I lavoratori del mare
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I lavoratori del mare

  1. 528 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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I lavoratori del mare

Informazioni su questo libro

La figlia dell'armatore Lethierry sarà data in sposa a chi recupera la nave a vapore Durande, affondata sugli scogli. La sfida viene raccolta e vinta, dopo una lotta senza limiti con la natura selvaggia, dal forte Gilliat, ma il coraggioso uomo di mare saprà sacrificarsi in nome dell'amicizia. Un romanzo cupo e romantico, ricco di immagini potenti e fantastiche, capolavoro della maturità di Hugo (1802-85).

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804408970
eBook ISBN
9788852061271

I lavoratori del mare

Parte prima

Messer Clubin

LIBRO PRIMO

Di che si componga una cattiva fama

I

PAROLA SCRITTA
SOPRA UNA PAGINA BIANCA

Il Natale del 182… fu notevole a Guernesey. Quel giorno infatti nevicò. Nelle isole della Manica un giorno in cui geli è memorabile; e la caduta della neve costituisce addirittura un avvenimento. La mattina di quel Natale, la strada che costeggia il mare da Saint-Pierre-Port al Valle era tutta bianca. Aveva nevicato da mezzanotte all’alba. Verso le nove, poco dopo il sorgere del sole, non essendo ancora tempo per gli anglicani di andare alla chiesa di Saint-Sampson, né per i weslesiani di recarsi alla cappella Eldad, la via era quasi deserta. In tutto il tratto di strada che divide la prima dalla seconda torre, c’erano solo tre viandanti: un fanciullo, un uomo e una donna. E questi tre viandanti non avevano alcun legame visibile tra loro, camminando essi a distanza l’uno dall’altro. Il fanciullo, di otto anni circa, si era fermato e guardava la neve con curiosità. L’uomo seguiva la donna a un centinaio di passi e, come lei, si dirigeva verso Saint-Sampson. Era ancora giovane e poteva sembrare un marinaio o un operaio: indossava gli abiti di tutti i giorni, una casacca di grosso panno scuro e un paio di pantaloni incatramati: ciò pareva dimostrare che, nonostante il giorno festivo, egli non si sarebbe recato in alcuna cappella. Le sue grosse scarpe di cuoio grezzo, rinforzate nelle suole da solidi chiodi, lasciavano sulla neve un’impronta più simile a una serratura di prigione che a un’orma umana. L’altra invece, la donna, aveva già, evidentemente, le sue vesti di chiesa. Portava un ampio mantello di seta nera a cordoncino, ovattato, e sotto questo indossava, con ricercata eleganza, una veste di popeline d’Irlanda a strisce bianche e rosa; per cui, se non avesse avuto le calze rosse, si sarebbe potuto ritenerla una parigina. Procedeva con libera e leggera vivacità, e quell’incedere, su cui ancora non aveva influito il peso della vita, faceva riconoscere in lei la giovinetta. Possedeva quella fugace grazia di portamento che caratterizza il più delicato dei trapassi, l’adolescenza: due crepuscoli confusi, l’inizio di una donna nel finire di una bambina. L’uomo non la guardava.
A un tratto, nella località detta “Case Basse”, in prossimità di un gruppo di querce situate all’angolo di un orto, la ragazza si voltò, e questo movimento fece sì che l’uomo la osservasse. Fermatasi, lei mostrò di guardarlo un attimo a sua volta, poi si chinò, e all’uomo parve di vederla scrivere qualche cosa, con un dito, sulla neve. Si rialzò, riprese il cammino, affrettò il passo, si voltò indietro ancora, ma questa volta ridendo, e disparve a sinistra della via, nel sentiero fiancheggiato da siepi che conduce al castello di Lierre. Quando si voltò per la seconda volta, l’uomo riconobbe in lei Déruchette, un’incantevole fanciulla del paese.
Egli non provò alcun bisogno di affrettarsi e, pochi istanti dopo, giunse presso il gruppo di alberi all’angolo dell’orto. Non pensava già più alla viandante scomparsa, ed è probabile che, se in quel momento un porco marino avesse fatto un salto nel mare o un pettirosso fosse apparso tra i cespugli, egli sarebbe passato oltre guardando indifferentemente l’uno o l’altro animale. Il caso volle che avesse le palpebre abbassate e il suo sguardo cadesse macchinalmente sul punto dove la ragazza si era fermata. Vi erano impressi i segni di due piccoli piedi, accanto ai quali egli vide la parola da lei tracciata sulla neve: Gilliat.
Quella parola era il suo nome.
Egli si chiamava infatti Gilliat.
Rimase immobile a lungo, guardando il nome, le piccole impronte, la neve; poi riprese pensoso il suo cammino.
II

IL “BÛ DE LA RUE”

