Made in Sweden
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Made in Sweden

Un romanzo criminale a Stoccolma

  1. 648 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Made in Sweden

Un romanzo criminale a Stoccolma

Informazioni su questo libro

"Un romanzo imperdibile e mozzafiato per gli amanti del noir" è stato detto, ma Made in Sweden è molto più di questo. Tratto da un caso di cronaca che ha segnato la Svezia negli anni Novanta, il libro è la storia appassionante e struggente del destino di una famiglia, una storia che parla dell'amore che unisce tre fratelli, del rapporto complesso che esiste tra figli e padri. Tutto ha inizio in una sera d'inverno. Una sera normale, una casa tranquilla, la cena sul fuoco e tre bambini che aspettano solo di sentire la voce della loro madre che li chiama a tavola. Il piccolo Felix guarda i cartoni animati. Vincent sta ascoltando il walkman. E Leo, il maggiore, è al telefono. Con Ivan, il padre che non vive più con loro ma che improvvisamente gli annuncia "Leo, sto tornando a casa". In pochi minuti è alla porta, pronto a vendicarsi della donna che lo ha mandato via. Ma mentre la sua violenza si sta per abbattere su di lei succede l'inatteso. Leo si scaglia contro suo padre, lo ferma, lo guarda negli occhi. La voce dell'uomo si incrina: "È il tuo turno Leo, da oggi questa famiglia è sulle tue spalle". Sono passati dieci anni e Leo ha deciso di occuparsi dei fratelli a modo suo, seguendo l'esempio del padre che gli ha insegnato che il rispetto si guadagna solo con la violenza e la sopraffazione. Per questo, quando scopre un deposito d'armi militari in campagna, Leo non ha dubbi: lui e i suoi fratelli lo svaligeranno, per compiere le più audaci e spettacolari rapine che la Svezia ricordi. Insieme, come sempre. Uniti contro il mondo intero. Ma in ogni crimine si nasconde una debolezza, una crepa, e a un poliziotto che sa fare il suo mestiere non sfugge che la dinamica delle rapine ha qualcosa di anomalo. In uno dei filmati di sorveglianza il detective John Broncks nota un gesto d'affetto, inusuale tra due rapinatori. Come se la banda criminale fosse legata da qualcosa più forte dell'avidità, da un'unione profonda, forse una "fratellanza". Mentre dal passato di Leo, Felix e Vincent riemerge l'ombra, mai del tutto sbiadita, del padre... In un elastico spettacolare di azzardi e tradimenti, di inseguimenti e azione, di disperazione e visionarietà, questo "romanzo criminale" scandinavo viene consegnato al lettore come un pacco che non si può mandare indietro, e la storia (realmente accaduta) dei tre ragazzi "uniti contro il mondo", il loro legame unico segnato dalla violenza, la loro reazione a un destino sfortunato ci rivela una volta per tutte quanto sia sottile la linea di demarcazione tra condanna e assoluzione. Scritto da Anders Roslund (autore, assieme a Börge Hellström, di bestseller mondiali come Tre secondi) e da Stefan Thunberg, sceneggiatore all'esordio narrativo e fratello di Carl, Johan Alin e Lennart Sumonja, i veri autori delle rapine sulla cui storia è basato il romanzo, Made in Sweden è stato salutato come una miracolosa sintesi tra Stieg Larsson e Romanzo criminale. Il libro è in via di traduzione in tutti i paesi del mondo, i diritti cinematografici sono stati acquistati dalla DreamWorks e, appena uscito, ha raggiunto in Svezia il primo posto in classifica.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804647584
eBook ISBN
9788852060830

