Love & the city
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Love & the city

L'amore ai tempi dell'Expo

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Love & the city

L'amore ai tempi dell'Expo

Informazioni su questo libro

Amanda, detta Maddie, non ha ancora trent'anni e ha un corpo da atleta. Lo era davvero, fino a pochi anni fa, quando un SUV l'ha investita, una sera, mentre si allenava, mettendo fine alla sua carriera. Maddie era l'astro nascente delle Olimpiadi di Londra, dove secondo tutti i pronostici sarebbe arrivata sul podio più alto: purtroppo, invece di correre gli 800 come una gazzella, ha dovuto prendere in mano la sua vita e giocare una nuova mano con le carte che il destino le ha riservato. Si è laureata in architettura e adesso sta per iniziare una nuova carriera – anche se per ora solo come stagista – in un prestigioso studio londinese (che somiglia molto a quello di Norman Foster, affacciato sul Tamigi). Qui Maddie incontra due persone che cambieranno il suo destino: la cinese Eli Ching, che commissiona agli architetti inglesi un nuovo quartiere da costruire a Shanghai, e il superboss dello studio, archistar acclamata, scozzese burbero almeno quanto affascinante: il suo nome è Alistair Wolf, Mr Wolf… Maddie ancora non sa quante sorprese le riserva la sorte, quali emozioni possano palpitare dietro le pareti di cristallo dello studio Wolf, quanto il lavoro e i sentimenti somiglino alla corsa: devi allenarti, e crederci davvero, per arrivare alla meta. Dalla timidezza nascosta sotto i suoi jeans da brava ragazza a un tailleur di Gucci mozzafiato, dall'incredibile incontro al buio al 68° piano di un grattacielo in costruzione, alla Cina, Maddie entra in un turbine di emozioni difficili da controllare. Solo allontanarsi può chiarirle le idee. E sarà a Milano che Maddie approda, nella città dove fervono i lavori per l'imminente Expo 2015, alla ricerca delle proprie radici italiane e di un nuovo equilibrio. Ma con Mr Wolf è sempre come stare su una trave sospesa nel vuoto, e senza nemmeno il casco da cantiere… Le emozioni fortissime di un'attrazione pericolosa si uniscono alla fiaba di una ragazza coraggiosa, che non si arrende anche quando tutto sembra perduto. Al suo esordio narrativo, Lidia Di Simone ci regala una commedia romantica e freschissima, come la sua protagonista, anticonformista e piena di energia, tra lo skyline di Londra e quello, ogni giorno nuovo, della Milano dell'Expo, con i suoi scandali e i suoi sogni.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804647799
eBook ISBN
9788852063220

1

I miei passi risuonano nel silenzio. Mi stanno scoppiando i polmoni, ho un sapore amaro in bocca, il fegato mi fa male, le gambe procedono rigide, legnose, niente funziona come dovrebbe. Eppure non voglio mollare. Continuo ad aumentare l’andatura, dal mio smartphone mi sprona un brano rock. Mi sono rialzata, adesso devo solo cercare di tenere il ritmo, o almeno provarci. È prestissimo, non c’è nessuno in questa zona della città e io corro come non facevo da tanto. Come prima, nella mia vecchia vita. Intanto, metro dopo metro, sto doppiando il centro commerciale, una robetta da niente per me.
Eccolo. Il dolore comincia a farsi sentire, vivo e pulsante, ma stringo i denti e continuo imboccando la Stratford Walk. Supero l’Aquatics Centre e inizio ad avvertire le fitte. Non vengo qui da più di due anni, da quando è cambiato tutto. Lancio uno sguardo all’ovale olimpico, ma lo vedo attraverso un velo di lacrime. Colpa della fatica. Maddie non piange, Maddie stringe i denti e va avanti. Prima avrei fatto quel percorso in pochi istanti, adesso arranco. Tengo duro, giro attorno allo stadio, davanti a me c’è la torre di Anish Kapoor, di lato il fiume Lea. Cerco di aumentare ancora un po’ il ritmo, ormai ho fatto più di metà del perimetro. Lì dentro c’è l’anello, la pista che avrei dovuto percorrere per vincere, per mettermi quella maledetta medaglia al collo.
Accelero. In quel momento sento una fitta lancinante. Il ginocchio si piega senza preavviso, la gamba cede e cado. Mi mordo le labbra. Maddie non piange, Maddie grida in silenzio, manda un insulto a chi le ha fatto male, impreca contro il mondo, ma senza audio. Nessuno mi sentirà urlare. E Dio, se vorrei farlo!
Il dolore è come un cane famelico che affonda i denti nella mia carne e non mi molla neanche un istante. Speravo che stavolta... Eppure dovrei saperlo, ormai, ci sono abituata. Mi guardo le mani, mi sono sbucciata i palmi, sto sanguinando. Non è niente, poco più che un’abrasione. Niente rispetto al giorno dell’incidente. Piango e intanto ricordo il momento in cui la mia vita è cambiata. Osservo con rabbia la struttura che ha reso orgogliosa la mia città. Avrei dovuto essere là dentro a battermi con gli altri. Era la mia occasione. Sento il clamore dello stadio, il silenzio prima dello start, lo scatto, la corsa interminabile eppure velocissima, il boato che arriva dagli spalti quando il fotofinish proclama il vincitore.
Mi rialzo con cautela, tastandomi braccia e gambe. Finalmente la fitta comincia ad allentare la sua morsa. Sono ancora tutta intera, almeno all’apparenza. Il mio corpo non funziona più, il ginocchio è massacrato, rattoppato da un mago della chirurgia che ha fatto il miracolo di rimettermi in piedi, ma non quello di riportarmi alle gare. Sono passati due anni dall’incidente che mi ha cambiato la vita. Tredici mesi dalla gara in cui avrei lottato per l’oro. Ero destinata al podio, lo scrivevano tutti i giornali, mi chiamavano “il cavallo di razza”, “la carta vincente”. Adesso sono un ronzino azzoppato. Mi rimetto l’auricolare, premo play e mi avvio zoppicando verso la fermata della Docklands Light Railway a cui sono scesa poco più di mezz’ora fa. Il sogno è finito, è giorno fatto ed è ora di ritornare alla realtà. Lo stadio delle Olimpiadi di Londra 2012 è alle mie spalle.

