La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo
eBook - ePub

La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo

  1. 504 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo

Informazioni su questo libro

Clare incontra Henry per la prima volta quando ha sei anni e lui le appare come un adulto trentaseienne nel prato di casa. Lo incontra di nuovo quando lei ha vent'anni e lui ventotto. Sembra impossibile, ma è proprio così. Perché Henry DeTamble è il primo uomo affetto da cronoalterazione, uno strano disturbo per cui, a trentasei anni, comincia a viaggiare nel tempo. A volte sparisce per ritrovarsi catapultato nel suo passato o nel suo futuro. È così che incontra quella bambina destinata a diventare sua moglie quando di fatto l'ha già sposata, o sua figlia prima ancora che sia nata¿

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804583592
eBook ISBN
9788852038501
I

L’UOMO FUORI DAL TEMPO

Oh, non perché ci sia felicità,
quest’affrettato godere di cosa che presto perderai.
Ma perché essere qui è molto; e perché sembra
che tutte le cose di qui abbian bisogno di noi, queste effimere
che stranamente ci sollecitano. Di noi, i più effimeri.
Ah, nell’altro rapporto, di là,
ahimè, che cosa portiamo? Non il guardare che qui
lentamente imparammo, e nessun avvenimento di qui.
Nessuno.
Allora le pene. Allora soprattutto quel senso di peso,
allora la lunga esperienza d’amore, – allora
soltanto quel ch’è indicibile.
RAINER MARIA RILKE, Elegie Duinesi, Nona Elegia

Primo appuntamento, uno

Sabato, 26 ottobre 1991 (Henry ha 28 anni, Clare 20)