Gilliat abitava nella parrocchia di Saint-Sampson, dove non era ben voluto, e per diverse ragioni. Innanzitutto aveva per alloggio una casa “visionata”. A Jersey o a Guernesey, in campagna e perfino in città, passando in un luogo disabitato o in una strada popolatissima, accade talvolta d’incontrare una casa con l’ingresso barricato. L’agrifoglio ostruisce la porta; stranissime combinazioni di assi inchiodate otturano le finestre del pianterreno: quelle dei piani superiori sono chiuse e aperte a un tempo, perché i telai sono fermati coi lucchetti ma i vetri sono rotti. Se c’è un beyle, una corte, ci cresce l’erba e il muro di cinta rovina; se c’è un giardino, è pieno di ortiche, di rovi e di cicuta. Vi si potrebbe spiare la vita degli insetti rari. I caminetti son pieni di crepe, il tetto sprofonda, il legno è marcio, la pietra coperta di muffa, la tappezzeria dei muri scollata. Potete studiarvi le vecchie mode delle carte da parati, i grifoni dell’Impero, i panneggiamenti a mezzelune del Direttorio, le balaustre e i cippi del tempo di Luigi XVI. La densità delle ragnatele piene di mosche indica la profonda pace dei ragni. Talvolta si scorge un vaso rotto a una finestra. Ecco una casa “visionata”. Di notte la frequenta il diavolo.
La casa, come l’uomo, può diventare cadavere. Basta che una superstizione la uccida. Allora diviene terribile. Queste case morte non sono rare nelle isole della Manica. Le popolazioni rurali e marittime non sono affatto tranquille, per ciò che riguarda il diavolo. Quelle della Manica – arcipelago inglese e litorale francese – hanno su di lui nozioni esattissime. Il diavolo ha inviati in tutta la terra. È accertato che Belfagor è ambasciatore dell’inferno in Francia, Hutgin in Italia, Bélialt in Turchia, Thamuz in Spagna, Martinet in Svizzera e Mammone in Inghilterra. Satana è un imperatore come un altro: Satana-Cesare. La sua casa è molto ben fornita: Dagone è gran panettiere; Succor Bénoth è capo degli eunuchi; Asmodeo banchiere dei giochi; Kobal direttore del teatro; Verdelet gran maestro delle cerimonie; Nybbas buffone. Wiérus, uomo di scienza, buon strigologo e demonografo agguerrito, chiama Nybbas “il gran parodista”.
I pescatori normanni della Manica devon stare molto attenti, quando sono in mare, alle illusioni provocate dal diavolo. Per lungo tempo si è creduto che san Maclodio abitasse il grande scoglio quadrato di Ortach che sorge in alto mare, fra Aurigny e i Casquets. Molti vecchi marinai d’altri tempi affermavano di averlo visto assai spesso, da lontano, seduto e nell’atteggiamento di chi sta leggendo un libro.
Perciò i marinai di passaggio si profondevano in genuflessioni davanti allo scoglio di Ortach. Ma un giorno la favola svanì e cedette il posto alla verità. È stato scoperto, e oggi tutti lo sanno, che chi abita lo scoglio di Ortach non è un santo, ma un diavolo. Quel diavolo, un certo Jochmus, aveva avuto la furberia di farsi credere, per molti secoli, san Maclodio in persona. Del resto, la Chiesa stessa prende abbagli del genere. I diavoli Raguhel, Oribel e Tobiel, erano stati santi fino al 745, anno in cui il papa Zaccaria, avendone scoperto la reale identità, li cacciò via. Per compiere di queste espulsioni, che sono certo assai utili, bisogna essere dei finissimi esperti in diavoleria.
I vecchi del paese raccontano che la popolazione cattolica dell’arcipelago normanno è stata nei tempi passati in comunicazione col diavolo – contro voglia, naturalmente – assai più degli ugonotti. Perché? Lo ignoriamo. È certo che quella minoranza fu molto disturbata dal diavolo, il quale aveva preso a ben volere i cattolici e cercava di avvicinarli; ciò fa supporre che egli sia più cattolico che protestante. Una delle sue più insopportabili familiarità era di far visite notturne ai letti matrimoniali cattolici nel momento in cui il marito era addormentato del tutto e la moglie a metà.
Di qui certi abbagli. Patouillet riteneva che Voltaire fosse nato in una di queste circostanze. La cosa non ha nulla di inverosimile e, del resto, il fatto è perfettamente noto e descritto nei formulari di esorcismi, sotto la rubrica De erroribus nocturnis et de semine diabolorum. Esso ha infierito molto a Saint-Hélier verso la fine del secolo scorso, probabilmente come rappresaglia per i delitti commessi dalla Rivoluzione. Le conseguenze degli accessi rivoluzionari sono incalcolabili. Ad ogni modo, questi possibili interventi del diavolo, di notte, quando non ci si vede, quando si dorme, mettevano nell’imbarazzo molte donne ortodosse. Non è piacevole dare alla luce un Voltaire! Una di quelle donne, inquieta, consultò un confessore sul modo di chiarire a tempo l’equivoco. E il confessore rispose: «Per assicurarvi se avete a che fare col diavolo o con vostro marito, tastategli la fronte; se trovate le corna, potete esser sicura…».
