Il bell'Antonio
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Il bell'Antonio

Vitaliano Brancati

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  1. 90 pagine
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Il bell'Antonio

Vitaliano Brancati

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Antonio Magnano, giovane seduttore catanese, non riesce a consumare il suo matrimonio con la bella ereditiera Barbara di cui è forse troppo innamorato. Nel clima di machismo che impera tra le due guerre lo scandalo scoppia rapidamente. Il più amaro e significativo romanzo di Vitaliano Brancati (1907-1954).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
ISBN
9788852061288

IV

Onde rapito ei canterà che sposo
Già felice il rendesti…
G. PARINI
Bella rosa porporina
Oggi Silvio sceglierà.
P. ROLLI
Nel 1933, la famiglia Puglisi fu minacciata da un provvedimento che avrebbe ridotto di tre quarti la misura della sua ricchezza. Un podestà, poco rispettoso dei grandi nomi, si era messo in testa di municipalizzare le acque del Pomiciaro, di proprietà del barone.
Appresa l’incredibile notizia, il notaio mandò la moglie e la figlia a teatro, le cameriere a far la spesa e, serrate le finestre, esclamò a voce alta: «Ladri! Ladri! Ladri della mia roba!».
Quindi si precipitò a Roma, e in quella città deserta di persone che lo salutassero con rispetto, languendo per giornate intere nelle anticamere, si rese conto che solo il ministro conte K. poteva salvarlo, urlando per telefono, come soleva fare lui quando s’arrabbiava, qualche parolaccia al podestà. Per questo, tornato a Catania, ammise subito che Antonio, amico intimo di quel ministro, era un bellissimo giovane e un ottimo partito per la figlia.
Barbara, dal canto suo, non appena le fu detto che Antonio sarebbe stato suo marito e che il pensare a lui non era una sconvenienza, cominciò a sognarlo con molta rassomiglianza, sebbene lo avesse visto due o tre volte, e sempre di sfuggita, e a turbarsi profondamente allorché, durante le visite delle amiche, esortata dalla madre, stendeva alla luce del balcone le lenzuola che l’avrebbero avvolta di notte insieme al più bell’uomo della città.
Il fidanzamento fu celebrato alla presenza dei soli parenti, sicché l’amico d’Agata dovette accontentarsi di far giungere per telefono la sua voce ad Antonio: «È con te la tua fidanzata?».
«No, perché il telefono è collocato in una camera lontana dal salotto, e il notaio non vuole che Barbara si apparti con me!»
«Le hai dato il primo bacio?»
«… No!»
«Alla grazia! E quando glielo darai?»
Antonio si mise a ridere: «Addio, Luigino, addio!». E tornò nel salotto.
Qui egli fu baciato da tre monsignori con la croce infilata nella fascia di raso nero che li avvolgeva ai fianchi, e accarezzato paternamente da padre Rosario. Tutti gridavano e sbattevano cucchiaini nei piattelli; suoni di ogni qualità s’incontravano sulle porte, del radiofonografo, del pianoforte e delle cornamuse che, essendo il mese di Natale, si erano spinte su per le scale e forse fin dentro la cucina; la pioggia batteva contro i vetri del balcone, e nuvole basse e veloci passavano sul tetto del tribunale, nascondendo completamente l’Etna.
Quando l’orologio del tribunale segnò le sette, disse a voce alta: «Dobbiamo andare lassù a far visita al nonno! Ne sarà contento, il povero vecchietto!».
Un piccolo drappello, composto dal notaio, la signora Agatina, padre Rosario e i due fidanzati, salì la scaletta buia ed entrò quasi in punta di piedi nello stanzino.
Tutti si addossarono alle pareti e stettero muti intorno al vecchio che, seduto sul lettuccio, teneva la testa curva e si fissava le mani che giacevano come due granchi rinsecchiti sul risvolto delle lenzuola.
Antonio aspettava che qualcuno parlasse o facesse qualcosa, per imitarlo immediatamente. Ma nessuno si muoveva né diceva nulla, proprio come davanti alla statua di un sepolcro.
D’un tratto, entrò il signor Alfio gridando: «Ma che…» subito abbassò la voce: «… diavolo state facendo?».
Il novantenne barone alzò gli occhi in faccia al nuovo venuto, aprì la bocca con stento, disse: «Gli alberi!… Assessore!…» e cadde di fianco come un cartone allo spalancarsi di una finestra. Egli aveva riconosciuto nel signor Alfio uno degli assessori di Catania al tempo in cui il comune aveva osato piantare i platani davanti alla sua casa.
«Andate! Andate giù!» si mise a dire il notaio. «Non è niente! Ci penso io! Ci pensiamo io e Agatina! Gli altri giù, voi specialmente che siete giovani, via, andate a divertirvi!»
Tutti uscirono, spinti dal notaio che ripeteva sempre: «Non è niente!»; e questa parola niente li seguì per tutto il corridoio fin sulla soglia dei salotti ove fu risucchiata nel vortice delle danze.
Il vecchio in verità era morto. Ma la triste notizia fu tenuta nascosta fino al giorno dopo.
Antonio, su consiglio del padre, mise subito una cravatta nera che diede al pallore del suo volto una serietà d’altri tempi, tanto che alcuni antifascisti, vedendolo passare in un caffè davanti al loro tavolo, brontolarono a bassa voce: «Somiglia a Bruto, ma pulisce il vaso da notte a ministri e segretari federali! Se io fossi nella sua condizione, mi farei ricevere da Mussolini e gli pianterei nello stomaco cinque olive!».
Due giorni dopo, un lungo corteo accompagnò il barone al cimitero. Antonio e la fidanzata furono visti, per la prima volta insieme, alla testa di un funerale, seguiti dallo stuolo dei parenti fittamente chiusi in abiti, soprabiti, cappelli, calze e scarpe neri come l’inchiostro; da una doppia fila di orfanelle del Sacro Cuore con la bocca spalancata nel Miserere e gli occhi mobili e curiosi alle vetrine dei negozi e ai balconi; da una teoria di carrozze cariche di corone a cui il vento strappava un rumore di pioggerella; e in fine da una folla di amici e conoscenti che parlavano dei fatti loro e ogni tanto, a due o tre, uscivano quatti quatti dal corteo per infilare una traversa o rifugiarsi in un caffè.
Poiché il morto, per il fatto di essere un novantenne, esimeva anche i più ipocriti dall’obbligo di commuoversi e allungare il viso, tutti guardavano sorridendo Antonio e la fidanzata, e i binocoli delle ragazze mettevano al punto, nel loro anello oculare, la testa del giovane, il suo braccio destro nel quale Barbara teneva infilata la mano carica di anelli, e un lembo di coltre della bara che alcuni volenterosi portavano a braccio.
Antonio sentiva sulle sue spalle le mani del padre e della madre che, con la scusa di aggiustargli il bavero della giacca, sfogavano la voglia di accarezzarlo.
La madre gli prese poi la mano sinistra, che egli teneva abbandonata lungo i fianchi, e gliela calcò sulla mano di Barbara; ma poi, essendosi accorta che in quel modo copriva gli anelli della fidanzata, si precipitò a levarla, rossa in viso come se avesse commesso una leggerezza.
Talvolta egli sentiva delle bocche avvicinarsi al suo orecchio, al di sopra di una spalla, e sussurrargli teneramente: «Mettiti il cappello!… Non vorrei che prendessi un raffreddore!… Hai fatto male a non portare il soprabito!… Non guardare i balconi, ricordati che sei fidanzato!… Mi pare che il prefetto ti abbia sorriso: rispondigli!… Come mai non c’è il podestà?».
D’un tratto, il notaio si fece largo fra i genitori di Antonio e si pose al suo fianco.
«Bisogna che tu scriva al ministro!» gli disse piano. «Il podestà deve sentirsi la coscienza sporca nei miei riguardi se non ha avuto la faccia di venire!»
«Gli scriverò domani, papà. Ma non credere che io sia…»
Il signor Alfio, che aveva origliato fra le spalle dei due, assestò un pizzicotto nei fianchi di Antonio e gl’impedì di continuare.
«Questo tuo figlio» disse poi alla moglie piano «è il nemico di se stesso! Se non c’ero io dietro di lui, avrebbe detto al notaio che il ministro non è suo amico.»
«È modesto» mormorò la signora.
«È un cretino!» fece il padre, gesticolando e smaniando dalla collera sino al punto di farsi cascare il cappello di mano.
«Tutti ci guardano, sta’ buono» disse la signora, fermandosi insieme a lui che si curvava a riprendere il cappello. Ma già una fila di ragazze Puglisi li superava rigida rigida come tante madonne da processione e si metteva tra loro e il figlio.
«Forse sarebbe meglio che gli scrivessi oggi» continuò il notaio, camminando sempre al fianco di Antonio. «Mandiamo la lettera raccomandata espressa e la imposto io stesso alla stazione. Conosci il suo indirizzo di casa?»
«So dove abita perché una o due volte mi ha invitato a colazione.»
«Come?» fece il notaio preoccupato. «Non andavi da lui quasi ogni sera?»
«No…»
«Forse era lui che veniva da te?»
«Ci vedevamo fuori» disse Antonio per tagliar corto, e respirò pesantemente.
Il corteo si era fermato in una piazzetta presso la porta Garibaldi, e già un oratore stava eretto sui gradini della chiesa nell’atto di cavare il fazzoletto da una tasca per asciugarsi le labbra. I venditori di fichi d’india ritiravano le carrette cariche di bucce fuori del corteo che le aveva circondate, e le addossavano ai muri; un tram si fermò con tutta la folla dei viaggiatori, schizzanti da ogni parte pacchi, sporte e bambini lattanti, accavallati alle ringhiere delle piattaforme.
«Chi è che parla?» domandò Antonio al suocero.
«L’avvocato Bonaccorsi, un amico di mio padre.»
«Perché far salutare il barone da un antifascista?» disse una voce sconosciuta.
«È il miglior avvocato di Catania, un gentiluomo che non ha dato mai fastidio a nessuno!» rispose vivacemente il notaio.
«Era socialista!» ripeté la voce.
«Era, era… Tutti eravamo… Bisogna vedere chi è, una persona, e non chi era!»
«Da vent’anni il barone Puglisi aveva abbandonato gli amici…» cominciava intanto l’oratore.
«Mi meraviglia» disse la solita voce «che un socialista dica la parola barone con tanto rispetto!»
«A lei non le piace niente!» ribatté duro il notaio, essendosi accorto che colui che parlava era un esile diciottenne, figlio di un suo inquilino a cui, un giorno o l’altro, avrebbe fatto trovare i mobili sulla strada, perché non pagava la pigione.
«Guardi gli effetti!» continuò la voce petulante. «Guardi laggiù, vicino al tram!»
Nel luogo indicato dal giovane, si vedeva il prefetto calcarsi bruscamente il cappello di lontra, voltare le spalle e allontanarsi seguito da cinque persone.
«Questo mi dispiace!» esclamò il notaio. «Mi dispiace davvero!… Antonio, cosa mi consigli di fare?»
«Nulla!» disse Antonio.
«Pensi che avremo delle conseguenze spiacevoli?»
«Siamo scesi molto in basso, ma non ...

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