Yssa il buono
  1. 350 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Chi è lo sconosciuto gracile e male in arnese, avvolto in un cappottone nero, in cui Melik, immigrato turco di seconda generazione nato ad Amburgo, continua a imbattersi? Dopo l'11 settembre la vita del giovane, devoto musulmano e promessa della boxe, soffre di equilibri precari, e lui farebbe di tutto pur di non cacciarsi nei guai. Ma sua madre Leyla, che considera un dovere prestare aiuto a un compagno di fede, decide di dare ospitalità allo straniero. A poco a poco lo strano ragazzo, che dice di chiamarsi Yssa Karpov, rivela di essere un profugo ceceno fuggito da un carcere russo e di essere entrato in Germania clandestinamente per studiare medicina. Ma qualcosa nei suoi racconti non torna...
John le Carré regala ai suoi lettori una storia emozionante e attualissima, nella quale si confronta con gli aspetti più ambigui della contemporaneità, ponendo l'accento sulle contraddizioni delle grandi democrazie occidentali e sull'arroganza del potere nei confronti dei più deboli.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Yssa il buono di John le Carré, Annamaria Biavasco, Valentina Guani, Annamaria Biavasco,Valentina Guani in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804591719
eBook ISBN
9788852041402

1

È assolutamente comprensibile che un campione di boxe turco – categoria pesi massimi –, camminando per le strade di Amburgo con la madre al braccio, non si accorga di essere seguito da un ragazzo magrissimo con un cappotto nero.
Big Melik, così chiamato dai suoi fan nel quartiere, era un colosso irsuto e trasandato, ma gioviale, con un bel sorriso spontaneo, la coda di cavallo e l’andatura rilassata e disinvolta. Anche senza la madre al fianco occupava mezzo marciapiede. Aveva vent’anni e nel suo piccolo mondo era già famoso, non solo per le prodezze sul ring. Eletto rappresentante dei giovani al Circolo sportivo islamico, era arrivato tre volte secondo nei cento metri farfalla ai campionati di nuoto della Germania settentrionale e, come se non bastasse, era l’ottimo portiere della squadra di calcio in cui giocava ogni sabato.
Come quasi tutte le persone grandi e grosse, era più abituato a essere osservato che a osservare, e anche per questo motivo il ragazzo magrissimo riuscì a seguirlo senza farsi scoprire per ben tre giorni e tre notti.
I due entrarono per la prima volta in contatto visivo quando Melik e sua madre Leyla uscirono dall’agenzia di viaggi al-Umma dopo aver comprato il biglietto aereo per tornare al paese d’origine, nei pressi di Ankara, per il matrimonio della sorella di Melik. Melik si sentiva osservato, si guardò intorno e si trovò di fronte un ragazzo di una magrezza impressionante, alto come lui, con la barba incolta, gli occhi rossi, infossati, e un cappottone nero in cui sarebbero potute entrare non una ma tre persone. Intorno al collo portava una kefiah bianca e nera e su una spalla una sacca di pelle chiara da turista. Guardò Melik, Leyla e poi di nuovo Melik senza battere ciglio, ma con un’espressione supplichevole negli occhi accesi e incavati.
Melik non aveva motivo di preoccuparsi più di tanto per l’aria disperata del ragazzo, considerato che l’agenzia di viaggi si trovava in fondo all’atrio della stazione centrale, dove tutto il giorno ciondolavano anime in pena di ogni genere: tedeschi senza fissa dimora, asiatici, arabi, africani, turchi come lui ma meno fortunati, disabili senza gambe che circolavano su trabiccoli elettrici, spacciatori e relativi clienti, mendicanti accompagnati dai loro cani e persino un cowboy settantenne con uno Stetson in testa e calzoni alla cavallerizza borchiati d’argento. Pochi di costoro avevano un impiego e parecchi non avevano neppure il diritto di trovarsi sul suolo tedesco, ma erano tollerati nell’ambito di una politica di deliberata non assistenza in attesa di un’espulsione sommaria che di solito avveniva all’alba. Solo i nuovi arrivati o i più cocciutamente temerari, tuttavia, correvano quel rischio. I clandestini più accorti si tenevano alla larga dalla stazione.
Un altro buon motivo per ignorare il ragazzo era la musica classica trasmessa ad alto volume da una serie di altoparlanti puntati proprio su quella parte dell’atrio, non tanto per ispirare gli ascoltatori, quanto per farli scappare.
