Quando, chiuso cautamente il cancello della sua villa e affacciatosi sul viale, nel tramonto roseo, il medico fu richiamato dalla domestica per una telefonata e, titubante se rispondere o no, si decise alla fine a tornare sui suoi passi, se ne pentì subito.
Appena disse:
«Pronto»
sentì una voce alterata:
«Sono Emilio. Ho bisogno di vederti.»
«Ah!» esitò. «Quando?»
«Adesso. È una cosa urgente.»
«Ma io dovevo uscire» rispose il medico, fissando l’orologio a pendolo, che incombeva in anticamera. «Ho un appuntamento, ero già in strada.»
«Ti prego. Non posso spiegartelo per telefono. Vengo in taxi, mi fermo pochi minuti.»
Il medico guardò il cancello che era rimasto aperto, sul viale deserto.
«D’accordo» mormorò.
Riappese il ricevitore e si lasciò cadere su una sedia. La domestica passò silenziosa sul tappeto rosso, per salire al piano superiore. Mentre entrava in una delle stanze che si affacciavano sul ballatoio di legno, lui ritornò al telefono e fece un numero.
«Sono il dottor Mariano» disse a bassa voce. «C’è la signora, per favore?»
Si sporse, con la testa in alto, a controllare la balconata.
«Cara, sono io» sussurrò impacciato. «Mi dispiace, arriverò un po’ in ritardo.»
Udì uno scricchiolio che lo fece trasalire. Si ritrasse nell’ombra del sottoscala e aggiunse:
«È un amico che deve vedermi per una cosa grave.»
Restò ad ascoltare, poi disse, la bocca attaccata al microfono:
«Ma no, smettila! Non hai nessuna ragione di dubitare!»
Una porta si aprì sopra la sua testa.
«Non è questo il momento» continuò con voce soffocata. «Ne parliamo dopo!»
La domestica apparve in quel momento in cima alla scala e cominciò a scendere. Lui cambiò tono:
«Sì, signora, d’accordo. Per ora continui a fare come le ho detto.»
La domestica indugiò un attimo sulla soglia della sala, guardandolo di sottecchi, poi spostò la conchiglia di alabastro sulla mensola e sospinse la porta a molla, che si richiuse alle sue spalle.
«Sì, ti amo» sussurrò, concitato. Riattaccò il ricevitore.
Mariano era ancora seduto in anticamera, lo sguardo fisso sul cancello aperto, quando un taxi passò lentamente davanti alla villa. Vide il profilo di Emilio, immobile e stranamente rigido dietro il finestrino. Poi il taxi ripassò vuoto nella direzione opposta.
Dopo qualche minuto il basco di Emilio spuntò lungo la cancellata di ferro. Allora scese i gradini dell’ingresso e gli andò incontro:
«Ma dove ti sei fermato?» gli chiese abbracciandolo.
«Cento metri più in là .»
«Perché?»
Emilio, senza rispondere, lo precedette sui gradini. In anticamera si tolse il basco. Era più stempiato di quando l’aveva visto l’ultima volta e il viso era diventato più affilato, più pallido. Mormorò:
«Dove possiamo parlare?»
Mariano gli indicò la porta a vetri, in fondo all’anticamera:
«Nel mio studio.»
Emilio vi entrò per primo e aspettò in piedi, l’occhio inquieto.
«È stata una precauzione» disse, quando Mariano ebbe accostato i battenti. «Non volevo dare il tuo indirizzo.»
«E perché?»
Emilio restò in silenzio. Poi mormorò:
«Ti devo chiedere un favore.»
Mariano, fissandolo preoccupato, cadde nella poltrona dietro la scrivania e gli indicò il divano:
«Non ti siedi?»
Emilio rimase in piedi, le mani dietro la schiena.
«Un favore che solo tu puoi farmi. Te lo chiedo in nome della nostra amicizia.»
Aveva gli occhi lucidi. Mariano, sempre più preoccupato, sospinse indietro la poltrona.