Presente

Seconda parte

19

Aveva piovuto ogni giorno, per settimane, gocce che facevano sprofondare una buca riempita di terra davanti a un grigio cubo di cemento. Aveva deciso di non pensarci, e tuttavia la preoccupazione non l’abbandonava mai.
Leo attendeva al volante dell’auto fuori dallo Skogås Centrum, mentre il finestrino si trasformava in un velo grigio che gli impediva di vedere. Quello che una volta era stato un punto d’incontro all’aperto era diventato una galleria commerciale al coperto. Il supermercato accanto allo spaccio degli alcolici, e la pizzeria di Mahmoud subito vicino all’ingresso sulla sinistra: le tovaglie bianche e rosse avevano forse macchie più grandi e, a quanto ricordava, una volta c’era una maggiore scelta di birre sullo scaffale sopra il bancone, ma il proprietario era sempre lo stesso e ogni volta che entrava gli rivolgeva un cenno di saluto. Il cielo era stato sostituito da una volta di vetro, le bitorzolute lastre di pietra da piastrelle levigate e le panchine e le ringhiere su cui si affollavano gli ubriachi erano diventate porte automatiche che si aprivano non appena qualcuno si avvicinava, come Anneli in quel momento.
Si fermò dopo qualche passo appena, sfilò la plastica dal pacchetto di sigarette, se ne accese una riparandosi sotto la tettoia dell’ingresso, fece un tiro profondo come sempre quando aveva grandi aspettative. Era così bella. Aveva più anni di lui ma, tra i due, era sempre lei a dover cercare nella borsa un documento da mostrare ai buttafuori dei locali. Mentre si avvicinava non sembrava camminare e basta, sembrava passeggiare, e quando passeggiavano insieme erano belli; Leo ci pensava spesso.
«Verso sud?» gli chiese, entrando in auto.
«Vedrai: ci sono case in vendita dappertutto.»
Guidò prima in direzione di Farsta, a nord. Anneli guardava fuori dal finestrino, speranzosa. Poi verso Huddinge, a ovest, e di tanto in tanto indicava una delle grandi case simili a quella in cui, a quanto diceva, avrebbe voluto abitare; poi verso Tumba, a sud; la stessa speranza, la mano sopra quella di lui, sul cambio. Lentamente attraverso il quartiere conosciuto, ville più modeste e palazzi, l’asfalto e i padiglioni industriali e poi di nuovo le ville. La città degli artigiani, dei proletari, dei piccoli imprenditori. Il mondo ai margini di Stoccolma.
Leo avvertiva un legame con quartieri come quello, con quelle persone che non avevano posto nei sogni di Anneli, quando in battello scivolava lungo Drevviken e osservava le spiagge e i tetti che spuntavano tra gli alberi; era una casa come quella che sperava avrebbero visitato quel giorno.
Leo rallentò e lei studiò l’elegante edificio di inizio secolo con il prato all’inglese e meli e peri, gli strinse la mano ancora più forte. Ma lui non si fermò. Continuò fino al cortile seguente, il vialetto con un alto cancello in ferro battuto e un garage grande abbastanza per cinque veicoli, una casa piccola piccola, con una facciata in pietra grigia.
«Qui?»
I suoi occhi schivi mentre cercava di evitare le pozzanghere sull’irregolare spiazzo d’asfalto, stretto tra due strade trafficate.
Non era cambiato nulla. Era come se fossero passati dall’appartamento al terzo piano di un condominio allo scantinato.
«Non c’è la staccionata» sussurrò lei con disappunto.
«Sì che c’è.»
Leo aprì la portiera e attraversò il cortile d’asfalto. Lei lo seguì, zigzagando tra le profonde pozze d’acqua, verso una rete alta tre metri, col filo spinato in cima.
«Prima c’era un autosalone qui. Nessuno riusciva a entrare.»
«Stai dicendo che... intendevi questo quando dicevi... di prendere una casa? Farci una vita insieme?»
«Ascolta...»
«Un cazzo di garage? Un cazzo di cortile d’asfalto? Una cazzo di rete col filo spinato? Io voglio una staccionata bianca con quei bei buchi tondi traforati, voglio alberi veri e aiuole ed erba e rabarbaro e... Leo? Come... quella casa là! Di legno, col vialetto di ghiaia e quelle belle mattonelle.»
Indicò la grande, bella casa dei vicini; una porta si aprì alle loro spalle: l’ingresso della casetta dal loro lato della rete. Un uomo ne uscì, in completo gessato, camicia bianca, cravatta a pois.