Malgrado queste interferenze, il viso del giovane emaciato rimase impresso a Melik, che per un attimo si vergognò della propria felicità. Ma perché si sarebbe dovuto vergognare? Era appena successa una cosa meravigliosa e non vedeva l’ora di telefonare alla sorella per raccontarle che la madre Leyla, dopo aver assistito per sei mesi il marito moribondo – e averne pianto la scomparsa per un anno –, sprizzava gioia al pensiero di recarsi al suo matrimonio e si preoccupava di che cosa indossare, se la dote fosse sufficiente e se lo sposo era davvero bello come dicevano tutti, compresa la sposa.
Perché Melik non avrebbe dovuto chiacchierare con la madre? Ed è proprio quello che continuò a fare, entusiasta, fino a casa. Stabilì in seguito che era stata l’immobilità del ragazzo a colpirlo. Quelle rughe da vecchio in un viso giovane come il suo. Quell’aria invernale in una bella giornata di primavera.
Questo avvenne il giovedì.
Il venerdì sera, quando Melik e Leyla uscirono dalla moschea, era di nuovo lì: lo stesso ragazzo, con la stessa kefiah e lo stesso cappotto troppo grande, rincantucciato vicino a un lurido portone. Questa volta Melik notò che stava leggermente inclinato da una parte, come se avesse preso un pugno che lo aveva sbilanciato e fosse rimasto in quella posizione in attesa che qualcuno gli desse il permesso di raddrizzarsi. E il suo sguardo era ancora più acceso del giorno prima. Melik lo guardò negli occhi, se ne pentì e si voltò dall’altra parte.
Quel secondo incontro era ancora più singolare del precedente, perché Leyla e Melik non frequentavano quasi mai la moschea, nemmeno una moderata e di lingua turca come quella. Dopo l’11 settembre le moschee di Amburgo erano diventate luoghi pericolosi. Bastava andare in quella sbagliata, o anche in quella giusta ma quando c’era l’imam sbagliato, e si rischiava di ritrovarsi nell’elenco delle persone sospette insieme a tutta la famiglia, e di essere sorvegliati a vita dalla polizia. Nessuno dubitava che praticamente in ogni fila di fedeli ci fosse un informatore che si guadagnava da vivere facendo la spia. E nessuno – musulmano, informatore della polizia o tutte e due le cose – poteva dimenticare che la città-Stato di Amburgo aveva involontariamente ospitato tre dei dirottatori dell’11 settembre – senza contare gli altri loro compagni, membri della cellula e cospiratori, e che Mohammed Atta, il pilota del primo aereo che si era schiantato contro le Torri Gemelle, aveva pregato il suo indignato Dio in un’umile moschea di Amburgo.
Inoltre, da quando era morto il marito, Leyla e suo figlio erano diventati meno osservanti. Sì, certo, il padre di Melik era musulmano, ma anche laico, strenuo sostenitore dei diritti dei lavoratori, e proprio per questo era stato costretto a lasciare la Turchia. L’unica ragione per cui loro si erano recati alla moschea era che, con l’impulsività che la contraddistingueva, Leyla ne aveva sentito l’impellente bisogno. Era felice. Il peso del lutto si stava attenuando, nonostante si avvicinasse il primo anniversario della morte del marito. Aveva bisogno di parlargli e di dargli la lieta novella. Per la preghiera principale del venerdì era ormai troppo tardi e tanto valeva pregare a casa, ma i capricci di Leyla erano legge. Sostenendo giustamente che le invocazioni personali vengono ascoltate con più facilità se recitate di sera, aveva insistito per andare all’ultima ora di preghiera della giornata, e questo significava, tra l’altro, che la moschea era pressoché deserta.
Era chiaro pertanto che il secondo incontro di Melik con il ragazzo magrissimo, come il primo, era avvenuto per puro caso. Come poteva essere altrimenti? Così, almeno, nella sua semplicità, pensò il buon Melik.
L’indomani, dal momento che era sabato, Melik prese l’autobus per andare a trovare lo zio paterno, che aveva una fabbrica di candele dall’altra parte della città. I rapporti tra il ricco zio e il padre di Melik erano stati spesso tesi, ma da quando suo padre era morto il ragazzo aveva imparato ad apprezzare l’amicizia dell’uomo. Mentre saliva di corsa sull’autobus, chi vide seduto sotto la pensilina se non il ragazzo magrissimo che lo guardava? E sei ore dopo, quando al ritorno scese alla stessa fermata, il ragazzo era ancora lì, imbacuccato nella kefiah e nel pastrano, rannicchiato ad aspettare nello stesso angolo sotto la pensilina.
