua sorella aveva adesso ventisette anni, e da allora lui non l’aveva più rivista né s’erano mai sentiti per lettera. Ricordava soltanto che in seguito suo padre gli aveva scritto più volte: «Nella vita coniugale di tua sorella sembra, ahimè, che non tutto proceda come dovrebbe, quantunque suo marito sia un uomo eccellente». Oppure: «I recenti successi del marito di tua sorella Agathe mi hanno fatto molto piacere». Così, più o meno, era scritto in quelle lettere alle quali egli purtroppo non aveva mai dedicato particolare attenzione; ma una volta – questo invece Ulrich lo ricordava assai bene –, nel deplorare che Agathe non avesse figli, il padre esprimeva la speranza che nonostante ciò il matrimonio la rendesse felice, anche se il suo carattere non le avrebbe mai permesso di riconoscerlo.
“Che aspetto avrà adesso?” pensò Ulrich. Una delle stravaganze del vecchio signore, che tanto si premurava di dare all’uno notizie dell’altra, era stata quella di allontanarli entrambi da casa in tenera età, subito dopo la morte della madre; erano stati educati in istituti diversi, e Ulrich, tutt’altro che allievo modello, spesso non aveva avuto nemmeno il permesso di tornare a casa per le vacanze, sicché fin dall’infanzia, epoca in cui peraltro si erano voluti molto bene, Ulrich e sua sorella non avevano quasi avuto modo di rivedersi, eccettuato un unico periodo in cui erano stati insieme piuttosto a lungo, quando Agathe aveva dieci anni.
A Ulrich pareva ovvio che, date le circostanze, non ci fosse mai stato fra loro alcuno scambio di lettere. Che cosa avrebbero mai dovuto scriversi? Al tempo del primo matrimonio di Agathe – se ne ricordava adesso – lui era sottotenente e si trovava in ospedale per una ferita riportata durante un duello: Dio, che asino era stato, anzi cento volte asino…! Gli venne in mente infatti che i suoi ricordi di sottotenente ferito non risalivano affatto a quell’epoca. Allora doveva essere già quasi ingegnere, e qualche impegno “importante” lo aveva tenuto lontano da quella festa di famiglia. E di sua sorella gli avevano detto in seguito che aveva amato moltissimo il primo marito: non ricordava più chi gliene avesse parlato, ma, in fin dei conti, che cosa significa “lo aveva amato moltissimo”? È un modo di dire. Si era risposata, e il secondo marito Ulrich non lo poteva soffrire: questa era l’unica cosa certa! Si sentiva urtato non solo dal suo aspetto fisico, ma anche da alcuni suoi libri che aveva letto, e poteva ben darsi che da allora, non del tutto inintenzionalmente, avesse scacciato il ricordo della sorella dalla memoria; condotta non encomiabile, ma Ulrich dovette confessare a se stesso che perfino durante quell’ultimo anno, in cui aveva pensato a tante cose, non si era ricordato di lei neanche una volta, nemmeno ricevendo la notizia della morte del padre. Ma alla stazione aveva domandato al vecchio, che era venuto a prenderlo, se il cognato fosse già arrivato e, avendo appreso che il professor Hagauer era atteso soltanto per il funerale, se ne rallegrò, anzi, benché al funerale mancassero non più di due o tre giorni, questo periodo gli parve una clausura di durata illimitata che avrebbe trascorso accanto alla sorella, come se loro due fossero le persone più affiatate del mondo. Sarebbe stato inutile chiedersene il perché: probabilmente l’idea della “sorella sconosciuta”6 era una di quelle ampie astrazioni in cui trovano posto molti sentimenti che non sono a casa propria da nessun’altra parte.
Assorto in tali pensieri, Ulrich s’era inoltrato lentamente nella città, familiare ed estranea a un tempo, che gli si schiudeva davanti. L’avrebbe raggiunto una carrozza con i bagagli, in cui all’ultimo momento, prima di partire, aveva infilato ancora molti libri, e con il vecchio domestico che, già parte dei suoi ricordi infantili, era venuto a prenderlo. Costui riuniva in sé le funzioni di portinaio, maggiordomo e bidello universitario, in un sistema i cui confini interni con il passare degli anni si erano fatti sempre meno netti. Probabilmente era a quell’uomo modesto e riservato che il padre di Ulrich aveva dettato il dispaccio funebre, e i piedi di Ulrich avanzavano con piacevole stupore lungo la strada che li conduceva a casa, mentre i suoi sensi ora desti e curiosi accoglievano le nuove impressioni, con le quali ogni città in crescita sorprende chi per molto tempo ne è rimasto lontano. Arrivati a un certo punto, che riconobbero prima di lui, i piedi di Ulrich svoltarono insieme con il loro proprietario lasciando la strada principale, e poco dopo egli si ritrovò in un vicolo stretto, formato unicamente da due muri di cinta. Posta obliquamente rispetto a chi sopraggiungeva, c’era la casa di appena due piani con il corpo centrale più alto, la vecchia scuderia a lato e, tuttora schiacciata contro il muro del giardino, la casetta dove abitavano il domestico e sua moglie; pareva che, nonostante la fiducia, il vegliardo li avesse relegati il più possibile lontano da sé, chiudendoli tuttavia entro le proprie mura. Immerso nelle sue meditazioni, Ulrich era giunto all’ingresso del giardino e, trovandolo chiuso, aveva lasciato cadere il grosso battente, appeso in luogo del campanello alla porta bassa e annerita dal tempo, prima che il suo accompagnatore arrivasse di corsa e rimediasse alla svista. Dovettero tornare indietro lungo il muro fino all’ingresso principale, dove si era fermata la carrozza, e solo allora, nel momento in cui si vide davanti la facciata chiusa della casa, Ulrich si rese conto che la sorella non era venuta a prenderlo alla stazione. Il domestico gli riferì che la signora aveva l’emicrania e si era ritirata subito dopo pranzo, dando ordine di svegliarla all’arrivo del signor dottore. Ulrich domandò ancora se sua sorella soffrisse spesso di emicrania, ma subito si pentì di quella curiosità inopportuna, che palesava al vecchio uomo di fiducia della casa paterna la sua estraneità, e toccava questioni di famiglia delle quali non era opportuno parlare. «La signora ha dato ordine di servire il tè fra mezz’ora» replicò educatamente il vecchio, con in viso l’espressione cieca e cortese del domestico che dà prudente assicurazione di non intendere nulla di quanto vada al di là dei suoi doveri.
