
- 384 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La vocazione teatrale di Wilhelm Meister
Informazioni su questo libro
La passione per il teatro di un giovane della borghesia tedesca del Settecento, al quale il destino ha riservato specifici segni di una vocazione che lo inducono a fondare un teatro nazionale. Tra realtà e utopia, l'opera di Goethe si situa nella tradizione del grande romanzo europeo.
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Informazioni
Print ISBN
9788804370291eBook ISBN
9788852062841Libro quarto
I
Sai la contrada ove il limone è in fiore?Tra il verde cupo arance d’oro fulgono.Dal cielo azzurro lieve la brezza spirafra il quieto mirto, fra il ridente alloro.La sai tu, dimmi?Oh, laggiù, laggiùvorrei, o mio signore, andar con te!Sai quella casa? Su colonne poggiail tetto, sale e camere scintillano,statue di marmo immobili mi guardano:che t’è accaduto, mia povera bimba?La sai tu, dimmi?Oh, laggiù, laggiùvorrei, o mio signore, andar con te!Sai tu il monte, il sentiero erto fra nuvole?Cerca la strada il mulo nella nebbia,in caverne s’annida antica stirpedi draghi, piomban rupi e rivi mugghianoLa sai tu, dimmi?Oh, laggiù, laggiùporta la nostra via: signore, andiamo!
Tra le canzoncine che cantava Mignon, Wilhelm ne aveva notata una che gli piaceva particolarmente per la melodia e l’espressione, sebbene non potesse capirne tutte le parole. Le domandò di cantarla, se ne fece spiegare il testo, se lo trascrisse e lo tradusse in tedesco, o per dir meglio ne fece un’imitazione simile a quella che presentiamo al lettore. In verità l’infantile innocenza dei versi andava perduta insieme con la sprezzatura del linguaggio, e il fascino della melodia era impareggiabile. Ella cominciava ogni strofa con solennità, con magnificenza, come per richiamare l’attenzione su qualcosa di singolare e raccontare qualcosa d’importante. Al terzo e quarto verso il canto diveniva più cupo, più malinconico. Quel “lo sai tu, dimmi?” era pronunciato in tono misterioso, assorto; nel “laggiù, laggiù” v’era un’irresistibile nostalgia, e il “signore, andiamo!” risonava diverso a ogni nuovo canto: volta a volta querulo, insistente, suadente, sollecito e traboccante di promesse.
Un giorno, dopo aver ripetuto la canzone, giunta alla fine ella rimase per un istante in silenzio, fissò le pupille in quelle del suo signore e domandò: «Lo conosci quel paese?» – «Sarà certo l’Italia» rispose Wilhelm; «da chi hai udito questa canzoncina?» – «L’Italia!» ripeté Mignon; «se vai in Italia, portami con te, qui ho freddo.» – «Ci sei già stata, piccola cara?» chiese Wilhelm. La fanciulla tacque e non fu possibile cavarne altro.
Ma non so perché ci occupiamo di questa creaturina proprio nel momento in cui abbiamo lasciato il nostro eroe in una situazione critica.
Sicuramente tutti i nostri lettori brameranno sapere che esito abbia avuto la prova di Wilhelm sul palcoscenico, e quasi nessuno non saprà figurarselo meglio di quanto potremmo raccontarlo noi. Lo ritroviamo, comunque, soltanto in camera sua, svestito e immerso nei suoi pensieri.
Guardava fisso davanti a sé, assorto in profonde meditazioni; se non avesse visto i suoi piedi calzati degli stivaletti che avevano dimenticato di slacciargli, avrebbe creduto che tutta quell’avventura era stata un sogno. Ancora gli risonava agli orecchi il forte applauso, l’assordante battimani della folla, ancora sentiva propagarsi di palco in palco il consenso ottenuto da qualche vigorosa e bella battuta, e quella prima singolare esperienza gli dava la reale sensazione di ciò che un tempo aveva pensato dovesse essere la felicità del maestro. Aveva goduto la sensazione deliziosa d’essere il punto centrale su cui converge l’attenzione di una massa riunita, di sentirsi, se ci è lecito far uso d’una similitudine, la chiave di volta d’una grande cupola, sulla quale premono senza gravarla migliaia di pietre e che le tiene insieme senza fatica né sforzo ma solo grazie al posto che occupa, altrimenti crollerebbero subito in un informe mucchio di macerie. Nemmeno ora, a recita finita, la sua immaginazione lasciava che si disperdessero, li teneva ancora tutti uniti almeno in ispirito, ed egli era convinto che ciascuno» tornato a case, avrebbe rivissuto coi suoi e nei suoi le belle e nobili imprese, le vive impressioni del dramma. Non aveva chiesto la cena; per la prima volta aveva rimandato distrattamente Mignon, e non si decise a coricarsi finché non ve lo costrinse la candela, ridotta ormai a un mozzicone. La mattina seguente, sentendosi ristorato da un lungo sonno, si alzò come se si destasse da un’ebbrezza. I residui del trucco sulle guance e i capelli ancora ricadenti in bizzarri riccioli arruffati lo riportarono alla vicenda del giorno prima, producendo una curiosa impressione sul suo spirito ritornato lucido.
Non andò molto che entrò da lui il signor Melina, alle cui visite, soprattutto a quell’ora insolita, egli non era abituato. «Le porto i saluti di mia moglie» disse «e le assicuro che se fossi capace di gelosia, sarebbe questa la volta: la si direbbe impazzita per lei e per la sua recitazione di ieri.» – «Ringrazio la signora» disse Wilhelm «della sua bontà nei miei riguardi. Di una cosa sono sicuro: lei vorrà credermi se le dico che non so davvero come ho recitato. Mi sembra, del resto, che tutti abbiano fatto del loro meglio, e ne sono loro estremamente grato.» – «Insomma, più o meno…» rispose Melina. Continuarono a parlare del dramma, della recita e dell’effetto prodotto dalle diverse scene. Finalmente Melina disse: «Mi pecetta, da antico, di ricordarle una cosa, poiché temo che lei trascuri un punto molto importante. Gli applausi del pubblico sono belli e buoni, ma io vorrei che lei non solo li meritasse, ma ne traesse anche un utile. Gl’incassi di ieri sono stati assai cospicui e la nostra direttrice deve disporre di un bel mucchio di talleri: lei non deve lasciar passare quest’occasione se vuoi riavere il suo; io ho fatto i conti di quanto ha speso, sia come prestito sia per l’allestimento del lavoro. Gli ultimi due giorni ha ordinato e fatto fare urgentemente una quantità di roba, e adesso cominceranno a pioverle addosso le fatture. Per quel che so, finora non ha pagato nemmeno l’oste, che le presenterà un conto tutt’altro che trascurabile, e non vorrei che lei si trovasse nei pasticci».
Proprio sul più bello di quel sentiero di gioie spirituali, fu assai amaro per il nostro amico vedersi spalancare dinanzi un tale abisso di domestiche miserie. «Quando arriveranno le fatture» disse «conterò i miei soldi, pagherò gl’importi e all’occasione parlerò con la direttrice.» – «Amico mio,» esclamò Melina «pensi bene a quel che fa, approfitti del momento favorevole! Bisogna agire immediatamente; adesso Madame de Retti non ha ancora sperperato i suoi incassi e non ha scuse per opporle un rifiuto, ma non le garantisco che a mezzogiorno la situazione sia ancora immutata.» – «Non posso cadere» replicò Wilhelm «che abbia in mente di sottrarmi ciò che mi spetta. Ancora ieri, nel momento critico, mi ha dato le più ampie assicurazioni che mi avrebbe pagato, e devo dire che le facciamo un grave torto perché forse, in questo stesso istante, sta contando la somma che mi deve per adempiere ai suoi obblighi verso di me.» – «Lei non la conosce abbastanza,» ribatté Melina «lei ha posto poca attenzione a come costei s’è condotta finora. Se l’avesse voluto sul serio, da un pezzo avrebbe fatto il suo dovere restituendole il denaro un po’ par volta. Se segue questa strada, amico mio, non ne caverà nulla; è lei, insisto a dirglielo, che deve usate fermezza. Sa di preciso quanto ha speso finora? Ha calcolato approssimativamente quanto le resta da pagare?» – «Ritengo di averne ancora per seicento talleri» disse Wilhelm; «coi settanta che ho prestato a lei, calcoliamo settecento in tutto. Aggiungo altri cinquanta talleri per il conto del locandiere: me ne rimangono a sufficienza per esser certo di non trovarmi in difficoltà.» – «Mi sembra che, come contabile, lei non sia molto ordinato» replicò l’altro; «sono pronto a scommettere che da quando è qui ha già speso ottocento talleri. Verifichi, la prego, e scusi se sono così insistente.»
