Se non siete interessati alle controversie politiche e alla folla di partiti e sotto-partiti dai nomi che si confondono tra loro (un po’ come i nomi dei generali in una guerra cinese), saltate pure questa parte. Dover entrare nei dettagli delle polemiche interpartitiche è una cosa orribile: è come doversi tuffare in una fogna. Però è necessario, per quanto possibile, tentare di ristabilire la verità. Questa squallida rissa in una città lontana è più importante di quanto possa apparire a prima vista.
Ottenere un resoconto quanto mai accurato e imparziale degli scontri di Barcellona non sarà mai possibile perché non esistono i documenti necessari per farlo. Gli storici del futuro non avranno niente su cui basarsi se non una massa di accuse e di propaganda di partito. Io stesso ho pochissimi dati oltre a quelli che ho raccolto con i miei stessi occhi o che ho appreso da altri testimoni diretti che ritengo affidabili. A ogni modo, sono in grado di smentire alcune delle menzogne più lampanti e di contribuire a mettere i fatti in una certa prospettiva.
Prima di tutto, cos’è accaduto veramente?
Già da diverso tempo tutta la Catalogna era percorsa da forti tensioni. In una parte precedente del libro ho spiegato la lotta in corso tra comunisti e anarchici. Nel maggio 1937 le cose avevano raggiunto un punto tale da ritenere ormai inevitabile qualche esplosione di violenza. La causa immediata di contrasto fu l’ordinanza governativa di consegnare tutte le armi private, coincisa con la decisione di costituire una forza di polizia “non-politica” armata pesantemente e da cui sarebbero stati esclusi gli iscritti ai sindacati. Il senso di questa mossa era evidente a tutti, ed era altrettanto chiaro che la mossa successiva sarebbe stata quella di impadronirsi di alcune delle industrie-chiave controllate dalla CNT. In aggiunta, c’era anche un certo risentimento che serpeggiava nella classe operaia per il crescente contrasto tra ricchezza e povertà e la vaga, ma diffusa impressione che la rivoluzione fosse stata sabotata. Parecchie persone rimasero piacevolmente sorprese quando il Primo maggio non ci furono scontri di piazza. Il 3 maggio il governo decise di impossessarsi della centrale telefonica che sin dall’inizio della guerra era stata fatta funzionare soprattutto da operai della CNT; circolavano voci che fosse mal gestita e che le telefonate ufficiali fossero intercettate. Salas, il capo della polizia (forse travalicando gli ordini ricevuti, forse no), spedì tre camion pieni di Guardie d’Assalto armate a occupare l’edificio, mentre le strade immediatamente adiacenti venivano sgombrate da poliziotti armati in abiti civili. Circa nello stesso momento bande di Guardie d’Assalto occuparono vari altri palazzi in punti strategici del centro. Quali che fossero le vere intenzioni dietro quell’operazione, ci fu la diffusa impressione che rappresentasse il segnale per un attacco generalizzato alla CNT da parte delle Guardie d’Assalto del PSUC (comunisti e socialisti). La notizia che gli edifici in mano agli operai erano sotto attacco fece rapidamente il giro della città, anarchici armati apparvero nelle strade, il lavoro si fermò e gli scontri cominciarono immediatamente. Quella notte e il mattino dopo furono erette barricate in tutta la città e gli scontri proseguirono senza tregua fino al mattino del 6 maggio. I combattimenti, comunque, furono principalmente difensivi da entrambe le parti. Gli edifici erano assediati, ma per quanto mi consta, non furono mai presi d’assalto e non si fece mai ricorso all’artiglieria. Grosso modo le forze della CNT-FAI e del POUM controllavano le periferie operaie mentre le forze armate della polizia e del PSUC controllavano