Nostromo (Mondadori)
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Nostromo (Mondadori)

Racconto della costa

  1. 544 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nostromo (Mondadori)

Racconto della costa

Informazioni su questo libro

Narrata in una lingua di sensuale intensità cromatica, la vicenda di Nostromo ha come sfondo l'immaginaria repubblica del Costaguana, paese ora concreto, sanguigno, ora remoto, sospeso in un'inquieta irrealtà di sogno, nella cui inafferrabile solitudine di mare e di isole si riflettono l'irrealtà e la solitudine umana. Romanzo d'avventura e di intreccio, di intrighi e di colpi di scena, Nostromo ruota attorno all'invenzione centrale di una situazione ambigua, ad altissima potenzialità drammatica ed emotiva, in cui i personaggi si vedono costretti ad affrontare e rivelare il loro io più segreto e rifiutato. Il tema, profondamente conradiano, è qui il tradimento, che si moltiplica e si riflette in innumerevoli sfaccettature. Tradimento di sé, degli altri, dei propri ideali, della propria illusoria realtà. Il tradimento colpevole, orgogliosamente vissuto come eroica forma di virtù, di Charles Gould. Il tradimento incolpevole, assunto con amaro piacere, come un perenne e liberatorio marchio di infamia, del dottor Monygham. Il tradimento, infine, stupito, doloroso, innocente e spavaldo di Nostromo, il giovane marinaio italiano al centro della vicenda, che da tradito si fa traditore, da eroe si fa ladro, per ritrovare infine l'immagine di sé che ha tenacemente, disperatamente voluto creare facendo della sua morte "il più grande, il più invidiabile, il più sinistro" dei suoi illusori trionfi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804483861
eBook ISBN
9788852054266
Parte terza

IL FARO

Capitolo 1

Non appena la chiatta, con il suo prezioso carico, si fu staccata dal molo, per perdersi nell’oscurità del porto, gli europei di Sulaco si separarono, preparandosi all’avvento del regime monterista, che stava piombando su Sulaco sia dai monti sia dal mare.
Il lavoro manuale svolto insieme per caricare l’argento fu la loro ultima azione concertata. E pose fine ai tre giorni di pericolo, durante i quali – stando alle gazzette europee – la loro energia aveva preservato la città dalla catastrofe dell’insurrezione popolare. Presso l’imbocco del molo, il capitano Mitchell, augurata la buonanotte, volse loro le spalle. Sua intenzione era aspettare lì, camminando su e giù, l’arrivo del vapore da Esmeralda. Gli ingegneri della ferrovia, radunati i loro operai italiani e baschi, li condussero, inquadrati, allo scalo ferroviario, lasciando la dogana – così ben difesa durante il primo giorno di sommossa – aperta ai quattro venti. I loro uomini si erano comportati con valore, e fedelmente, durante le famose “tre giornate” di Sulaco. In gran parte, fedeltà e valore erano stati esercitati per salvare la pelle, piuttosto che quegli interessi materiali nei quali Charles Gould riponeva la sua fede. Tra le grida della folla inferocita era risuonato alto quello di “morte agli stranieri”. Era stata insomma una fortuna per Sulaco che i rapporti fra la gente del posto e gli operai importati fossero stati, fin dall’inizio, pessimi.
Dalla porta della cucina dei Viola, il dottor Monygham stava a osservare quella ritirata che segnava la fine dell’ingerenza straniera: la ritirata dell’esercito del progresso materiale dal campo delle rivoluzioni costaguanensi.
L’acre odore delle torce di algarobe – che aprivano e chiudevano la marcia dei manipoli – gli pungeva le narici. La loro luce, riverberandosi sulla facciata dell’Albergo Italia Una, faceva risaltare le nere lettere dell’insegna. Il medico batté gli occhi a quel vivido bagliore. Diversi giovanotti, per lo più alti e biondi, che guidavano quell’accozzaglia di uomini bruni, abbronzati, fra il barbagliare di canne di fucili a spall’arm, gli inviarono un cenno di saluto, passando. Il dottore era un personaggio assai noto. Alcuni si chiesero che ci facesse lì alla locanda. Poi, al fianco dei loro operai, proseguirono la marcia lungo i binari.
«Li ritirate, i vostri, eh, dal porto?» disse Monygham, rivolto all’ingegnere-capo della ferrovia, il quale aveva accompagnato, sin lì, Charles Gould diretto in città, camminando a fianco del cavallo con la mano sul pomo della sella. Si erano fermati accanto alla porta aperta, aspettando che gli operai attraversassero la strada.
«Sì, certo, e in gran fretta. Noi non siamo una fazione politica» rispose l’ingegnere, con convinzione «e non intendiamo offrire al nuovo governo alcun pretesto contro la ferrovia. Lei mi approva, Gould?»
«Assolutamente» rispose dall’alto la voce impassibile di Charles Gould, all’esterno del rettangolo di luce che, dalla porta aperta, si stampava sulla strada.
Con Sotillo atteso da una parte e Pedro Montero dall’altra, l’unica ansia dell’ingegnere-capo era evitare una collisione con loro. Sulaco, per lui, era una stazione ferroviaria, un capolinea, un cantiere, un magazzino ben fornito. Contro la teppaglia la ferrovia aveva difeso le sue proprietà; ma, politicamente, la ferrovia era neutrale. Era un uomo di coraggio; ed era in nome della neutralità che aveva avanzato proposte di tregua ai due deputati autoproclamatisi capi del partito popolare, Fuentes e Gamacho. Volavano ancora pallottole, quando aveva attraversato la Plaza Mayor, sventolando sopra il capo un bianco tovagliolo, di quelli con cui si apparecchiavano i tavoli al Circolo Amarilla.
Era piuttosto fiero di questa impresa; e, considerato che Monygham, occupato tutto il giorno a medicare i feriti nel patio dei Gould, non doveva essere al corrente delle ultime notizie, gliene fornì un sommario. Aveva comunicato ai due capipopolo l’informazione, ricevuta dall’avamposto, relativa a Pedro Montero. Il fratello del generale vittorioso – aveva detto – sarebbe arrivato a Sulaco da un momento all’altro. Come da lui previsto, questa notizia – quando fu urlata dalla finestra dal señor Gamacho – indusse la folla a incamminarsi per la strada del Campo, in gran fretta, verso Rincón. Anche i due deputati, dopo avergli stretto la mano con effusione, balzarono in sella e via, al galoppo, anche loro incontro al grand’uomo. «Quanto ai tempi, li ho un tantino fuorviati» confessò l’ingegnere-capo. «Per quanto corra, difficilmente Pedro potrà essere qui prima di mattina. In tal modo però ho raggiunto il mio scopo: assicurare alcune ore di pace al partito perdente. Di Sotillo non ho invece detto loro niente, nel timore che gli saltasse in testa di occupare di nuovo il porto, o per dargli il benvenuto o per opporgli resistenza: non si può mai sapere. È sull’argento di Gould, che si fondano le nostre superstiti speranze. Eppoi, dovevo pur pensare a Decoud, alla sua fuga. Credo che la ferrovia si sia comportata bene, con i suoi amici, senza compromettersi irreparabilmente. Adesso, i partiti devono vedersela fra loro.»
«Il Costaguana ai costaguaneros» disse il medico, con sarcasmo. «È un gran bel paese, e hanno coltivato una gran bella messe di odii, vendette, assassinii, rapine… questi figli della patria.»
«Ebbene, io sono uno di loro» risuonò, calma, la voce di Charles Gould «e devo andare a controllare la mia messe di guai. Mia moglie, che lei sappia, dottore, è andata direttamente a casa?»
«Sì. Era tutto tranquillo, da questa parte. La signora ha portato con sé le due ragazze.»
Charles Gould si allontanò a cavallo; e l’ingegnere seguì il medico all’interno della locanda.
«Quell’uomo è la calma in persona» disse, ammirato, crollando su una panca e allungando le gambe ben fatte, in calzettoni da ciclista, quasi di traverso alla soglia. «Dev’essere estremamente sicuro di sé.»
«Se è soltanto di sé, che è sicuro, allora non è sicuro di niente» ribatté il dottore. Si era di nuovo appollaiato su un’estremità del tavolo. Si stringeva il mento nel palmo d’una mano e, con l’altra, si sorreggeva il gomito. «È l’ultima cosa di cui un uomo dovrebbe essere sicuro.» La candela, consumata a metà, ardendo fioca da un lungo stoppino, illuminava dal basso la sua faccia curva, la cui espressione, alterata dalle cicatrici sulle guance, aveva un nonsoché di vagamente innaturale, un’esagerata amarezza piena di rammarico. Mentre se ne stava là seduto, sembrava immerso in meditazioni sinistre. L’ingegnere-capo stette un pezzo a contemplarlo, prima di protestare.
«Veramente, non mi risulta. Secondo me, anzi, non c’è nient’altro. Ma comunque…»
Era un uomo prudente, ma non riusciva a nascondere il proprio disprezzo per quella sorta di paradosso. In effetti, il dottor Monygham non era benvoluto dagli europei di Sulaco. Quell’aria da reietto, che conservava anche nel salotto Gould, provocava critiche severe. Nessun dubbio, sulla sua intelligenza; e, siccome viveva nel paese da oltre vent’anni, il pessimismo delle sue vedute non poteva essere del tutto ignorato. Ma, d’istinto, per legittima difesa delle loro attività, delle loro speranze, i suoi interlocutori le attribuivano a qualche nascosta imperfezione nel carattere dell’uomo. Era noto che molti anni addietro, assai giovane ancora, era stato nominato da Guzman Bento primo ufficiale medico dell’esercito. Nessuno, tra gli europei allora al servizio del Costaguana, aveva riscosso quanto lui la benevolenza e la fiducia del vecchio feroce dittatore.
Il seguito della sua storia non era tanto chiaro. Si perdeva fra gli innumerevoli racconti di cospirazioni e complotti contro il tiranno come un fiume si perde in un’arida zona sabbiosa prima di riapparire, impoverito e torbido, magari dalla parte opposta. Non faceva mistero, il dottore, di essere vissuto per anni nelle zone più selvagge della repubblica, vagando con semisconosciute tribù indie nelle grandi foreste del remoto interno, dove hanno la sorgente i grandi fiumi. Ma erano vagabondaggi senza meta né scopo: non aveva scritto nulla, nulla raccolto, non aveva riportato nulla, per la scienza, fuor dal crepuscolo di quelle foreste, la cui ombra sembrava essere rimasta attaccata alla sua logora grama persona, claudicante per Sulaco, dove era arrivato alla deriva, per caso, e dove era rimasto, come un relitto incagliato in riva al mare.
Era noto anche che era vissuto in estrema miseria fino all’arrivo dei Gould dall’Europa. Don Carlos e Doña Emilia avevano accolto il dottore inglese pazzo, quando si erano accorti che, nonostante la sua selvatichezza e indipendenza, poteva essere addomesticato con la cortesia. Forse, era stata soltanto la fame ad addomesticarlo. In anni passati, egli aveva certamente conosciuto il padre di Charles Gould a Santa Marta; e adesso, quali che fossero gli oscuri episodi della sua vicenda, in quanto ufficiale sanitario della miniera di San Tomé, era una persona di rango. Era riconosciuto come tale, ma non accettato senza riserve. Tanta arrogante eccentricità e tanto palese disprezzo per il genere umano, sembravano essere frutto soltanto di giudizi avventati, la spavalderia della colpa. Inoltre, da quando era diventato di nuovo figura di un certo riguardo, si sentivano mormorare vaghe dicerie: che anni addietro, caduto in disgrazia, gettato in carcere da Guzman Bento all’epoca della cosiddetta Grande Congiura, avesse tradito alcuni suoi amici che erano tra i congiurati. Nessuno mostrava di credere a tali dicerie. L’intera vicenda della Grande Congiura era oscura ed estremamente aggrovigliata. Si riconosce ufficialmente in Costaguana che non c’era mai stata nessuna congiura, se non nella fantasia malata del tiranno. Quindi, nulla e nessuno da tradire. D’altro canto i più illustri costaguaneros erano stati imprigionati e condannati a morte in base a tali accuse. I processi si erano protratti per anni, decimando la classe migliore come una pestilenza. Bastava esprimere cordoglio per un parente giustiziato perché uno venisse a sua volta messo a morte. Don José Avellanos era forse l’unico, ancora vivente, a conoscere l’intera storia di quelle indicibili efferatezze. Ne aveva patito lui stesso; ma era solito, con una scrollata di spalle e un cenno nervoso della mano, allontanare da sé, per così dire, qualsiasi accenno. Quale che ne fosse tuttavia la causa, il dottor Monygham, figura di rilievo in seno all’amministrazione della concessione Gould, trattato con reverente timore dai minatori, viziato nelle sue stranezze dalla signora Gould, restava in certo qual modo un emarginato.
Non era certo per simpatia verso il dottore, che l’ingegnere-capo si era soffermato alla locanda della piana. Gli era ben più simpatico il vecchio Giorgio Viola. Eppoi era arrivato a considerare l’Albergo Italia Una un po’ come una dipendenza della ferrovia. Molti suoi subalterni alloggiavano lì. L’interesse della signora Gould conferiva, a quella famiglia, una certa distinzione. L’ingegnere, che aveva un esercito di operai ai suoi ordini, apprezzava l’influenza morale esercitata dal vecchio Garibaldino sui suoi compatrioti. La sua austera fede repubblicana era informata da un senso quasi militaresco del dovere e della fedeltà, quasi che il mondo fosse un campo di battaglia dove gli uomini dovevano battersi per la fratellanza e l’amore universale, anziché per una più o meno grossa quota di bottino.
«Povero vecchio!» disse l’ingegnere, appena ebbe udito dal dottore di Teresa. «Non ce la farà a mandare avanti la baracca da solo. Sarà un peccato.»
«È solo, su di sopra» grugnì il dottor Monygham, indicando con un cenno della pesante testa le anguste scale. «Tutti se la sono svignata, e la signora Gould ha portato via le ragazze poco fa. Potrebbero non trovarsi tanto al sicuro, qui, tra non molto. Come medico, naturalmente, non mi resta altro da fare, qui; ma lei mi ha pregato di restare con il marito, e io – tanto più che non ho un cavallo per tornare alla miniera, dove dovrei trovarmi – non ho avuto niente in contrario a darle retta. In città, possono fare senza di me.»
«Ho una mezza idea di restare con lei, dottore, casomai succedesse qualcosa al porto stanotte» disse l’ingegnere. «Bisogna evitargli noie dalla soldataglia di Sotillo, che potrebbe spingersi fin qua appena sbarcata. Era molto cordiale, Sotillo, con me, in casa Gould e al circolo. Come oserà, quell’uomo, guardare in faccia i suoi vecchi amici, non riesco a immaginarlo.»
«Comincerà, senza alcun dubbio, col farne fucilare tre o quattro, per superare il primo imbarazzo» ribatté Monygham. «Niente, in questo paese, giova ai militari voltagabbana più di qualche esecuzione sommaria.» E lo disse con una lugubre sicurezza che non ammetteva repliche. L’ingegnere-capo non ci si provò neppure, infatti. Si limitò ad annuire con aria di rammarico diverse volte; poi disse:
«Credo che potremo procurarle un cavallo, dottore, domani mattina. I nostri peoni sono riusciti a riprenderne alcuni, di quelli scappati. Di buon passo, e facendo un largo giro, per Los Hatos e lungo il limitare della foresta – evitando del tutto Rincón – può sperare di raggiungere il ponte di San Tomé senza intoppi. Secondo me, la miniera è, oggi, il posto più sicuro per chi si è compromesso. Magari la ferrovia fosse altrettanto intoccabile.»
«Compromesso, io?» disse lentamente Monygham, dopo un breve silenzio.
«L’intera concessione Gould è compromessa. Non avrebbe potuto restare per sempre estranea alla vita politica del paese – se queste convulsioni si possono chiamare vita. Il punto è: la si può toccare? Doveva per forza arrivare il momento in cui la neutralità si sarebbe rivelata impossibile; e Charles Gould lo sapeva bene, questo. Credo sia pronto a ogni evenienza estrema. Un uomo della sua tempra non può aver pensato di restare, all’infinito, alla mercé dell’ignoranza e della corruttela. Era come essere prigioniero in una caverna di banditi, con i soldi del riscatto in tasca – e pagarsi la vita di giorno in giorno. L’incolumità fisica, e non già la libertà, badi bene, dottore. So quel che dico. La metafora alla quale scrolla le spalle è assolutamente esatta, specie se immagina un tale prigioniero dotato del potere di rimpinguarsi le tasche, con mezzi che esulano tanto dalle capacità dei suoi sequestratori, da sembrare magici. Lei deve averlo capito quanto me, dottore. Fino a ieri, Gould era nella posizione della gallina dalle uova d’oro. Gliene ho accennato già durante la visita qui di Sir John. Il prigioniero di stupidi e avidi banditi è sempre alla mercé del primo furfante imbecille, che può fargli saltare le cervella, o in un impeto di collera o nella speranza di un grosso bottino immediato. Non per nulla la fiaba di quello che uccide la gallina dalle uova d’oro è scaturita dalla saggezza popolare. Una fiaba la cui morale non invecchierà mai. È per questo che Charles Gould, in quel suo modo intenso, taciturno, ha appoggiato il Mandato Ribierista, il primo decreto che gli garantisse la sicurezza in base a un rapporto non esclusivamente venale. Il ribierismo è fallito, come fallisce in questo paese tutto quanto è meramente razionale. Ma Gould si mantiene fedele alla sua logica nel voler salvare il proprio argento. Il piano di Decoud di una controrivoluzione può essere praticabile oppure no, può avere, o non avere speranza di successo. Nonostante la mia lunga esperienza, in questo continente rivoluzionario, non riesco ancora a prendere sul serio i loro metodi. Decoud ci ha dato lettura della sua bozza di proclama e, per un paio d’ore, ci ha parlato, molto bene, del suo piano d’azione. E i suoi argomenti ci sarebbero sembrati solidi se noi – membri di vecchi stabili organismi nazionali e politici – non restassimo sbigottiti di fronte all’idea di un nuovo stato che scaturisce, così, dalla testa di un giovane scanzonato, in fuga per la vita, che, con in tasca un proclama, ricorre a un rozzo, beffardo smargiasso mezzo-sangue chiamato, da queste parti del mondo, generale. Sembra proprio una favola comica. E, badi, potrebbe anche riuscire. Poiché è consona allo spirito del paese.»
«L’argento è partito, dunque?» domand...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Harold Bloom
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. Nostromo
  7. Nota dell’autore
  8. Parte prima. L’ARGENTO DELLA MINIERA
  9. Parte seconda. LE ISABELLE
  10. Parte terza. IL FARO
  11. Postfazione di Virginia Woolf
  12. Copyright