Wilhelm andò un po’ di malavoglia al suo forziere e dovette constatare con grande stupore che i conti del suo amico tornavano e che il suo peculio s’era alleggerito assai più di quanto supponesse. «Ha ragione,» gli disse «però non ho ancora motivo di preoccuparmi.» – «Non vorrei sembrare indelicato» rispose Melina «chiedendole quanto le è rimasto attualmente; debbo solo avvertirla di prepararsi a un conto di cento talleri per i manovali e a un altro di almeno duecento da parte del locandiere.» – «Impossibile!» esclamò Wilhelm. – «Perdoni la mia curiosità» soggiunse l’altro; «l’ho fatto a fin di bene: ieri ho chiesto al padrone di mostrarmi i libri e ho potuto accertare che il conto ammonta realmente a quella cifra. Ospitale e generoso come lei s’è mostrato, era impossibile che le costasse meno.» Ci volle poco a calcolare che, una volta pagato il locandiere, a Wilhelm non sarebbero rimasti più di cento talleri in contanti. Egli ne rimase sgomento, e Melina rincarò la dose dei suoi moniti. «Vede che non c’è da scherzare» gli disse; «la capocomica è in nostra mano, perché tutto quello che ha è ipotecato a suo nome e possiamo venirne in possesso anche subito. Siamo sicuri che farà tutto il possibile prima di andare in malora e di farsi cacciare dalla città; così lei potrà recuperare i suoi soldi. Chieda con insistenza che le venga subito restituito il suo primo anticipo, e il resto man mano, attingendo agli incassi delle recite; insista anche perché quella si assuma gli obblighi ancora pendenti verso i manovali, e così riuscirà a salvare il salvabile, perché non potrà certo uscirne senza lasciarci qualche penna. Si vesta subito, la prego, e vada da lei. Se non avessi paura di guastarmi con quella donna e di sembrare importuno, le risparmierei volentieri questo passo spiacevole.»
Un giovane principe che sia sulle mosse per partire per la caccia, bell’e stivalato e speronato, non potrebbe prestare orecchio alle querimonie di un ministro delle finanze con maggior riluttanza di quanta ne mise Wilhelm nell’ubbidire ai consigli dell’amico. Ben diversa egli s’era figurata quella mattina! Aveva sperato di potersi ristorare lo spirito in compagnia degli amici e delle amiche, riandando e godendo con loro l’impresa di ieri, la gioia, il successo.
II
Proprio nell’istante in cui, dopo essersi vestito, si preparava a salire dalla capocomica, Wilhelm ricevette un biglietto del suo amico von C., contenente le più vive espressioni d’entusiasmo e di ammirazione per il dramma di ieri e per l’inaspettata sua bravura di attore, nonché un invito per la sera stessa: desiderava condurlo in casa di due distintissime signore, venute in città dalle loro terre per veder la tragedia e che aspiravano a conoscerlo più da vicino. Egli fece rispondere a voce che non sarebbe mancato, e s’avviò verso la stanza di Madame de Retti.