Senza volerlo Ulrich levò lo sguardo verso le finestre, supponendo che Agathe fosse dietro i vetri a spiare il suo arrivo. “Sarà simpatica?” si domandò, e concluse infastidito che quel soggiorno sarebbe stato molto sgradevole se lei non gli fosse piaciuta. Che non fosse venuta né alla stazione né sulla porta di casa gli parve comunque un fatto rassicurante, con il quale si manifestava una certa loro affinità di sentire, giacché, a rigore, se la sorella si fosse affrettata ad andargli incontro, ciò sarebbe stato altrettanto ingiustificato quanto da parte sua volersi precipitare, appena arrivato, al catafalco del padre. Lasciò detto che sarebbe stato pronto di lì a mezz’ora e andò a mettersi un po’ in ordine. La stanza che avrebbe abitato si trovava nella mansarda, al secondo piano del corpo centrale, ed era stata la sua camera di bambino, ora curiosamente dotata di alcuni arredi supplementari, evidentemente messi insieme alla rinfusa e indispensabili alla comodità degli adulti. “Probabilmente non si possono fare cambiamenti finché c’è il morto in casa” pensò Ulrich, e si sistemò sulle macerie della sua infanzia non senza imbarazzo, ma anche con una sensazione piuttosto piacevole, che saliva dal pavimento come nebbia. Intendeva cambiarsi d’abito e gli venne l’idea di indossare un completo da casa che sembrava un pigiama e gli era capitato fra le mani disfacendo i bagagli. “Però poteva almeno venirmi incontro, quando sono arrivato” pensò, e c’era un leggero rimprovero nella noncuranza con cui aveva scelto quel capo di abbigliamento, benché perdurasse in lui la sensazione che, per agire così, sua sorella potesse avere un motivo – motivo che lui stesso avrebbe magari approvato –, e ciò conferisse al suo cambiarsi d’abito qualcosa di quella cortesia che si accompagna all’espressione spontanea della confidenza.
Era un pigiama ampio di lana morbida, quello che Ulrich indossò, una specie di vestito da Pierrot a scacchi grigi e neri, stretto ai polsi e alle caviglie, come in vita; gli piaceva per la sua comodità che, dopo la notte in bianco e il lungo viaggio, sentiva gradevolmente su di sé mentre scendeva le scale. Ma, entrando nella stanza dove la sorella lo aspettava, si stupì moltissimo della propria tenuta: per una misteriosa coincidenza si trovò di fronte a un Pierrot alto e biondo, vestito a righe e a scacchi appena accennati color grigio e ruggine, che a un primo sguardo gli somigliava moltissimo.
«Non sapevo che fossimo gemelli!» disse Agathe, e il suo volto si illuminò d’un sorriso divertito.
1. Si tratta di Brünn (Brno), capoluogo della Moravia. Come già Vienna, il cui nome nel corso del romanzo è perlopiù sostituito da perifrasi, anche Brünn non viene nominata direttamente. La città è uno dei luoghi della biografia musiliana. I genitori dello scrittore vi risiedettero dal 1891 fino alla morte nel 1924; a Brünn il giovane Robert frequentò la scuola nell’anno scolastico 1891-92, trascorse le vacanze nei lunghi anni di collegio e tornò infine a soggiornarvi stabilmente, dal 1898 al 1902, per frequentare il Politecnico.
2. Si tratta molto verosimilmente di una gara ciclistica.
3. Landstände («stati provinciali»), corpi rappresentativi di origine medievale che, articolati in ordini di seggi (clero, nobiltà terriera, nobiltà di toga, città regie ecc.) e riuniti in Landtage («Diete»), costituivano gli organi di autogoverno in ciascuna terra dell’Impero. Nel corso del XVIII secolo il loro potere andò via via riducendosi a vantaggio dell’autorità centrale finché, con le Costituzioni del XIX secolo e l’istituzione di camere elettive, scomparvero o subirono una profonda trasformazione.
4. Statthalterei («governatorato»), da Statthalter («governatore»), rappresentante della Corona di fronte agli stati provinciali, dotato di un potere sempre maggiore via via che, a partire da Maria Teresa e poi soprattutto con Giuseppe II e Francesco I, si consolidava la politica centralistica dell’Impero asburgico.
5. Wirklicher Geheimrat («consigliere segreto effettivo»). Consiglieri segreti erano in origine i membri del consiglio segreto, un collegio composto di altissimi dignitari di Corte e fondato nel 1527 dall’imperatore Ferdinando I. Nel XVIII secolo comparve l’attributo “effettivo” per distinguere i consiglieri operativi da quelli che godevano del solo titol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nota introduttiva
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Avvertenza
  7. L’UOMO SENZA QUALITÀ
  8. PARTE I - Una specie di introduzione
  9. PARTE II - Niente di nuovo sotto il sole
  10. PARTE III - Verso il Regno Millenario (I criminali)
  11. Postfazione. Verso il Regno Millenario di Ingeborg Bachmann
  12. Copyright