«Hai preso un appuntamento... con un agente?»
«Vieni.»
Lei non si mosse; i capelli fradici, il cappotto, i pantaloni, le scarpe, anch’essi fradici.
«Per mesi mi hai lasciato immaginare che ci saremmo trasferiti in una casa vera e poi mi trascini... qui?»
Lui le prese la mano.
«Già che ci siamo.»
«Non voglio vivere qui. Non lo capisci?»
L’altra sua mano.
«Anneli. È quello che ci serve. Per ora.»
«Ma non voglio vivere qui! Io voglio...»
«Ci siamo sentiti al telefono, vero?» disse l’agente.
Una giacca, una cravatta e un sorriso di circostanza. Una stretta di mano troppo forte, credeva che fosse un modo per ispirare fiducia. Leo sorrise, Anneli cercò il suo sguardo. “Hai preso appuntamento con un agente immobiliare senza parlarne con me.” Lui incrociò i suoi occhi. “Ormai siamo qui, diamo un’occhiata.” Accettò la lucida brochure in tetracromia dalla mano dell’agente, che aveva colto una certa resistenza da parte di Anneli; si voltò verso di lei.
«Certo, non è una casa colonica nel verde né una villa di fine secolo.»
L’agente indicò il furgone, poi il logo dell’impresa edile sul giubbotto di Leo.
«Ma è la casa ideale se si vuole avere la propria attività nelle vicinanze, e a un prezzo ragionevole.»
Leo fece un cenno verso il capannone blu che faceva ombra sull’altro lato della provinciale.
«Siamo stati noi a fare i lavori. Solbo Centrum. Il Palazzo Blu.»
L’angolo con il gommista, il ristorante indiano, il fiorista, il solarium e la pizzeria di Robban. Accanto, un container chiuso con duecentoventuno armi automatiche: l’arsenale di un paio di compagnie di fanteria. L’agente immobiliare lo vide. Chiunque vi passasse accanto lo vedeva.
Senza sapere.
«Bene, benvenuti.»
La manica bagnata della giacca indicò platealmente lo spiazzo.
«Nel complesso, la proprietà è di millecento metri quadrati; la superficie totale edificata è di trecento metri quadrati, mentre il corpo principale è di novanta.»
Lasciarono le pozzanghere e la rete col filo spinato, entrarono nella cucina al piano inferiore, mentre la voce dell’agente illustrava i “mobili pressoché nuovi” e le “potenzialità” e le “possibilità” e la “ottima disposizione” e il “riscaldamento efficiente”. Sentivano le sue parole ma non lo ascoltavano. Anneli si rifiutava, perché non voleva essere lì. Leo non ascoltava perché aveva già deciso.
Dalla cucina vuota passarono all’ingresso vuoto, salirono le scale verso il vuoto piano superiore, la stanza vuota sulla sinistra, con la porta chiusa.
L’agente la spalancò.
«Un ampliamento. Una stanza extra.»
Mostrò i muri consunti, il pavimento consunto, dieci metri quadrati al massimo.
«Veniva usata come ufficio.»
Leo batté le nocche su diversi punti delle pareti in cartongesso, pestò i piedi sul linoleum che ricopriva il pavimento, ma sentì solo i tacchi di Anneli: se ne stava andando. Si scusò, la seguì. Era dall’altra parte della finestra, nella pioggia ormai sottile, una sigaretta tra le dita, boccate brevi e intense, come faceva quand’era delusa.
«Anneli?»
Lei non lo guardò.
«Ascolta, stavo pensando a una cosa. Tuo figlio... voglio dire... Sebastian non dovrà dormire sul divano quando viene a trovarci, come nell’appartamento.»
«Ma non c’è posto.»
«Sì che c’è. Ti faccio vedere. E qua fuori, sull’asfalto, un campo da calcio! E un canestro da basket sul muro del garage. Quando avevo cinque anni, ne sarei andato matto.»
«Sei. Sebastian ne ha sei.»
«Volevi che venisse più spesso. Ora può.»
L’abbracciò.
«Tra un anno sceglieremo la casa che vuoi tu, Anneli. Dovunque. A qualsiasi prezzo.»
La mano sulla sua guancia.
«Ma adesso dobbiamo prendere questa. Capisci? Per arrivare là, all’altra casa. È perfetta per la ditta. C’è il quartier generale, lo spazio per esercitarsi, il deposito. Un’area residenziale ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Made in Sweden
  4. Prologo
  5. Presente. Prima parte
  6. Passato. Prima parte
  7. Presente. Seconda parte
  8. Passato. Seconda parte
  9. Presente. Terza parte
  10. Passato. Terza parte
  11. Presente. Quarta parte
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright