
- 192 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Le avventure di Gérard
Informazioni su questo libro
Nella sua impeccabile divisa da ussaro della cavalleria napoleonica, il tenente Gérard affronta avventure di ogni genere sorretto sempre da un incontenibile entusiasmo. Un nuovo personaggio dell'eclettico scrittore inglese.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Le avventure di Gérard di Arthur Conan Doyle, Alfredo Pitta in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Print ISBN
9788804403203eBook ISBN
9788852059667VI
L’amabile Millefleurs
Massena era magro, aspro, e, dopo un incidente di caccia, era rimasto con un occhio solo; ma quando guardava un campo di battaglia, anche con quell’unico occhio, non gli sfuggiva niente. Se aveva davanti un battaglione in parata, gli bastava uno sguardo per dire se una fibbia o un bottone erano fuori posto. Né i soldati né gli ufficiali gli erano molto affezionati, perché era avaro; e i soldati amano che un capo sia liberale; ma quando si trattava di combattere, tutti avevano per lui il massimo rispetto, e non avrebbero voluto nessun altro generale, con l’eccezione dell’Imperatore e di Lannes, finché era rimasto in vita. Dopo tutto, se teneva stretti i cordoni della borsa, Massena teneva ben stretto tutto quello su cui metteva la mano, si trattasse di città conquistate o di buone postazioni militari; e una cosa compensava l’altra.
Quel giorno, quando ricevetti l’ordine di presentarmi da lui, andai volentieri al quartier generale, perché ero stato sempre un suo favorito, e non c’era ufficiale, fra quelli ai suoi ordini, per cui avesse la stima che aveva di me. C’era da dire questo a favore dei generali esperti: sapevano scegliere fra tanti un uomo di vero merito.
Lo trovai seduto nella sua tenda, con il mento appoggiato alla mano, accigliato come se qualcuno gli avesse chiesto di partecipare a una sottoscrizione. Vedendomi, però, sorrise.
«Come va il vostro terzo ussari?» mi chiese.
«Settecento impareggiabili uomini su settecento impareggiabili cavalli.»
«E le vostre ferite? Si sono cicatrizzate?»
«Le mie ferite non si cicatrizzano mai, signor maresciallo.»
«E perché?»
«Perché ne ho sempre delle nuove.»
Massena rise, di quel riso che gli disegnava sul volto una fitta rete di rughe. «Dunque, il generale Rapp deve stare attento a non essere superato: ha avuto ventun proiettili in corpo e almeno altrettanti colpi all’arma bianca. Ma io sapevo che eravate ferito, colonnello, e per questo vi ho risparmiato negli ultimi tempi.»
«Questo mi fa male più delle ferite.»
«Andiamo! Da quando gli inglesi si sono trincerati in quelle maledette linee di Torres Vedras c’è stato poco da fare per tutti. Durante la vostra prigionia a Dartmoor non ci siamo mossi molto, ma ora stiamo per entrare di nuovo in azione.»
«Avanziamo, signor maresciallo?»
«No, ci ritiriamo.»
Immagino che il mio viso espresse l’angoscia che mi attanagliava a quelle parole. Come, dovevamo ritirarci davanti a quel Wellington che aveva ascoltato con tanta indifferenza le mie preghiere il giorno della partita a carte con il Bart e mi aveva mandato nella sua terra nebbiosa? Ne avrei pianto di rabbia.
«Che volete!» ribatté Massena spazientito. «Quando si gioca a scacchi qualche volta è necessario muovere il re.»
«In avanti!»
Massena scosse la testa grigia.
«Le linee non devono essere forzate. Ho già perso il generale Sainte-Croix e più uomini di quanti ne possa sostituire; d’altra parte, siamo qui a Santarem da circa sei mesi, e non c’è più una libbra di farina o un boccale di vino in tutta la zona. Dobbiamo ritirarci.»
«A Lisbona ci sono vino e farina in abbondanza» risposi ostinatamente; eravamo infatti in Portogallo.
«Gérard, voi parlate come se un intero esercito potesse caricare il nemico come caricano i vostri ussari! Se ci fosse qui Soult con trentamila uomini… Ma non verrà, purtroppo. E poi non è di questo che dobbiamo parlare. Vi ho fatto venire per dirvi che c’è una spedizione insolita e importante che desidero affidare a voi.»
Inutile dire che a quelle parole tesi l’orecchio. Massena srotolò una grande carta topografica della regione e la mise sulla tavola spianandola con la piccola mano pelosa.
«Qui» disse «come vedete, c’è Santarem…»
«Sissignore.»
«E qui, a venticinque miglia a est, c’è Almeixal, famosa per i suoi vini e per la grande abbazia.»
«Sissignore» ripetei, chiedendomi dove volesse andare a parare.
«Colonnello, avete mai sentito parlare del maresciallo Millefleurs?»
«No» risposi, un po’ mortificato. «Ho servito sotto tutti i marescialli, ma questo non l’ho mai neppure sentito.»
«Non è un nome, è il soprannome che gli hanno dato i soldati. Se non foste stato lontano da noi per qualche mese, non dovrei spiegarvi di chi si tratta. È un inglese, un uomo colto e dai modi eleganti; proprio per i suoi modi raffinati gli è stato dato questo nome, Millefleurs; qualcuno lo chiama anche “l’amabile Millefleurs”. Vorrei dunque che andaste a Almeixal da questo cortesissimo inglese…»
«Sissignore.»
«E che lo impiccaste all’albero più vicino» concluse tranquillamente Massena.
«Sissignore.»
Salutai, mi voltai e stavo per uscire, quando Massena mi richiamò.
«Un momento, un momento, colonnello! Dovete sapere bene come stanno le cose prima di partire. Il maresciallo Millefleurs, dunque, il cui vero nome è Alex Morgan, è un uomo di grande astuzia e di grande coraggio. Era ufficiale nella guardia inglese, ma, essendo stato degradato perché barava al gioco, ha lasciato l’esercito; poi, riuniti intorno a sé parecchi disertori inglesi, se n’è andato nelle montagne. Là si sono uniti a lui alcuni banditi portoghesi e qualche disertore francese. Sono in tutto cinquecento uomini, e con loro Morgan si è impadronito dell’abbazia di Almeixal, cacciandone i monaci, ha fortificato l’edificio, ne ha fatto il suo quartier generale e vi raccoglie tutto il bottino che fa nel paese.»
«Quindi, è proprio venuto il tempo di impiccarlo» osservai, e di nuovo feci per uscire.
«Un momento, ho detto!» esclamò Massena sorridendo della mia impazienza. «Ora viene il peggio. La settimana scorsa quei banditi hanno catturato la vecchia contessa de La Ronda, la donna più ricca di tutta la Spagna e il Portogallo, mentre, dalla corte di re Giuseppe, andava a visitare il nipote, figlio di sua figlia; la tengono prigioniera all’abbazia senza dubbio per chiedere un riscatto. Voi dovete avere tre obiettivi: primo, liberare la povera contessa; secondo, punire l’amabile Millefleurs; terzo, distruggere quel covo di banditi, non l’abbazia, naturalmente, ma i banditi. Per dimostrarvi la fiducia che ho in voi, vi dirò che posso darvi soltanto mezzo squadrone per ottenere questo triplice obiettivo.»
Parola mia, non credevo alle mie orecchie! Per una simile impresa pensavo mi sarebbe stato dato per lo meno tutto il reggimento. Evidentemente Massena era avaro di uomini come di danaro; oppure sapeva di poter chiedere anche l’impossibile a Etienne Gérard.
«Vi darei più uomini» riprese vedendo il mio stupore «ma non posso. Comincio oggi la ritirata, e Wellington ha una cavalleria tanto forte, che per me ha importanza anche un solo soldato. Dunque, non uno di più. Fate del vostro meglio, poi venite da me ad Abrantes non più tardi di domani sera. Intesi?»
Era molto lusinghiero per me, anche se un po’ imbarazzante, che egli avesse tanta fiducia nelle mie possibilità. Dovevo liberare una signora, impiccare un inglese, distruggere il covo di cinquecento banditi, tutti ex soldati, e questo con cinquanta uomini! I cinquanta uomini, è vero, erano ussari di Conflans, e a comandarli era Etienne Gérard; ma insomma, anche così…
Tuttavia, quando uscii al bel sole del Portogallo, mi ritornò la fiducia, e cominciai a chiedermi se non fosse venuto il tempo di quella famosa medaglia che avevo tanto desiderato e tante volte meritato.
Naturalmente, non li scelsi a caso i miei cinquanta uomini; e quando riunii il mezzo squadrone che doveva accompagnarmi, non c’era un uomo che non fosse un veterano, un soldato dal coraggio a tutta prova. Alla testa dello squadrone erano Oudet e Papillette, due dei migliori sottufficiali del reggimento; e nel vedere i miei uomini schierati per quattro, sui cavalli sauri, con il dolman grigio-argento e i piccoli pennacchi rossi, mi sentii gonfiare il cuore di gioia e di orgoglio.
Dopo essere usciti dal campo e avere attraversato il Tago, disposi l’avanguardia e la retroguardia, mandando ai lati alcuni esploratori e mettendomi a capo del grosso dell’esercito, se in questo caso è lecito usare un’espressione simile. Guardando dalle colline nei pressi di Santarem si vedevano le linee dell’esercito di Massena, e verso sud le macchie rosse degli avamposti inglesi alle cui spalle sorgeva il fumo del campo di Wellington, quel fumo che per noi affamati era un vero tormento. Lontano, a occidente, si scorgeva il mare, punteggiato delle cento vele della flotta inglese.
Da questa breve descrizione avrete compreso che noi, avanzando verso oriente, ci allontanavamo da entrambi gli eserciti: ero dunque costretto a prendere tutte le precauzioni possibili, per evitarci un attacco di sorpresa che avrebbe potuto essere disastroso, tenuto conto dei banditi con i quali avevamo a che fare e della loro schiacciante maggioranza numerica. Per tutta quella giornata salimmo e scendemmo desolate colline, ricoperte di vigneti soltanto alla base, senza mai incontrare nessuno che potesse darci qualche informazione; quando il sole già cominciava a tramontare, ci trovammo in una vallata scoperta al centro, boscosa ai lati. Non potevamo essere molto lontani da Almeixal, e credetti prudente far fermare i miei uomini fra gli alberi, dove erano quasi interamente nascosti alla vista.
Procedevamo in ordine sparso, fra le grosse querce, quando uno degli esploratori venne verso di me galoppando.
«Signor colonnello» annunciò «dall’altra parte della vallata ci sono gli inglesi.»
«Cavalleria o fanteria?»
«Dragoni, signor colonnello. Ho visto luccicare gli elmetti e ho sentito nitrire i cavalli.»
Feci fermare i miei uomini e mi affrettai ad andare al limitare del bosco. Non c’era dubbio: si trattava proprio di soldati della cavalleria inglese, non avrei saputo dire in quale numero, che procedevano parallelamente a noi, nel bosco dirimpetto. Poco dopo attraversarono una radura, e allora non soltanto li vidi più chiaramente, ma calcolai che dovevano essere più o meno, come noi, un mezzo squadrone.
Voi avete già sentito il racconto di qualche mia avventura: sapete dunque quanto fossi rapido nelle decisioni; ma vi confesso che quella volta rimasi incerto. Da una parte mi pareva un’ottima occasione per infliggere una piccola sconfitta ai nostri nemici; dall’altra dovevo ricordare che avevo una missione da compiere, e, se avessi ridotto il numero già scarso dei miei uomini, avrei potuto andare incontro a un disastro. Rimanevo così a riflettere sul da farsi, quando uno degli inglesi, uscendo dal bosco, mi vide e mandò un grido non dissimile da quello di un cacciatore che abbia visto una volpe. Si sentì uno squillo di tromba, e poco dopo tutti i dragoni uscirono allo scoperto. Non mi ero sbagliato: era un mezzo squadrone, cinquanta uomini che si schierarono su due file, con un ufficiale alla testa.
Io non perdetti tempo; raccolti i miei ussari, li disposi all’aperto nella stessa formazione, così che i due mezzi squadroni erano ormai separati da un breve spazio erboso. Ero ancora incerto se attaccare o attendere che si muovesse il nemico, quando l’ufficiale inglese alzò la sciabola e venne al trotto verso di me, che ero alla testa dei miei ussari. Cavalcava bene, e dava uno spettacolo di grazia e maestria che meritava di essere ammirato; ma non si addiceva a Etienne Gérard rimanere fermo ad ammirare un inglese, e quindi cavalcai a mia volta verso di lui.
Vi sono due cose al mondo che mi è quasi impossibile dimenticare quando le abbia viste anche solo una volta: un bel viso di donna e le gambe di un bel cavallo. Ebbene, mentre ci avvicinavamo, l’inglese e io, mi chiedevo dove mai avessi visto prima di allora quel bel roano, possente e dalle zampe sottili. E improvvisamente ricordai; guardando in viso il mio avversario ormai vicino, riconobbi l’uomo con il quale avevo giocato la famosa partita a carte che forse ricorderete, l’uomo che mi aveva salvato dai banditi di Cuchillo e aveva indirettamente causato la mia prigionia a Dartmoor.
«Bart!» gridai.
Lui aveva già alzato il braccio armato di sciabola per venirmi contro, scoprendosi pericolosamente in quell’atto, da uomo, a quanto mi parve, poco pratico di scherma. Al mio grido, e vedendomi abbassare la sciabola in atto di saluto, abbassò anche lui la sua e mi guardò fisso.
«Oh, guarda!» esclamò con tutta la cordialità che ci si poteva aspettare da un flemmatico inglese. «È Gérard.»
Dal tono, si sarebbe detto che ci fossimo lasciati una mezz’ora prima. Quanto a me, se gli fossi stato più vicino, lo avrei volentieri abbracciato.
«Pensavo che questa volta...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- LE AVVENTURE DI GÉRARD
- I. Il Castello della Desolazione
- II. I «Fratelli di Ajaccio»
- III. La presa di Saragozza
- IV. Una partita a carte
- V. Una strana evasione
- VI. L’amabile Millefleurs
- VII. La conquista della medaglia
- Copyright