CLARE: La biblioteca è fresca e odora di detergente per moquette anche se i pavimenti mi sembrano di marmo. Firmo il registro dei visitatori: “Clare Abshire, 11.15, 26-10-1991, Collezioni speciali”. È la prima volta che vengo alla biblioteca Newberry e adesso che ho varcato l’ingresso imponente mi sento eccitata. Le biblioteche mi fanno l’effetto delle mattine di Natale, come se fossero grandi scatole piene di libri bellissimi. L’ascensore è fiocamente illuminato e quasi silenzioso. Mi fermo al terzo piano e riempio il modulo per la consultazione, poi salgo alle Collezioni speciali. I tacchi dei miei stivali risuonano sul pavimento di legno. La sala è tranquilla e affollata, piena di solidi tavoli coperti di libri e circondati da lettori. Dagli alti finestroni entra l’autunnale luce mattutina di Chicago. Mi avvicino alla scrivania e prendo un mucchietto di moduli di richiesta. Sto scrivendo un saggio per un corso di storia dell’arte. L’argomento è il Chaucer pubblicato da Kelmscott Press. Cerco il libro da sola e riempio il modulo. Però voglio anche leggere qualcosa sulla fabbricazione della carta a Kelmscott. Il catalogo è confuso. Torno alla scrivania a chiedere aiuto. Mentre spiego all’impiegata cosa sto cercando lei guarda qualcuno che passa dietro di me. «Forse può aiutarla il signor DeTamble» dice. Mi giro, pronta a ricominciare la spiegazione daccapo, e mi trovo faccia a faccia con Henry.
Ammutolisco. Eccolo qua, calmo, vestito di tutto punto, più giovane di come io l’abbia mai visto. Fa il bibliotecario alla Newberry, è qui davanti a me, nel tempo presente. Qui e ora. Esulto. Lui mi guarda con aria paziente, cortese e insieme perplessa.
«Posso aiutarla in qualche modo?» chiede.
«Henry!» Mi trattengo a stento dal gettargli le braccia al collo. È ovvio che lui mi vede per la prima volta.
«Ci conosciamo? Mi dispiace, non…» Si osserva intorno, preoccupato che lettori e colleghi si accorgano di noi e cercando nella memoria capisce che un se stesso futuro deve aver incontrato questa ragazza radiosamente felice che ha di fronte. L’ultima volta che l’ho visto era nel Prato, intento a succhiarmi gli alluci.
Cerco di spiegare. «Sono Clare Abshire. Ti ho conosciuto quand’ero bambina…» Mi trovo in difficoltà perché sono innamorata di un uomo che se ne sta lì a guardarmi senza ricordarsi di me. È tutto nel futuro, per lui. L’assurdità della situazione mi fa venire voglia di ridere. Io sono oberata da anni di conoscenza, mentre lui mi guarda pieno di stupore e spavento. Henry con i vecchi pantaloni da pesca di mio padre, che m’interroga pazientemente sulle tabelline, i verbi francesi, le capitali degli stati. Henry che ride per lo strano pranzetto che una me stessa di sette anni gli ha portato nel Prato; Henry in smoking che il giorno del mio diciottesimo compleanno si sbottona la camicia con dita tremanti. È qui! Adesso! «Vieni a prendere un caffè con me, oppure vieni a cena, o qualcosa…» Non può dirmi di no, questo Henry che mi ama nel passato e nel futuro deve amarmi anche ora, nell’eco di un tempo diverso che dura un battito di ciglia. Con mio immenso sollievo risponde di sì. Sotto lo sguardo divertito della donna dietro la scrivania stabiliamo di incontrarci questa sera in un ristorante thailandese dei paraggi e me ne vado, dimentica di Kelmscott e Chaucer, volteggiando lungo le scale di marmo, oltre l’ingresso e, riemersa nel sole ottobrino di Chicago, attraverso il parco, mettendo in fuga cagnolini e scoiattoli con i miei salti esultanti.
HENRY: È un giorno qualsiasi di ottobre, c’è il sole e l’aria è frizzante. Sto lavorando in una stanzetta senza finestre dove il livello di umidità è controllato, intento a catalogare una raccolta di carte marmorizzate che di recente è stata donata alla biblioteca. Sono carte bellissime, ma il lavoro di catalogazione è noioso, quindi sono stufo e mi avvilisco. In effetti mi sento vecchio, nel modo in cui può sentirsi vecchio soltanto un ventottenne che ha trascorso la notte bevendo vodka costosa e cercando, senza successo, di rientrare nelle grazie di Ingrid Carmichel. Abbiamo passato la serata a litigare, e adesso non riesco neanche a ricordarmi perché. Mi fa male la testa e ho bisogno di un caffè. Abbandonando le carte marmorizzate in uno stato di caos controllato esco dall’ufficio e passo davanti alla scrivania di Isabel, addetta alla Sala di lettura. Vengo fermato dalla sua voce che dice: «Forse può aiutarla il signor DeTamble», che in realtà significa: “Henry, brutto muso, dove pensi di svignartela?”. E si gira questa ragazza alta e bellissima, con i capelli color ambra, che mi guarda come se fossi Gesù Bambino sceso sulla terra solo per lei. Sento una morsa allo stomaco. È ovvio che mi conosce, però io non conosco lei. Solo il cielo sa che cosa io possa aver detto o fatto o promesso a questa creatura luminosa, quindi sono costretto a dire nel mio miglior tono da bibliotecario: «Posso aiutarla?». La ragazza praticamente ansima «Henry!» in un tono molto evocativo, che mi convince che insieme, chissà quando, dobbiamo aver fatto qualcosa di straordinariamente divertente. Ciò aggrava il fatto che io non sappia niente di lei, nemmeno il suo nome. Dico: «Ci conosciamo?». Isabel mi lancia un’occhiata che significa “stronzo”. La ragazza risponde: «Sono Clare Abshire. Ti ho conosciuto quand’ero bambina» e mi invita a cena. Io accetto, stupefatto. Mi sorride radiosa anche se ho la barba lunga e i postumi della sbornia e non sono proprio nella mia forma migliore. Ci incontreremo per cena questa sera stessa al Beau Thai, e lei, essendosi assicurata la mia presenza per la fine della giornata, scappa dalla Sala di lettura. Mentre sono nell’ascensore, confuso, mi rendo conto che un biglietto vincente della lotteria per una cifra enorme staccato nel futuro è riuscito non so come a trovarmi nel presente, e comincio a ridere. Supero l’ingresso e mentre corro giù per le scale verso la strada vedo Clare che attraversa di corsa Washington Square, saltando esultante, e mi viene voglia di piangere e non so perché.

Più tardi, quella sera

HENRY: Sei del pomeriggio. Torno a casa di corsa dal lavoro e cerco di farmi bello. Di questi tempi la casa è un appartamento di North Dearborn, minuscolo ma follemente caro; parti varie del mio corpo finiscono inevitabilmente per sbattere contro muri, spigoli e mobili ingombranti. Primo passo: aprire le diciassette serrature della porta di casa, gettarmi nel soggiorno che è anche camera da letto e cominciare a spogliarmi. Secondo passo: doccia e barba. Terzo passo: scrutare disperato nelle profondità dell’armadio sempre più consapevole del fatto di non possedere niente che sia davvero pulito. Trovo una camicia bianca ancora dentro il cellophane della tintoria. Decido di mettermi il vestito nero, i mocassini e una cravatta azzurra. Quarto passo: valutare l’insieme e scoprire che sembro un agente dell’Fbi. Quinto passo: dare un’occhiata intorno e scoprire che la casa è un casino. Decido che eviterò di portare Clare nel mio appartamento stasera, anche qualora se ne verificasse l’opportunità. Sesto passo: guardarmi nello specchio a figura intera del bagno e vedere uno spigoloso sosia alto un metro e ottanta di Egon Schiele a dieci anni, con gli occhi spiritati e addosso una camicia pulita e un vestito da direttore di pompe funebri. Mi domando in che modo mi abbia visto vestito questa donna, poiché è ovvio che non arrivo dal mio futuro nel suo passato con indumenti di mia proprietà. Ha detto che era bambina? Mille domande senza risposta mi passano per la testa. Mi fermo e prendo fiato per un minuto. D’accordo. Afferro portafoglio e chiavi ed eccomi partito: richiudo le trentasette serrature, scendo nel piccolo ascensore instabile, compro un mazzo di rose nel negozio che si trova nell’ingresso del palazzo, percorro in tempo record i due isolati fino al ristorante, arrivando pur sempre cinque minuti in ritardo. Clare è già seduta in un séparé, e quando mi vede sembra provare sollievo. Mi fa un cenno con la mano come se fosse a una parata.
«Ciao» dico. Porta un vestito di velluto color vino e le perle. Sembra uscita da un quadro di Botticelli rivisitato da John Graham: grandi occhi grigi, naso lungo, la bocca piccola e delicata come quella di una geisha. I lunghi capelli rossi le ricadono sulle spalle in una morbida onda. È talmente pallida che alla luce della candela sembra di cera. Le ficco le rose in mano. «Per te.»
«Grazie» dice, assurdamente felice. Mi guarda e si accorge di quanto la sua reazione mi abbia confuso. «È la prima volta che mi regali dei fiori.»
Scivolo sul sedile di fronte a lei. Sono affascinato. Questa donna mi conosce bene; non si tratta di una conoscenza vaga fatta in qualche esodo futuro. Compare la cameriera con il menu.
«Raccontami» chiedo.
«Cosa?»
«Tutto. Cioè, tu sai perché io non ti conosco, vero? Sono terribilmente dispiaciuto…»
«Oh no, non devi. Cioè, lo so… perché succede.» Clare abbassa la voce. «È perché per te non è ancora successo niente di tutto questo. Invece per me, be’… io ti conosco da tanto tempo.»
«Quanto?»
«Circa quattordici anni. La prima volta che ti ho visto ne avevo sei.»
«Cielo. Mi hai visto spesso o solo poche volte?»
«L’ultima mi hai detto di portare questo a cena, quando ci fossimo incontrati di nuovo.» Clare mi mostra un diario da bambina con la copertina azzurra. «Quindi» me lo porge, «puoi tenerlo.» Lo apro alla pagina con un pezzetto di giornale come segnalibro. Ci sono due cuccioli di cocker spaniel in agguato nell’angolo destro e un elenco di date. Comincia con il 23 settembre del 1977 e termina dopo sedici paginette azzurre ornate di cuccioli il 24 maggio del 1989. Le conto. Sono centocinquantadue date scritte con grande cura con la penna a sfera blu, nella bella calligrafia grande di una bambina di sei anni.
«Hai scritto tu la lista? Sono tutte esatte?»
«In realtà me le hai dettate. Qualche anno fa mi hai detto di averle memorizzate. Perciò non so dirti come funzionino esattamente, sembra una specie di nastro di Möbius. Comunque sono precise. Ho sempre utilizzato questo elenco per sapere quand’era il momento di venire a incontrarti giù al Prato.» Ricompare la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. LA MOGLIE DELL’UOMO CHE VIAGGIAVA NEL TEMPO
  5. Prologo
  6. I. L’UOMO FUORI DAL TEMPO
  7. II. UNA GOCCIA DI SANGUE NELLA SCODELLA DEL LATTE
  8. III. TRATTATO SULLA NOSTALGIA
  9. Ringraziamenti