2

Questo è il mio primo giorno di lavoro. Christina ha deciso che deve truccarmi, mi ha anche prestato uno dei suoi tailleur. Ho accettato solo la giacca. Non mi ci vedo con indosso una gonna sopra il ginocchio. La cicatrice è lì, violacea, a ricordarmi quello che ho perso. Non mi sembra il caso di mostrarla in giro come un trofeo. Da un anno non indosso più gonne, non metto più shorts o bikini. I miei soliti jeans andranno bene. Ho comunque ceduto sui tacchi. Medi, ovviamente. Anche questi sono un prestito di Chris: poverina, ha dovuto ripescare dal fondo del sottoscala un paio di scarpe che non ricordava neanche di avere, dopo che io le ho bocciato tutta la sua collezione di tacchi 12. Mi osserva con l’aria schifata. Peggio per lei. Io mi sento più a mio agio così. Non ho voglia di ondeggiare sui tacchi rischiando di franare al primo ostacolo.
Mi piace affrontare prove impegnative, ma solo quando conosco la strada. Ho sempre agito in questo modo: nello sport ho fissato l’asticella sempre più in alto, mi sono spinta oltre i miei limiti sudando e penando per raggiungere un traguardo che sembrava un vero miraggio. Ogni volta, però, mi sono mossa su un terreno di cui conoscevo asperità e trabocchetti. Non ho mai scalato una vetta senza conoscere passaggi difficili e appigli. Ma quello ormai è un capitolo chiuso, e ora le uniche vette che mi si prospettano all’orizzonte riguardano un sogno proibito che accarezzo senza confessarlo neanche a me stessa: progettare grattacieli.
Mi guardo allo specchio. I folti capelli castani raccolti in uno chignon, gli occhi verdi valorizzati da sfumature discrete di grigio, i jeans che fasciano le gambe da ex atleta. Non male, mi sembra. Appaio più alta e sofisticata del solito, anche se mi resta attaccata una certa postura dinoccolata da frequentatrice delle piste di tartan. Niente da fare, non sarò mai una signorina raffinata, la mia vera natura viene sempre fuori. Però sono soddisfatta.
«Chris, sei stata bravissima a trasformarmi. Sei la donna dei miracoli, riesci a far sembrare passabile anche me! Sai che dovresti farne un lavoro?»
«Non dire scemenze, sono partita da un’ottima base! Se ti valorizzassi un po’ invece di andare in giro conciata come una barbona sapresti che sei uno schianto!»
«Non mi hanno preso alla Wolf & Anderson per il mio aspetto, ma per la mia laurea.»
«Sì, e bla bla bla... Lo sappiamo, hanno letto il tuo curriculum, hanno esaminato i tuoi bozzetti e sono stramazzati al suolo appena si sono resi conto di aver trovato il nuovo genio dell’architettura dopo, come si chiama quel Lloyd...»
«... Wright!»
«Ok, hai studiato, ma se vuoi trasformare questo stage in qualcosa di più concreto farai meglio a mettere in mostra anche le tue altre doti. Eccoti il top giusto per questa giacca, togliti quell’assurda e accollatissima T-shirt! Fortuna che stai ingrassando un po’ e ti stanno crescendo le tette. Quando gareggiavi sembravi una tavola di legno. Soda, niente da dire, ma piena di spigoli.»
«Si vede tanto che ho messo su peso?»
«Ma per favore! Come testimonial faresti la fortuna di un beverone dietetico, però se non vuoi nascondere il tuo nuovo décolleté togliti quello straccio...»
«Non ci penso neanche, questa è la mia maglietta portafortuna, e sai che oggi mi serve tutta.»
«Maddie, non hai ancora capito che la fortuna è inutile quando hai un fisico come il tuo. Sei un’atleta, lascia che i nuovi colleghi e soprattutto quei parrucconi di Wolf & Anderson possano ammirare i tuoi muscoli perfettamente modellati.»
«Ti correggo, sono una ex atleta.»
«Non sottilizzare, hai un corpo fatto per il peccato e lo mortifichi così!»