«Di che?» domandò la donna.
La casa in cui alloggiava Gilliat era stata “visionata”; ora non lo era più, ma ciò la rendeva maggiormente sospetta. Nessuno ignora che, quando uno stregone si stabilisce in una casa già frequentata dallo Spirito Maligno, questi la considera ormai bene affidata e fa allo stregone la gentilezza di non tornarvi più, eccetto nel caso, come per il medico, di chiamata speciale.
La casa si chiamava “Bû de la Rue”. Sorgeva all’estremità di una lingua di terra – meglio: di roccia – che costituiva un piccolo ancoraggio separato nel seno di Houmet-Paradis. In quel posto l’acqua è profonda. La casa era sola su quella punta, quasi fuori dell’isola, e aveva un pezzetto di terra che bastava appena per un piccolo giardino, inondato spesso dall’alta marea. Tra il porto di Saint-Sampson e il seno di Houmet-Paradis c’è la grande collina sormontata da quel blocco di torri e di edera che si chiama castello del Valle o dell’Arcangelo, cosicché da Saint-Sampson non era possibile vedere il Bû de la Rue.
A Guernesey nulla è meno raro degli stregoni. Essi esercitano la loro professione in certe parrocchie su cui il secolo diciannovesimo non può nulla. Le loro manovre sono veramente criminose. Fanno bollire l’oro, colgono erbe a mezzanotte, guardano col malocchio il bestiame della povera gente. Qualcuno li consulta. Si fanno portare in bottiglie “l’acqua dei malati” e, a volte, mormorano: «L’acqua sembra molto trista». Uno stregone, un giorno, nel marzo del 1856, ha osservato nell’“acqua” di un infermo la presenza di sette diavoli. Sono temuti e temibili. Uno di essi ha stregato recentemente un panettiere “e il suo forno”. Un altro ha la scelleratezza di chiudere e sigillare accuratamente certe buste “nelle quali non c’è nulla”. Un altro arriva al punto da tenere in casa, sopra un asse, tre bottiglie contrassegnate da una B. Questi fatti mostruosi sono stati assodati. Alcuni stregoni sono compiacenti e, per due o tre ghinee, si accollano le malattie altrui. Allora si vedono contorcersi sul letto, emettendo grida acute. Durante quei contorcimenti, il malato dice: «To’! non ho più nulla!». Altri vi guariscono da qualunque male, annodandovi un fazzoletto attorno al corpo: mezzo tanto semplice da far stupire che nessuno ci abbia pensato prima. Nel secolo scorso, la Corte Reale di Giustizia di Guernesey li metteva sopra un mucchio di fascine e li bruciava vivi. Ai nostri giorni li condanna a due mesi di prigione: un mese a pane e acqua e uno in segreta, alternatamente. Amant alterna catenae.
L’ultima condanna di uno stregone al rogo avvenne, a Guernesey, nel 1747. La città aveva adibito a tale uso una delle sue piazze: il quadrivio del Bordage, che ha visto bruciare undici stregoni dal 1565 al 1700. Generalmente quei colpevoli confessavano; ma erano aiutati dalla tortura. Il quadrivio del Bordage ha reso altri servigi alla Società e alla Religione. Vi sono stati bruciati gli eretici. Sotto il regno di Maria Tudor morirono sul rogo, tra gli altri ugonotti, una madre e le sue due figliole. La madre si chiamava Perrotine Massy. Una delle figliole era incinta e partorì sulla brace. La cronaca dice: “Il suo ventre scoppiò”. Da quel ventre uscì un bimbo vivo, che rotolò fuori del rogo. Un certo House lo raccolse; ma il balì Hélier Gosselin, fervente cattolico, lo fece gettare di nuovo nel fuoco.
III

“PER TUA MOGLIE,
QUANDO LA PRENDERAI”

Ma torniamo a Gilliat.
Si raccontava in paese che verso la fine della Rivoluzione una donna, la quale aveva un bambino, era andata ad abitare a Guernesey. Era inglese, ma poteva anche essere francese. Aveva un nome qualunque, ma la pronuncia e l’ortografia dialettale di Guernesey lo trasformarono in Gilliat.
Viveva sola con quel fanciullo, che era nipote secondo alcuni, figlio secondo altri e figlio di un suo figlio o neppure parente secondo altri ancora. Possedeva un po’ di denaro,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Nota bio-bibliografica
  5. I lavoratori del mare
  6. L’arcipelago della Manica
  7. I lavoratori del mare
  8. Copyright