
- 136 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La calma
Informazioni su questo libro
Il prezioso insegnamento di uno dei grandi padri della cultura e del pensiero cinesi. Fondatore, nel IV secolo a.C., della filosofia taoista.
Come conquistare la calma dello spirito, mantenere un mondo di pace e recuperare l'armonia cosmica oltre la superficie dei conflitti.
Storie divertenti, dialoghi paradossali, favole e sentenze in un capolavoro letterario di ironia e arguzia che arriva dritto al cuore e alla mente dei lettori.
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Informazioni
Print ISBN
9788804564003eBook ISBN
9788852061028Lo spadaccino
Una volta il re Wen di Chao si dilettava di scherma. Gli spadaccini premevano alla sua porta ed egli ne ospitava più di tremila, che si battevano giorno e notte al suo cospetto; ogni anno oltre cento di essi rimanevano morti o feriti senza che la sua passione si saziasse. Andando avanti così per tre anni, lo stato decadde e i feudatari complottarono contro di lui.
Il principe ereditario K’uei ne era angustiato. Convocò i consiglieri e disse: «Chi riuscirà a convincere il re a farla finita con gli spadaccini avrà un premio di mille pezzi d’argento.»
«Chuang-tzu è in grado di riuscirvi» dissero i consiglieri.
Il principe ereditario, quindi, inviò un messo a offrire i mille pezzi d’argento a Chuang-tzu. Questi non li accettò, ma venne insieme al messo. Giunto alla presenza del principe ereditario, gli chiese: «Principe, che cosa mi comandi per donarmi mille pezzi d’argento?»
«Ho inteso dire che tu, o Maestro, sei un santo illuminato» rispose il principe ereditario. «Ti ho offerto i mille pezzi d’argento affinché tu faccia dei regali al tuo seguito. Poiché non li hai accettati, Maestro, come oserò parlare?»
«Ho sentito dire, principe» disse Chuang-tzu «che vorresti che io ponessi fine ai sollazzi del re. Supponi però che io in alto parli al gran re contrariandone i desideri e in basso non accontenti te: a quel punto sarei punito e messo a morte. Allora, a che cosa mi servirebbe l’argento? Supponi che io in alto parli al gran re e in basso accontenti te, o principe: nello stato di Chao potrei chiedere qualunque cosa.»
«È vero» disse il principe ereditario. «Il nostro re, però, ammette alla sua presenza soltanto gli spadaccini.»
«Va bene. Io sono abile nella scherma.»
«E sia così. Ma gli spadaccini che il re ammette alla sua presenza hanno i capelli scarmigliati e i ciuffi sporgenti dalle tempie, portano berretti inclinati con larghi cordoni pendenti sotto la gola e vestiti corti di dietro, hanno gli occhi sbarrati e si lanciano insulti. Il re se ne compiace. Ora se tu, Maestro, ti presenti al re con gli abiti da dotto, l’impresa sarà gravemente compromessa.»
«Allora ti prego di prepararmi un abito da spadaccino» concluse Chuang-tzu.
In tre giorni l’abito da spadaccino fu preparato ed egli si presentò al principe ereditario. Costui lo condusse dal re, che lo aspettava con la spada sguainata. Chuang-tzu entrò nella sala senza affrettarsi e senza inchinarsi davanti al re.
«Che cosa vuoi insegnarmi, tu che ti sei fatto preannunciare dal principe ereditario?» chiese il re.
«Ho inteso dire che il gran re si diletta di scherma» rispose Chuang-tzu. «E quindi sono venuto a fargli visita.»
«Di che cosa è capace la tua spada?»
«La mia spada è tale che sconfiggo un uomo ogni dieci passi, su una distanza di mille li.»
Il re ne fu assai compiaciuto. «Non hai dunque avversari nell’impero» disse.
«Ecco come tiro di spada» spiegò Chuang-tzu. «Mi presento distratto, ma colpisco con precisione; attacco per ultimo, ma vado a fondo per primo. Vorrei potervene dare una prova.»
«Aspetta un momento, Maestro» disse il re. «Va’ nel tuo alloggio e attendi i miei ordini. Faccio preparare lo spettacolo e poi ti mando a chiamare.»
Per sette giorni il re mise a confronto i suoi spadaccini. Più di sessanta rimasero uccisi o feriti. Ne rimasero cinque o sei che riunì in fondo alla sala. Poi fece chiamare Chuang-tzu.
«Oggi prova a spezzare la spada di costoro» gli disse.
«L’ho desiderato a lungo» replicò Chuang-tzu.
«Maestro, di quale lunghezza vuoi la spada?» domandò il re.
«Qualsiasi arma andrà bene» rispose Chuang-tzu. «Io ho tre spade: userò quella che al re parrà più conveniente. Vi spiegherò prima di che spade si tratti e poi le proverò.»
«D’accordo, mi piacerebbe sentir parlare di queste tre spade» disse il re.
«Ho la spada del Figlio del Cielo, la spada dei feudatari e la spada della gente comune.»
«Com’è la spada del Figlio del Cielo?»
«La spada del Figlio del Cielo ha per punta la muraglia di Yen-ku, per filo il T’ai-shan di Ch’i, per dorso i principati di Chin e di Wei, per guardia i principati di Chou e di Sung e per elsa i principati di Han e di Wei. È avvolta nei quattro popoli barbari, ha per fodero le quattro stagioni ed è circondata dal golfo del Chihli. Ha per cintura le montagne eterne e viene regolata dai cinque elementi. Parla per mezzo di pene e di ricompense, spiega per mezzo dello yin e dello yang, si raffrena in primavera e in estate e si mette in azione in autunno e in inverno. Quando questa spada viene tenuta di punta nessuno le sta davanti, quando è alzata nessuno le sta sopra, quando è abbassata nessuno le sta sotto, quando è roteata nessuno le sta a fianco. In alto squarcia le nubi fluttuanti, in basso spacca le fondamenta della terra. Appena viene adoperata, corregge i feudatari e sottomette l’impero. Tale è la spada del Figlio del Cielo.»
Confuso e smarrito, il re Wen domandò:
«Com’è la spada dei feudatari?»
«La spada dei feudatari ha per punta gli uomini sapienti e coraggiosi, per filo gli uomini puri e onesti, per dorso gli uomini virtuosi ed eccellenti, per guardia gli uomini leali e forti, per elsa gli uomini valorosi ed eroici. Anche questa spada, quando è tenuta di punta, nessuno le sta davanti, quando è alzata nessuno le sta sopra, quando è abbassata nessuno le sta sotto, quando è roteata nessuno le sta a fianco. In alto si modella sul cielo circolare in modo da essere in accordo con i tre corpi luminosi [sole, luna e stelle], in basso si modella sulla terra quadrata in modo da essere in accordo con le quattro stagioni, in mezzo si armonizza con i desideri del popolo in modo da mantenere la pace entro i quattro confini. Appena questa spada viene adoperata è come un rombo di tuono e all’interno delle quattro frontiere non v’è alcuno che non si sottometta e non obbedisca agli ordini del principe. Tale è la spada dei feudatari.»
«Com’è la spada della gente comune?»
«La spada della gente comune comporta la testa scarmigliata e i ciuffi sporgenti alle tempie, il berretto inclinato con larghi cordoni pendenti sotto la gola e il vestito corto di dietro, gli occhi sbarrati e il lancio di insulti. Quando colpisce davanti agli spettatori, in alto taglia colli e gole, in basso squarcia fegati e polmoni. Tale è la spada della gente comune, non diversa dai galli da combattimento la cui vita finisce in un mattino, senza alcuna utilità per gli affari dello stato. Ora tu, o gran re, hai la posizione di Figlio del Cielo, ma ami la spada della gente comune. Io, umilmente, mi sento mortificato per te, o gran re.»
A questo punto il re prese Chuang-tzu per un braccio e lo portò in mezzo alla grande sala, dove la servitù aveva preparato un banchetto. Tre volte gli girò intorno.
«Siediti e calmati, o gran re» gli disse Chuang-tzu. «Ho finito di parlarti di spade.»
Dopodiché il re Wen non uscì dal palazzo per tre mesi. E tutti i suoi spadaccini si dettero la morte nei loro alloggi.
La calma dell’unitÃ
Tzu-ch’i aveva otto figli. Un giorno li allineò davanti a sé e chiamò l’indovino Chiu-fang Yen, al quale disse:
«Scruta la fisionomia dei miei figli e dimmi chi sarà il più fortunato.»
«Il più fortunato sarà K’un» rispose Chiu-fang Ye.
Contento, Tzu-ch’i domandò:
«Perché mai?»
«Perché K’un mangerà alla tavola d’un principe per tutta la vita.»
Tzu-ch’i, spaventato, si mise a piangere. «Che cosa ha fatto mio figlio» disse «per giungere a un simile estremo?»
«Quando si mangia alla tavola d’un principe» osservò Chiu-fang Yen «i benefici arrivano fino ai tre parentadi collaterali. A maggior ragione giungono al padre e alla madre! Ora, tu ti metti a piangere appena senti parlare di questa possibilità . Tutto ciò significa opporsi alla buona sorte. Se il figlio è fortunato, perché il padre non è felice?»
«Yen» disse Tzu-ch’i, «come fai a sapere che tutto ciò sarà una fortuna per K’un? Mangerà forse carne e berrà vino, ma come fai a sapere da dove gli verranno? Io non sono mai stato un pastore eppure una pecora è nata nell’angolo sudoccidentale della mia casa; non sono mai stato un cacciatore eppure una quaglia è nata nell’angolo sudorientale della mia casa. Come faccio a non stupirmene?
«A mio figlio ho insegnato a vivere secondo le leggi del Cielo e della Terra, a cercare la gioia nel Cielo e il nutrimento nella Terra; non gli ho insegnato a occuparsi degli affari, a far progetti, a compiere imprese eccezionali. L’ho educato a seguire la sincerità del Cielo e della Terra e a non scontrarsi con gli altri per il possesso delle cose. L’ho addestrato a raggiungere la calma dell’unità e a non farsi turbare dalle cose di questo mondo. Ora, invece, tu mi dici che sarà ricompensato dal mondo. Ma, per ottenere quelle ricompense, quali prove dovrà aver sopportato? Se si ottengono ricompense straordinarie, bisogna aver fatto o subito qualcosa di grave! Inoltre, non sono io che infliggo questo castigo a mio figlio, ma il Cielo. Per questo piango.»
Non molto tempo dopo, il figlio K’un si recò nello stato di Yen e, lungo la strada, fu catturato dai briganti. Dato che sarebbe stato difficile venderlo come schiavo, perché intatto, i briganti pensarono che sarebbe stato più facile venderlo se gli avessero tagliato i piedi. Così lo mutilarono e lo vendettero nello stato di Ch’i, dove divenne sovrintendente del duca di Ch’ü. E per tutta la vita mangiò carne.
Lezioni di vita
Tzu-kung viaggiava verso meridione nel regno di Ch’u. Tornando verso il regno di Chin, attraversata la riva meridionale del fiume Han, vide un uomo che stava lavorando un orticello: aveva scavato un passaggio attraverso il quale entrava in un pozzo; poi ne usciva tenendo fra le braccia un orcio con cui innaffiava faticosamente le piante. Lo sforzo era grandissimo e il risultato minimo.
«Per questo lavoro c’è uno strumento» disse Tzu-kung «che in una giornata irriga cento orticelli. Lo sforzo è minimo e il risultato massimo. Non ti piacerebbe averlo?»
L’ortolano lo guardò di sotto in su e domandò: «Com’è fatto?»
«Lo strumento è formato da un legno cavo, pesante dietro e leggero davanti, che tira su l’acqua facendola scorrere in quantità strabocchevole. Si chiama mazzacavallo.»
L’ortolano arrossì per l’irritazione, poi disse ridendo:
«Ho inteso dire dal mio Maestro che chi ha macchinari artificiosi necessariamente ha occupazioni artificiose e chi ha occupazioni artificiose necessariamente ha un cuore artificioso. Quando nel petto alberga un cuore artificioso, la spontaneità non è perfetta; quando la spontaneità non è perfetta, lo spirito produce instabilità ; quando lo spirito produce instabilità , il Tao non vi è contenuto. Non è che io non conosca quello strumento: non lo uso semplicemente perché mi vergognerei a servirmene.»
Tzu-kung chinò la testa mortificato e non replicò. Dopo un po’ l’ortolano domandò: «Chi sei?».
...Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- Nota biografica
- La calma
- Un uomo di coscienza
- La placida calma
- Per sentito dire
- La prudenza
- La gioia celeste
- I veri valori
- Il non-agire
- Il sommo Tao
- L’arte di dimenticare
- Il sogno della farfalla
- Il pericolo della conoscenza
- Nutrire la vita
- La perfezione non apparente
- La virtù della calma
- Il Senzapiedi
- I dieci precetti
- Il nuotatore
- I confini del Tao
- L’uomo del Tao
- La perla misteriosa
- L’astinenza mentale
- Vivere secondo natura
- Un abile intagliatore
- Il disordine del mondo
- Saper prevedere
- L’arte della diplomazia
- La pienezza della felicitÃ
- Bruschi risvegli
- Quattro sestetti
- Questione di applicazione
- Ritratto di un taoista
- Animali sacrificali
- Gli uomini veri
- Parlare del Tao
- La degenerazione del mondo
- La via del Cielo
- Governare con lo spirito
- Ciò che è necessario
- L’arrampicatore sociale
- La grande pace
- Scoprire il cuore dell’uomo
- Vivere nascosti
- Otto difetti e quattro calamitÃ
- Oscuri e quieti
- Una dignitosa povertÃ
- Un perfetto confuciano
- Il discepolo di Confucio
- Salvaguardare la vita
- Questione di ombre
- Il disinteresse del saggio eremita
- Dialoghi senza parole
- Aiuti tardivi
- All’origine delle cose
- L’abito non fa il monaco
- Un vero pittore
- Rendersi vuoti
- Lo stato di integritÃ
- La concentrazione dello spirito
- L’addestramento del gallo
- L’albero inutile
- L’utilità dell’inutile
- FlessibilitÃ
- Un uomo vero
- Una prova di distacco
- Il viaggio di Sapienza
- Visione cosmica
- Inconsapevole e oscuro
- Conoscere il Tao
- L’inesistente
- Apprendere il Tao
- Trasformazioni
- L’uomo senza passioni
- Svuotarsi
- La fine del Caos della spontaneitÃ
- La felicità suprema e la non azione
- La morte della moglie di Chuang-tzu
- Le trasformazioni della vita e della morte
- La felicità del teschio
- Secondo la propria natura
- Il grande sogno
- Dibattiti
- Emozioni
- L’uomo deforme
- Il pazzo
- Gli scassinatori di forzieri
- Santi e briganti
- La scimmia imprudente
- Senza batter ciglio
- Grande conoscenza e piccola conoscenza
- Quando si trascura la realtÃ
- La bella e la brutta
- Il vero saggio
- Un grande maestro
- Ciò che sopravvive
- L’uomo naturale
- Il sapiente e il ricco
- Lo spadaccino
- La calma dell’unitÃ
- Lezioni di vita
- La pace dello spirito
- Un poco di buono
- L’indovino
- La colpa dei santi
- Carità e giustizia
- Il funerale di Chuang-tzu
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