«Ti metti a citare le commedie di Hollywood?»
«Di che stai parlando?»
«Working Girl, con Melanie Griffith e Harrison Ford.»
«Tu e la tua mania per il cinema! Mi vergogno di avere una coinquilina così poco femminile. Non so come descriverti, aspetta, ecco, ci sono, mi ricordi Audrey Hepburn in quel film dove faceva la fioraia, sì il film con coso...»
«Rex Harrison! My Fair Lady, di George Cukor, tratto dal Pigmalione di Shaw.»
«Brava, proprio quello! Certo che a volte mi sembri proprio Wikipedia. Alla fine, però, anche Audrey si trasforma e diventa una donna vera. Possibile che tu sia una causa persa?»
Chris mi guarda sbuffando.
«Facciamo così: io sarò il tuo pigmalione nel mondo della seduzione femminile. Tu devi soltanto darmi retta e lasciarti sistemare, proprio come... accidenti, come si chiamava? Eliza...»
«... Doolittle!»
«Giusto, adesso però sta’ zitta, Eliza, e fai la bocca a culo di gallina che devo metterti il gloss!»
«Va bene, ma dissento.»
Eccomi davanti alla sede della Wolf & Anderson in giacca, gloss e capelli raccolti, pronta a diventare un promettente architetto. Il palazzo mostra l’essenza di quello che sarà, almeno spero, il mio lavoro nei prossimi anni: pulizia delle linee, equilibrio e arditezza, uso dell’alta tecnologia e delle soluzioni più all’avanguardia. Segue un andamento curvilineo simile alla spirale di un tornado e si inclina da un lato sfidando tutte le leggi della fisica. È come se fosse sottoposto a un vento impetuoso. Il guscio di cristallo che lo riveste brilla alla luce del sole di una giornata insolitamente mite per Londra. Eppure io mi stringo nella giacca, sentendo un brivido lungo la schiena. Serro sotto il braccio la cartella con i miei disegni. Mi chiedo se ci sarà l’occasione di mostrarli a qualcuno.
Ho superato tre colloqui in cui mi hanno tartassato di domande, ma anche il terzo esaminatore, uno dei pezzi grossi dello studio, ha dato appena un’occhiata distratta ai miei progetti, esattamente come gli altri. Non sono stati, dunque, i miei bozzetti a convincerlo. Il primo colloquio l’avevo sostenuto poche settimane prima con un altro architetto, una donna, cinquant’anni assai ben portati, molto più attenta alle mie vicende private e ai loro risvolti di cronaca che non ai miei studi.
Di certo a lei non devo aver fatto una grande impressione. Continuava a tornare sul mio passato di atleta mentre io continuavo a svicolare. Sembrava voler giocare al gatto col topo: se il suo obiettivo era quello di farmi innervosire, l’aveva fallito miseramente. L’unica eredità positiva che mi è rimasta dalle gare è l’abitudine a dominare le emozioni. Se mi capita di sentirmi in difficoltà, so come non darlo a vedere. Ma non mi piacciono le domande indiscrete, le intromissioni nella mia vita.
Certo è che la mia foto in barella era finita su tutti i tabloid ed ero sicura che prima o poi qualche curioso mi avrebbe fatto domande. L’incidente era stato un argomento ghiotto per quotidiani e blog, siti web e morning news, un mese di titoli e servizi sulla promessa mancata dell’atletica inglese, la gazzella ammaccata, la stella degli stadi che rischiava di perdere una gamba. Poi la gamba era stata salvata e la notizia era finita nelle brevi.
«Che cosa ha provato in quel momento?» mi aveva chiesto Pat Wallace, la iena esaminatrice, sorridendo comprensiva. Proprio nulla. Che cosa avevo provato quando i miei genitori erano morti entrambi in un incidente d’auto tanto simile al mio? Niente, signora, cosa avrei dovuto pensare? Che in fondo a me era andata meglio? E quando il comitato olimpico inglese aveva scelto un’altra al mio posto? Niente di niente. E quando la polizia aveva chiuso in fretta le indagini alzando bandiera bianca? Nulla, nemmeno allora avevo provato nulla, avevo detto rassicurando l’inquisitrice in costoso abito color crema. Lei aveva annuito senza crederci fino in fondo, ma la mia serenità doveva averla colpita. Che aplomb, che flemma! Non poteva sapere, la virago dei colloqui, che sotto i jeans avevo un taglio che mi segnava la gamba come un’incisione tribale, che salire e scendere da un autobus mi strappava ancora smorfie di dolore, che gli antidolorifici erano diventati i miei migliori amici. Non poteva immaginare che di notte mi svegliavo soffocando le lacrime dopo aver sognato per l’ennesima volta di partecipare alla Marathon des Sables, sotto il sole bruciante del deserto, priva di acqua e bussola, scalando una duna dietro l’altra senza arrivare mai. E di certo l’algida dama non poteva sapere quello che mi avevano detto i poliziotti: signorina, si rassegni, non abbiamo i fondi per farle ottenere giustizia. Qualcuno è passato col rosso? Peccato, capita di continuo. Le telecamere in quella strada erano fuori uso? Sì, succede anche quello. Per individuare il pirata della strada ci sarebbe voluto Sherlock Holmes in persona, mi avevano detto, quindi tanto valeva che mi buttassi tutto alle spalle.
Intanto, per pagarmi una costosa riabilitazione, ero stata costretta a dare fondo ai risparmi accumulati grazie alla mia borsa di studio per meriti sportivi. E quando avevo capito che non avrei più messo le scarpette da corsa, continuava a insistere la Wallace, che cos’avevo provato? Ma nulla, signora, mi ero concentrata sugli studi per finire il mio corso tra i primi dieci. E soprattutto per finirlo in fretta, dato che i meriti sportivi non c’erano più e i soldi neanche. Non mi era però sembrato il caso di entrare nei dettagli con la sofisticata dama: che dubitasse pure della sincerità delle mie risposte. Tanto più che mai avrei sperato di arrivare a un secondo colloquio, e poi a un terzo.
In un mese e mezzo di “chiacchierate amichevoli”, come le chiamano qui, non ho incontrato né Anderson né Wolf, ma di certo i loro tirapiedi mi hanno vivisezionato. Anche se poi nessuno di loro si è mostrato davvero interessato ai miei progetti. È per questo che, varcando la porta scorrevole dell’edificio, mi chiedo ancora che cosa sia piaciuto di me. Eravamo in tanti ad aspirare a questo stage, almeno i due terzi degli studenti del mio corso e una marea di ragazzi e ragazze provenienti da mezzo mondo. Dunque, se non sono stati la mia fantasia o la mia visione del mondo, che cos’è che ha avuto la meglio sugli altri? Ho sentito molte storie su questi prestigiosi studi dove si entra sperando di diventare archistar per poi scoprire di essere diventati qualcosa di simile a una segretaria, ma a uno stipendio inferiore e senza orario. Eppure, per una volta voglio mettere a tacere la vocina negativa che da un po’ di tempo mi fa vedere tutto nero. Non ho tempo per il pessimismo, questa gara non posso mancarla.

3

«Allora, hai già messo la prima pietra per il nuovo Shard?» Peter, il fidanzato del mese di Chris, ha un indubbio talento: fa sempre le domande sbagliate.
È stravaccato sul divano mentre affonda il cucchiaio in una vaschetta di gelato. Ormai mangia e dorme a casa nostra e non si preoccupa affatto per il rivolo di crema che sta sgocciolando sul mio cuscino preferito. Evidentemente è più scemo di quel che sembra. Non ha c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Love & the city
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. 35
  39. 36
  40. 37
  41. 38
  42. 39
  43. 40
  44. 41
  45. 42
  46. Ringraziamenti
  47. Copyright