la parte ufficiale e centrale della città. Il 6 maggio ci fu un armistizio, ma i combattimenti ripresero subito dopo, probabilmente a causa di tentativi prematuri da parte delle Guardie d’Assalto di disarmare operai della CNT. Il mattino dopo, comunque, la gente cominciò a lasciare spontaneamente le barricate. Fino alla notte del 5 maggio, all’incirca, la CNT aveva avuto la meglio e un gran numero di Guardie d’Assalto si era arreso. Ma non c’era un comando accettato da tutti e nessun piano prestabilito – anzi, da quanto si poteva vedere, nessun piano tranne una generica determinazione a resistere alle Guardie d’Assalto. I dirigenti ufficiali della CNT si erano uniti a quelli della UGT nell’implorare tutti perché tornassero a lavorare; soprattutto, il cibo cominciava a scarseggiare. In circostanze come queste nessuno era sicuro di come sarebbe andata a finire se si continuava a combattere. Il pomeriggio del 7 le condizioni erano pressoché tornate alla normalità. Quella sera stessa seimila Guardie d’Assalto, arrivate da Valencia via mare, presero il controllo della città. Il governo emise un’ordinanza per la consegna immediata di tutte le armi a eccezione di quelle in dotazione alle forze regolari, e nel corso delle giornate successive furono sequestrate grosse quantità di armi. Il numero delle vittime nel corso degli scontri fu ufficialmente fissato: quattrocento morti e un migliaio circa di feriti. È possibile che la cifra di quattrocento morti sia un po’ esagerata, ma dato che non c’è modo di verificarla dobbiamo accettarla come esatta.
In secondo luogo, per quanto riguarda le conseguenze degli scontri è chiaramente impossibile dire con assoluta certezza quali siano state. Non c’è nessuna prova che gli scontri abbiano avuto alcun effetto diretto sull’andamento della guerra, anche se è chiaro che lo avrebbero senz’altro avuto se fossero continuati ancora per qualche giorno. Questa fu la scusa ufficiale per portare la Catalogna sotto il controllo diretto del governo di Valencia, per accelerare lo scioglimento delle milizie e per la messa fuorilegge del POUM, e non c’è dubbio che contribuì anche alla caduta del governo Caballero. Ma possiamo dare per certo che queste cose sarebbero accadute in ogni caso. Il vero problema è stabilire se gli operai della CNT che scesero in piazza abbiano vinto o perso nel mostrare la loro combattività in questa occasione. La materia è molto opinabile, ma io sono convinto che abbiano guadagnato più di quanto abbiano perso. L’occupazione della centrale telefonica di Barcellona rappresentava semplicemente un incidente in un più ampio processo. Sin dall’anno precedente erano in corso manovre per togliere il controllo diretto dalle mani dei sindacati e la tendenza generale era quella di riportare il potere nelle mani di un governo centralizzato togliendolo alla classe operaia, per andare verso un qualche tipo di capitalismo di stato o addirittura verso la reintroduzione del capitalismo privato. Il fatto che a questo punto ci fosse un minimo di resistenza ha probabilmente rallentato questo processo. A un anno dallo scoppio della guerra i lavoratori catalani avevano perso gran parte del loro potere, ma la loro posizione era ancora relativamente forte. Lo sarebbe stata molto di meno se avessero dimostrato di restare passivi di fronte a qualsiasi provocazione. Ci sono occasioni in cui conviene combattere ed essere sconfitti piuttosto che non reagire affatto.
In terzo luogo, quale proposito c’era, se c’era, dietro allo scoppio delle ostilità? Si trattava di una sorta di colpo di stato o di un tentativo rivoluzionario? Aveva come scopo precipuo quello di rovesciare il governo? Era stato preparato in anticipo?
La mia opinione è che gli scontri erano stati preparati in anticipo soltanto nel senso che ormai tutti se li aspettavano. Non ci sono prove di un piano preciso e preordinato da nessuna delle due parti. L’azione da parte anarchica fu quasi certamente spontanea, perché fu condotta soprattutto dalla base. Le persone scesero nelle strade e i loro dirigenti politici le seguirono con riluttanza o addirittura non le seguirono affatto. Gli unici militanti che si limitarono a parlare con accenti rivoluzionari furono gli Amici di Durruti, gruppuscolo estremista all’interno della FAI, e il POUM. Ma ancora una volta seguivano e non dirigevano. Gli Amici di Durruti distribuirono una specie di volantino rivoluzionario, ma questo non apparve fino al 5 maggio e perciò non si può certo dire che abbia causato gli scontri, cominciati indipendentemente due giorni prima. I dirigenti ufficiali della CNT si dissociarono dall’intera faccenda sin dall’inizio. C’erano diversi motivi per questa presa di posizione. Tanto per cominciare, il fatto che la CNT fosse ancora rappresentata in seno al governo e alla Generalitat faceva sì che i suoi dirigenti fossero più conservatori dei loro seguaci. In secondo luogo, l’obiettivo principale della dirigenza della CNT era quello di allearsi con la UGT, quando invece gli scontri non avrebbero fatto altro che approfondire l’abisso tra le due centrali sindacali, per lo meno nell’immediato. In terzo luogo – anche se all’epoca non era noto a tutti – i dirigenti anarchici temevano che se le cose fossero andate oltre un certo punto e i lavoratori si fossero impadroniti della città, come forse avevano la possibilità di fare il 5 maggio, ci sarebbe stato un intervento straniero. Un incrociatore e due cacciatorpediniere britannici si erano avvicinati al porto e senza dubbio c’erano altre navi da guerra non molto lontano. I giornali inglesi sostenevano che queste navi avanzavano verso Barcellona “per proteggere gli interessi britannici”, ma in realtà non presero alcuna iniziativa in questo senso; in altre parole non fecero sbarcare soldati né imbarcarono profughi. Non si può avere alcuna certezza in proposito, ma si può ritenere che probabilmente il governo britannico, che non aveva alzato un dito per proteggere quello spagnolo da Franco, sarebbe intervenuto abbastanza rapidamente per salvarlo dalla propria classe operaia.
I dirigenti del POUM non si dissociarono dagli incidenti, anzi esortarono i propri seguaci a presidiare le barricate e si spinsero addirittura a esprimere la propria approvazione (su «La Batalla» del 6 maggio) al volantino estremista stilato dagli Amici di Durruti. (Su questo volantino, di cui ora nessuno riesce a tirare fuori una copia, sussistono parecchie incertezze.) Su alcuni giornali stranieri viene descritto come “un manifesto incendiario” di cui tutta la città sarebbe stata “tappezzata”. Di sicuro un manifesto del genere non è mai apparso. Mettendo a confronto varie testimonianze direi che il volantino rivendicava 1) la formazione di un consiglio rivoluzionario (junta); 2) la fucilazione dei responsabili dell’attacco alla centrale telefonica; 3) il disarmo delle Guardie d’Assalto. C’è qualche incertezza persino su fino a che punto «La Batalla» espresse accordo con questo volantino. Personalmente non ho visto né il volantino né «La Batalla» di quel giorno. L’unico volantino che ho avuto tra le mani nel corso degli scontri era uno preparato da un gruppuscolo trockijsta (i “bolscevico-leninisti”) e datato 4 maggio. Si limitava a dire: “Tutti alle barricate! Sciopero generale di tutte le industrie tranne quelle di interesse bellico”. (In altre parole, auspicava soltanto quello che stava già succedendo.) In realtà l’atteggiamento dei dirigenti del POUM fu pieno di esitazioni. Non avevano mai visto di buon occhio un’insurrezione, finché la guerra contro Franco non fosse stata vinta; d’altra parte però i lavoratori erano scesi in strada e la dirigenza del POUM seguì in maniera piuttosto pedante la linea marxista che indica come preciso dovere dei partiti rivoluzionari quello di stare con i lavoratori quando questi scendono in strada. Per questo, nonostante pronunciassero slogan rivoluzionari sul “risveglio dello spirito del 19 luglio” e così via, fecero del loro meglio per limitare l’azione degli operai in funzione difensiva. Per esempio non ordinarono mai di prendere d’assalto alcun edificio; si