Come cercare Dio? Provo a risponderti partendo da una semplice considerazione: la condizione umana è quella di un continuo uscire da se stessi per lottare contro la morte e camminare verso la vita. In questo ininterrotto esodo si affacciano tanti interrogativi, che nascono in noi dallo stupore di fronte al mistero in cui siamo avvolti. Per chi crede, uno squarcio di luce viene offerto dalla Parola di quel Dio che ha «avuto tempo» per l’uomo ed è uscito dal Suo silenzio, affinché la nostra storia entrasse nel Suo amore e potesse dimorarvi. Questa dimora è la fede. Essa può dirsi adulta quando vive in pienezza l’esperienza dell’incontro col Dio che viene a noi, della Sua sovranità che ci interpella e ci inquieta, della ricerca interrogante e aperta alle Sue sorprese. Perciò, la ricerca di Dio inizia dallo scandalo. Infinite sono le testimonianze di questo scandalo.
Con parola netta Kierkegaard dice: «Non si giunge mai alla fede senza passare per la via dello scandalo». Lutero, distinguendo nell’amare Dio l’amore captativo – «io Ti amo perché Tu mi dia il Paradiso» – dall’amore oblativo – «io Ti amo perché Ti amo, perché Tu sei degno di essere infinitamente amato, qualunque cosa vorrai da me» –, insiste nell’affermare che il segno più alto dell’amore oblativo è la scandalosa parola che dice «io Ti amo, o mio Dio, e Ti amerò sempre, anche se Tu mi volessi all’inferno». Se però tu fossi pronto a pronunciare questa parola e a patirne lo scandalo, allora potrai dire di amare Dio, di amarlo nella gratuità di chi è pronto a tutto e a cui perciò Egli aprirà con gioia le porte del cielo.
San Giovanni della Croce parla della «notte oscura» dell’incontro con Dio in maniera non meno scandalosa: «Notte che mi guidasti! / oh, notte più amabile dell’aurora / oh, notte che hai congiunto / l’Amato con l’amata / l’amata nell’Amato trasformata». La notte oscura è il luogo delle nozze mistiche: Dio non si trova nella facilità del possesso di questo mondo, ma nella povertà della croce, nella notte dei sensi e dello spirito. Teresa del Bambino Gesù non ha avuto paura di descrivere questa notte: «Gesù ha permesso che l’anima mia fosse invasa dalle tenebre più fitte, che il pensiero del cielo, dolcissimo per me, non fosse più se non lotta e tormento ... Bisogna aver viaggiato in questa tenebra per capire che cosa essa è … Ma, Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina. Vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi, per quanto tempo voi vorrete, del pane del dolore, e non vuole alzarsi da questa tavola colma d’amarezza, alla quale mangiano i poveri peccatori, prima del giorno che voi avete segnato» (Storia di un’anima. Manoscritto C). La tenebra è il luogo dell’amore provato, della fedeltà e della misteriosa vicinanza del Dio vivente. È in essa che avanza la fede. Solo dopo averci portato nel fuoco della desolazione Cristo si offre a noi come il Dio delle consolazioni e della pace. Solo dopo che avremo accettato di amarLo dove e come Lui vorrà Egli diverrà per noi la sorgente della gioia che non conosce tramonto.
Proprio così, in quanto accoglienza della sfida e resistenza innamorata, la fede è lotta con Dio, non riposo tranquillo di una certezza posseduta. Chi pensa di aver fede senza lottare, non crede più in nulla. La fede è l’esperienza di Giacobbe. Dio è l’assalitore notturno. Dio è l’Altro. Se tu non conosci così Dio, se Dio per te non è fuoco divorante, se l’incontro con Lui è soltanto tranquilla ripetizione di gesti sempre uguali e senza passione d’amore, il tuo Dio non è più il Dio vivente. Perciò «Cristo sarà in agonia fino alla fine del tempo» (Blaise Pascal): questa è l’agonia dei cristiani, la lotta di credere, la lotta di amare! Dio è altro da te, libero rispetto a te, come tu sei altro da Lui e libero rispetto a Lui. Guai a perdere il senso di questa distanza! Credere è un dare il cuore, che implica la continua lotta con un Altro, che non si lascia catturare o ridurre alle nostre misure. Dio è altro da noi. Ecco perché il dubbio abiterà sempre la fede. Ne è prova la parola del Battista, il più grande dei figli dell’uomo: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3). Quanti credenti provano scandalo davanti a quella parola. Il profeta, il precursore, prima dell’ora suprema del martirio, vive il dubbio. Questa è la fede adulta: lottare con Dio, sapere che Lui è l’Altro, che non si lascia addomesticare dalle nostre presunzioni e certezze.