«Si tratta di questo» riprese Emilio lentamente. «Tu conosci le mie idee politiche, anche se non le condividi.»
«Sì.»
«Io ti chiedo di ospitare per pochissimi giorni, nella tua villetta di Agliate, un compagno ricercato.» Fece una pausa. «Tu sei al di sopra della mischia. Nessuno può sospettare di te, che ti sei sempre disinteressato di politica.»
«Appunto» disse Mariano sgomento. «E perché dovrei cominciare proprio adesso?»
«Ma tu non sei tenuto a sapere» esclamò Emilio. «Tu ti limiti a prestarmi il Roccolo per andare a caccia, come hai già fatto altre volte.»
«Ma allora andavi a caccia.»
«E anche questa volta ci vado. Solo che porto un amico che tu non conosci.»
Aggiunse:
«È impossibile che lo cerchino lì.»
«Come fai a dirlo?»
«Sarebbe insensato. Chi vuoi che pensi a te?»
«Sì, che sarebbe insensato non ho dubbi. Lo è anche per me.»
Emilio abbassò la testa.
«Lo so» disse. «Tu sei l’unico a cui posso chiederlo.»
Rimasero in silenzio. Nella stanza si udiva il respiro affannoso di Mariano. Emilio alzò lo sguardo su di lui:
«Ti posso promettere solo questo: che nessun compagno saprà niente. Il tuo nome non verrà mai fatto.»
Mariano continuava a tacere.
«Allora» Emilio aveva appoggiato le mani sulla scrivania. «Dimmi che posso contare su di te.»
Mariano strinse i braccioli della poltrona:
«Aspetta. Lasciami almeno un po’ di tempo.»
«No, devi decidere subito» Emilio si curvò verso di lui. «Devi darmi una risposta.»
Mariano esitava:
«Quanti giorni sarebbero?»
«Tre o quattro. Il tempo di trovare un altro nascondiglio.»
A voce bassa continuò:
«Tu mi dai le chiavi. Al resto penso io. Non ti succederà niente, vedrai.»
«Tu fai presto a dire!»
«Non puoi deludermi in una occasione come questa. Non è da te.»
Mariano fissò desolato la tavola anatomica, sulla parete di fronte.
«Sei d’accordo, vero?»
«Dici tutto tu.»
«Sì, perché ti conosco.»
Nel giardino si udivano passi sulla ghiaia.
«Allora non mi dici di no.»
Mariano allargò le braccia senza rispondere. Emilio lo osservò a lungo, poi mormorò:
«Lo sapevo che mi avresti aiutato.»
Dopo un’altra pausa disse, con un tono commosso:
«Te ne sono molto grato.»
«Ma come puoi garantirmi che si tratta solo di tre o quattro giorni?»
«Perché deve cambiare aria.»
Aggiunse, con calma:
«È un evaso.»
«Un evaso?» Mariano afferrò i bordi della scrivania. «Tu mi avevi detto ricercato.»
«Sì, ricercato. Ricercato perché evaso. Comunque non aveva fatto niente di grave. Solo reati politici. Sta’ tranquillo.»
«Ma questo cambia tutto!»
«No. Non cambia niente. Credimi. Il rischio è sempre lo stesso, ma poi ti ho detto che in effetti non c’è rischio.»
«Un evaso!» ripeté Mariano.
«Sì, un evaso che non vedrai mai. Tra qualche giorno questa storia l’avrai già dimenticata.»
«È tutto assurdo.»
«No, non essere apprensivo» Emilio si sedette sul divano. «Ti devi fidare di me.»
Mariano lo guardava smarrito.
In quel momento suonò il telefono in anticamera e i gradini della scala di legno scricchiolarono sotto i passi che scendevano rapidi. Si udì la voce della domestica che rispondeva:
«No, la signora è uscita.»
E poco dopo:
«Sì, glielo riferirò.»
«Allora» disse Emilio. «Mi dai le chiavi?»
«Ma quando ti occorrono?»
«Subito. Altrimenti non ti avrei fatto questa urgenza.»
«Già ...