limitarono a ordinare ai propri seguaci di vigilare e, come ho avuto modo di dire nel capitolo IX, di non aprire il fuoco se si poteva evitare di farlo. «La Batalla» pubblicò anche precise istruzioni perché le truppe non abbandonassero il fronte.a Nella misura in cui si possono valutare certe cose, direi che tutta la responsabilità che si può attribuire al POUM si limiti all’aver esortato tutti a rimanere sulle barricate e con ogni probabilità ad aver convinto un certo numero di persone a rimanerci più di quanto non avrebbero fatto altrimenti. Chi è stato direttamente in contatto con i dirigenti del POUM in quel momento (io non lo ero) mi ha riferito che in realtà erano rimasti sgomenti dall’intera faccenda, ma avevano ritenuto loro preciso dovere rimanere al fianco dei militanti. In seguito, com’è naturale, gli avvenimenti furono politicamente sfruttati nel solito modo. Gorkin, uno dei dirigenti del POUM, più tardi ne parlò come delle “gloriose giornate di maggio”. Dal punto di vista della propaganda politica questo poteva essere l’atteggiamento giusto da assumere; di sicuro le adesioni al POUM aumentarono di misura nel breve periodo precedente al suo scioglimento. Tatticamente, però, forse fu un errore solidarizzare col volantino degli Amici di Durruti, che era una piccola formazione e di solito ostile nei confronti del POUM. Considerando lo stato di eccitazione generale e le cose che si dicevano da entrambe le parti, il volantino in realtà non affermava molto altro che “Rimanete sulle barricate”; ma con l’appoggio manifestato nei suoi confronti (mentre «Solidaridad Obrera», l’organo ufficiale degli anarchici, se ne dissociava), i dirigenti del POUM facilitarono il compito della stampa comunista, la quale sosteneva che gli scontri fossero una sorta di insurrezione ispirata soltanto dal POUM. A ogni modo possiamo star sicuri che la stampa comunista si sarebbe comunque espressa in questi termini. Questa accusa non era niente in confronto alle altre mosse sia prima che dopo sulla base di prove ancor più inconsistenti. I dirigenti della CNT non hanno certo guadagnato molto con il loro atteggiamento più cauto; sono stati sì lodati per la loro fedeltà, ma poi, alla prima occasione, sono stati ugualmente scalzati dalle loro posizioni in seno al governo e alla Generalitat.
A quanto si può giudicare da quello che la gente diceva all’epoca, non è che vi fossero in realtà delle intenzioni rivoluzionarie da parte di nessuno. Coloro che presidiavano le barricate erano semplici operai della CNT, e magari in mezzo a loro c’era anche qualche membro dell’UGT, e ciò che si proponevano di fare non era tanto rovesciare il governo quanto opporre resistenza a quello che, a torto o a ragione, ritenevano fosse un attacco da parte della polizia. La loro azione era essenzialmente difensiva e dubito molto che possa essere descritta, come hanno fatto quasi tutti i giornali stranieri, come una “rivolta”. Una rivolta implica un’azione di attacco e un piano preciso. Più esattamente si trattò di una serie di disordini – molto sanguinosi perché entrambe le parti avevano a disposizione armi da fuoco e una gran voglia di usarle.
Ma che dire delle intenzioni dell’altra parte in conflitto? Se non era un colpo di stato d’ispirazione anarchica, si trattava forse di un colpo di stato comunista – uno sforzo programmato per distruggere in un sol colpo il potere della CNT?
Secondo me non si è trattato di questo, anche se certe cose potrebbero far venire questo sospetto. È significativo che qualcosa del genere (occupazione della centrale telefonica da parte di poliziotti armati che agivano su ordini provenienti da Barcellona) ebbe luogo anche a Tarragona due giorni dopo. E anche a Barcellona l’irruzione nella centrale telefonica non fu un’azione isolata. In varie parti della città bande di Guardie d’Assalto locali e aderenti al PSUC s’impossessarono di edifici situati in posizioni strategiche, se non proprio prima dello scoppio degli scontri, perlomeno con sorprendente prontezza. Ma bisogna anche ricordare che queste cose succedevano in Spagna e non in Inghilterra. Barcellona è una città che ha una lunga storia di insurrezioni e scontri di piazza. In posti come questi le cose accadono in fretta, le fazioni sono già pronte, tutti conoscono bene la geografia locale, e quando le armi cominciano a far fuoco la gente prende posizione quasi come si far...