La udì fuori dell’uscio impegnata in un violento litigio; subito riconobbe la voce di Bendel, che la trattava in malo modo. Quando Wilhelm bussò ella non lo sentì, e aprendo la porta egli intese chiaramente le parole del rozzo individuo: «Insomma,» gridava costui «non c’era bisogno di aver tanta fretta, potevate benissimo dare un altro lavoro e domani io sarei stato in grado di recitare.» L’inatteso arrivo d’un terzo interruppe la sua sfuriata; Wilhelm lo salutò e si disse lieto di vederlo, al che il villanzone rispose con qualche borbottio incomprensibile e, messasi sotto braccio una cassettina che si trovava sulla tavola, uscì sbattendo la porta.
«Vorrei proprio» disse Madame de Retti «che quella parte se la fosse assunta lei fin dall’inizio, e che il signor Bendel non l’avesse nemmeno studiata; adesso è rabbioso perché lei l’ha recitata prima di lui.» – «Ora avrà tutto il tempo necessario per recitarla» rispose Wilhelm; «io mi son già trattenuto fin troppo, gli affari mi obbligano a proseguire il mio viaggio, ed ero venuto appunto per annunziarle questo e per pregarla di restituirmi il denaro che finora sono stato lieto di metterle a disposizione, tanto più che gli incassi di ieri copriranno quasi tutto l’importo.» – «Io stessa non so ancora quanto abbiamo incassato» disse la capocomica; «ho consegnato or ora la cassa al signor Bendel perché spartisca le monete e ne faccia il conto. Verso sera potrò darle un rendiconto esatto.» – «Madame,» replicò Wilhelm «la pregherei di far riportare qui la cassa; permetta che m’incarichi io dell’incombenza, non ci metterò più di un’ora.» – «Non vorrà assillarmi proprio adesso» fece l’altra; «ho un grosso debito da pagare al locandiere e devo regolarlo subito, se voglio sperare che mi faccia ancora credito.» – «Consideri, Madame,» disse Wilhelm «che il suo debito verso di me è altrettanto urgente, dato che non posso fermarmi qui un giorno di più.» – «Questo non glielo chiedo affatto» fu la risposta; «mi lasci il suo indirizzo, e le prometto di farle l’invio col primo mezzo.» – «Su questo punto non posso cedere» egli la interruppe; «tenga presente che l’intero guardaroba, le scene e tutto l’arredo teatrale ě ipotecato a mio nome, e mi dorrebbe molto se lei mi costringesse a far uso del mio diritto.» – «Dunque lei sarebbe capace» esclamò Madame de Retti con impeto, gettando sulla tavola un rotolo di carta che aveva tenuto in mano fin allora e andando su e giù per la stanza, «lei sarebbe capace di mostrarsi così duro, così ingiusto con me?» – «Non vedo nulla d’illecito» ribatté Wilhelm «nel cercar d’ottenere quello che mi spetta.» – «No,» gridò lei battendosi la fronte con la mano «no, non mi sarei mai aspettata una cosa simile! Come la conoscevo male! come mi sono sbagliata sul suo conto! Non glielo perdonerò finché vivo!» E al colmo della collera continuò a lamentarsi del suo contegno, a protestare che si sentiva offesa dalle sue pretese. Wilhelm era rimasto di stucco: a suo avviso era lui la parte offesa, lui che doveva lagnarsi, che doveva perdonare! E gli dava una sensazione curiosa il suo adoperarsi per calmare Madame, per assicurarle che non aveva avuto la minima intenzione d’offenderla e di farla arrabbiare. «Perché veda che prendo la cosa sul serio,» essa gli rispose «comincerò subito col versarle un acconto: le pagherò venticinque talleri sugli incassi di ieri e altrettanto le darò su quelli che seguiranno, fino a coprire l’intero capitale con gl’interessi. Giacché non deve credere» proseguì in tono altezzoso «che mi faccia piacere d’essere in debito verso chiunque.» Il nostro bravo amico era stordito e mortificato; non avendo mai appreso l’arte di curare i propri interessi, dimenticò i consigli di Melina nonché il buco aperto nella sua cassa e lasciò senza risposta l’offerta della de Retti, senza respingerla né accettarla. Ed ella fu abbastanza furba da mandargli subito, non appena fu tornato nella sua stanza, l’acconto promesso.
Melina, a cui Wilhelm, seppur controvoglia, riferì l’esito del colloquio, si mostrò assai contrariato della condiscendenza e della leggerezza da lui dimostrate e soprattutto perché, dal momento che aveva accettato il pagamento rateale, non aveva stabilito una cifra maggiore e non aveva girato alla capocomica l’obbligo ancora pendente nei confronti degli operai. Le recriminazioni del consorte ebbero per effetto di scombussolare totalmente la signora Melina, che non riuscì a dire all’amico teatrante nemmeno la centesima parte delle belle parole che s’era preparate; i suoi pensieri amabili dovettero cedere il passo a considerazioni d’ordine economico. Il signor Melina andava ruminando come dare un’altra piega alla faccenda, ma Wilhelm non si lasciò convincere ad affrontare ancora la furente direttrice.
Dopo pranzo, come previsto, arrivarono alcuni operai, chiedendo d’esser pagati. Su consiglio di Melina li si spedì dalla capocomica, la quale però li respinse protestando e affermando che di tutta quella roba lei non aveva ordinato nulla: si rivolgessero al signore che li aveva incaricati del lavora Gli operai perciò non fecero che tornare da Wilhelm, e questi li pregò che pazientassero fino al mattino seguente, quando avrebbe sistemato ogni cosa.
La sera si recò dal suo amico, che lo condusse a una piacevolissima riunione mondana. Tutti, e segnatamente alcune signore di elette qualità, lo attorniarono e non ebbero parole bastanti per dirgli la soddisfazione da loro provata il giorno prima, di cui avrebbero serbato a lungo il ricordo. Si parlò molto del dramma, lo si discusse nei particolari, si disse quanto erano piaciuti anche gli scenari e i costumi; perfino il tappeto verde non fu dimenticato. E la contentezza di Wilhelm sarebbe stata completa se tutti quegli oggetti tanto lodati non gli avessero rammentato i guai nei quali già oggi si era trovato per loro motivo e ancor più si sarebbe trovato l’indomani; talché i maligni spiriti dell’angustia gli sottrassero dalle labbra quel nettare di gioie ch’era stato approntato per lui.
III
Intanto il pubblico aveva atteso con molta impazienza il giorno seguente, per il quale era stata promessa dalla compagnia una replica della tragedia. E anche stavolta la sala avrebbe dovuto essere assai più grande per contenere la folla degli spettatori accorsi. In città, infatti, nessuno dubitava che il nuovo attore avrebbe ancora interpretato la parte di Dario, sebbene Wilhelm avesse fermamente deciso di non rimettere piede in palcoscenico e Mossiù Bendel si fosse già fatto allargare il costume del protagonista, riadattandolo alle sue misure. La direttrice aveva avuto la furberia di non pubblicare sulla locandina i nomi degli attori come di consueto, così che la curiosità era più forte che mai e la certezza generale veniva a essere confermata.
Quella per Wilhelm fu una giornata piena di contrarietà: fu costretto ad ascoltate le lamentele della signora Melina, pessimista sull’esito che avrebbe avuto lo spettacolo della sera, insieme agli accorati rimproveri del marito per non aver egli seguito i suoi consigli e non aver fatto maggiori pressioni sulla capocomica per la restituzione del denaro. Tutto ciò lo irritò al punto da fargli deprecare il giorno in cui era arrivato lì. Si faceva una colpa di non avere al mattino richiesto l’intera somma a Madame de Retti, in modo da poter partire la sera stessa, seguendo l’impulso del suo cuore...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- Bibliografia
- Libro primo
- Libro secondo
- Libro terzo
- Libro quarto
- Libro quinto
- Libro sesto
- Copyright