Se tutto questo è vero, allora non dovremo cercare dei segni volgari che dimostrino la verità di Colui in cui noi crediamo. Crederemo in Dio anche quando la risposta alle domande del nostro dolore resterà custodita nel Suo silenzio. Sì, Dio è Custodia. In Lui resta custodita la Parola della vita. Perciò, il credente non è che un povero ateo, che ogni giorno si sforza di cominciare a credere. Se il credente non fosse tale, la sua fede non sarebbe altro che una rassicurazione mondana, una delle tante ideologie che hanno ingannato il mondo e prodotto l’alienazione dell’uomo. La sua luce resterebbe quella del tramonto delle ideologie: «La terra interamente illuminata risplende di trionfale sventura» (Max Horkheimer - Theodor Adorno). Diversamente da ogni ideologia, la fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, a sperimentare la fatica di credere, di sperare, di amare.
Così, la fede adulta è anche resa: quando capisci che nella lotta con Dio vince chi perde e perdutamente ti consegni a Lui, quando ti arrendi all’Assalitore notturno e lasci che la tua vita venga segnata per sempre da quell’incontro, come fu per la vita di Giacobbe, allora puoi vivere la fede come abbandono e dire col profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso ... Mi dicevo: “Non penserò più a Lui, non parlerò più in Suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,7.9). In queste «confessioni» di Geremia troviamo forse la più alta testimonianza della resa della fede: egli è un uomo che ha vissuto la lotta con Dio, ma che lottando ha saputo accettare la capitolazione dell’amore al punto da essere pronto a consegnarsi perdutamente a Lui. È così che la fede adulta diventa anche esperienza di profonda bellezza e di pace. Non è la bellezza che il mondo conosce, la seduzione di una verità solare, che spieghi tutto. La bellezza che salverà il mondo è la bellezza dell’Uomo dei dolori, la bellezza dell’amore crocifisso, della vita donata, dell’offerta totale di sé al Padre e agli uomini. La gioia della fede è nell’essere discepoli del Crocifisso. San Bernardo lo ha detto con una frase scolpita nella potenza della fede: «L’amarezza della Chiesa è amara quando la Chiesa è perseguitata, è più amara quando la Chiesa è divisa, ma è amarissima quando la Chiesa se ne sta tranquilla e in pace». La vera pace della fede, la gioia che il mondo non conosce, la bellezza che salverà il mondo non è l’assenza di lotta, di agonia, di passione, ma è il vivere affidandosi perdutamente allo Straniero che invita, al Dio vivente.
In questa esperienza dello scandalo, della lotta e della resa il credente sperimenta la sua più alta prossimità all’inquieto cercatore di Dio: se il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sarà forse il non credente pensoso nient’altro che un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, quella di cominciare a non credere? Non certo l’ateo banale, ma chi vive la lotta con coscienza retta, chi, avendo cercato e non avendo trovato, patisce l’infinito dolore dell’assenza di Dio, non sarà l’altra parte di chi crede? Non è alta forma di rispetto questo riconoscere nell’altro, nel diverso, non un pericolo, ma un dono? E questo non ci farà amare l’altro come è, per quello che è, cercando in lui la verità di noi stessi e offrendogli fiduciosamente noi stessi? Non viene da tutto questo un unico no, il no alla negligenza della fede, il no a una fede indolente, statica e abitudinaria, fatta di intolleranza comoda, che si difende condannando perché non sa vivere la sofferenza dell’amore? E non ne viene il sì a una fede interrogante, anche dubbiosa, capace ogni giorno di consegnarsi perdutamente al Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola? Se c’è una differenza da marcare, allora, non sarà forse quella tra credenti e non credenti, ma quella tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, è degno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera, e il coraggio di tendere a essa, sino alla fine, oltre la fine, sulle vie del Dio vivo...
Con le parole di questa bellissima preghiera di sant’Agostino chiediamo insieme a Dio l’ardore della ricerca del Suo volto: «Signore mio Dio, unica mia speranza, fa’ che stanco non smetta di cercarTi, ma cerchi il Tuo volto sempre con ardore. Dammi la forza di cercare, Tu che Ti sei fatto incontrare, e mi hai dato la speranza di sempre più incontrarTi. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, accoglimi al mio entrare; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di Te, che intenda Te, che ami Te... Amen!» (Sant’Agostino, De Trinitate, 15, 28, 51).
Che significa incontrare Dio e fare esperienza del Suo amore? Ti rispondo partendo da un testo di sant’Alfonso de’ Liguori, un pastore e teologo che ha sempre portato nella sua riflessione la voce dell’esperienza vissuta: «Le pene che maggiormente affliggono in questa vita le anime amanti di Dio non sono la povertà, le infermità, i disonori e le persecuzioni, ma le tentazioni e le desolazioni di spirito. Quando un’anima gode l’amorosa presenza di Dio, allora tutti i dolori, le ignominie e i maltrattamenti degli uomini, invece di affliggerla, più la consolano, dandole motivo di offrire a Dio qualche pegno del Suo amore: sono insomma legna che più accende il fuoco. Ma il vedersi spinta dalle tentazioni a perdere la grazia divina, o il temere nella desolazione di averla già perduta, queste son pene amarissime per chi ama di cuore Gesù Cristo. Ma lo stesso amore dà loro forza di soffrirle con pazienza e di seguire il cammino della perfezione. E quanto avanzano le anime con tali prove che suole far Dio del loro amore!». In questo testo sono accennati i tre volti di Dio che vorrei richiamare per rispondere alla tua domanda, i volti del Dio in cui credo e di cui ho fatto e faccio continua esperienza.
Anzitutto, Dio è il consolatore, colui che dà gioia infinita al cuore di chi Lo ama e si lascia amare da Lui: quando sant’Alfonso parla di chi «gode dell’amorosa presenza di Dio», rinvia all’esperienza profonda e bella di chi si sente amato da Dio e crede in Lui come la sorgente viva e inesauribile di questo amore, che riempie il cuore di gioia. È quello che la Bibbia esprime parlando di Dio come del «custode d’Israele» (Sal 120,3.5), che veglia e protegge il Suo popolo, e il Nuovo Testamento indica col termine «Paraclito», «Consolatore» (per esempio in Gv 14,16.26; 15,26 e 16,7). Il Dio biblico non è un’idea astratta e lontana, un ente numinoso e tremendo, ma una Presenza viva, che dà pace e calore e, facendoti sentire amato di un amore infinito, senza pentimenti, ti soccorre e ti rende capace di amare oltre ogni misura di stanchezza, al di là delle stesse possibilità di cui disponi. Dio ti è vicino, colma le tue solitudini, dona senso e pace ai tuoi giorni, è la patria del tuo cuore, il Consolatore divino nel tempo e per l’eternità.
Non di meno, il Dio della Bibbia è fuoco divorante (Es 24,17): lo sperimenti così nei tempi del Suo silenzio, quando sembra non rispondere alle tue invocazioni o Lo senti sordo al gemito del tuo dolore o percepisci il Suo sguardo come «fiamma di fuoco» (Ap 19,12). A volte può apparirti giudice severo, che esercita con mano pesante le Sue correzioni. Altre volte ti sembra palese la Sua sconfitta, che si affaccia n...