Alla sua vista Melik, che come regola di vita si era dato quella di amare il suo prossimo senza condizioni, provò un senso di avversione niente affatto caritatevole. Aveva l’impressione che il giovane lo accusasse di qualcosa, e questo gli dava fastidio. Ma soprattutto trovava irritante la sua aria di superiorità, nonostante le condizioni miserevoli. Che cosa credeva di dimostrare con quel ridicolo cappotto nero? Pensava di rendersi invisibile? O forse voleva far credere di essere così estraneo alle usanze dell’Occidente da non rendersi conto dell’effetto che faceva?
In un caso o nell’altro, Melik decise di liberarsene. Così, invece di avvicinarsi e chiedergli se aveva bisogno di aiuto, o se si sentiva male, come molto probabilmente avrebbe fatto in altre circostanze, si avviò verso casa di buon passo, confidando nel fatto che il ragazzo non sarebbe riuscito a stargli dietro.
Era una giornata incredibilmente calda per essere primavera, e il sole picchiava sul marciapiede affollato. Eppure il ragazzo, per una sorta di miracolo, riuscì a tenere il passo di Melik, zoppicando e ansimando, sudando e tossendo, e ogni tanto sussultando come se sentisse dolore, ma arrivando comunque ad affiancarlo sulle strisce pedonali.
Dopo essere entrato nella casetta di mattoni che sua madre stava per finire di pagare dopo decenni di sacrifici, a Melik bastò aspettare pochi secondi per sentire suonare il campanello. Scese di nuovo le scale per andare ad aprire e si ritrovò davanti il ragazzo magrissimo con la sacca sulla spalla, gli occhi strabuzzati per la fatica, fradicio di sudore come se fosse stato sorpreso da un temporale estivo. Nella mano tremante aveva un pezzo di cartone su cui era scritto in turco: “Sono uno studente di medicina musulmano. Sono stanco e vorrei fermarmi a casa vostra. Yssa”. E, come per sottolineare il messaggio, sul polso aveva un braccialetto d’oro con un piccolo ciondolo a forma di Corano, anch’esso d’oro.
Melik si indignò. D’accordo, non era mai stato il primo della classe, ma non voleva sentirsi inferiore o in colpa, e non gli piaceva essere seguito e preso di mira da un poveraccio irriguardoso. Da quando era mancato suo padre, era lui l’uomo di casa e aveva il compito di proteggere la madre. E si stava dimostrando all’altezza, poiché era a un passo dal riuscire in quello che non era riuscito a suo padre: in quanto residente turco di seconda generazione, Melik aveva chiesto la cittadinanza tedesca per sé e per la madre. Era un percorso lungo e irto di ostacoli, nel quale veniva esaminato al microscopio il modo di vivere di tutta la famiglia, sotto ogni aspetto, e il primo ma indispensabile requisito erano otto anni di condotta ineccepibile. Un vagabondo squilibrato che veniva a elemosinare alla sua porta sostenendo di essere uno studente di medicina era l’ultima cosa che gli ci voleva.
«Vattene via!» gli ordinò bruscamente in turco, affrontandolo sulla soglia. «Sparisci. Smettila di seguirci e non farti vedere mai più.»
Non ottenendo alcuna reazione, se non una leggera smorfia, quasi lo avesse preso a schiaffi, Melik ripeté le sue ingiunzioni in tedesco. Ma quando fece per sbattergli la porta in faccia si accorse che dietro di sé, sulle scale, c’era la madre. Guardava il ragazzo e il pezzo di cartone che gli tremava incontrollabilmente nella mano.
E aveva già gli occhi lucidi di compassione.
Passò la domenica, e il lunedì mattina Melik trovò una scusa per non presentarsi al negozio di frutta e verdura di suo cugino a Wellingsbüttel. Disse alla madre che doveva allenarsi per il campionato dilettanti di boxe. Doveva andare in palestra e alla piscina olimpionica. In realtà aveva deciso che non era prudente lasciarla sola con uno spilungone pazzo che aveva manie di grandezza e, quando non pregava o guardava fisso il muro, girava per la casa toccando affettuosamente ogni cosa come se gli risvegliasse vecchi ricordi. Melik considerava sua madre una donna eccezionale, ma da quando era rimasta vedova era più volubile e impulsiva. Per lei era come se le persone alle quali decideva di volere bene fossero infallibili. Yssa, con i suoi modi garbati, la sua timidezza e gli improvvisi soprassalti di gioia, entrò immediatamente a far parte di quel gruppo esclusivo.
Il lunedì e anche il martedì Yssa non fece praticamente altro che dormire, pregare e lavarsi. Per comunicare usava brevi frasi in un turco incerto con un accento particolare, grezzo, pronunciate in modo furtivo, come se parlare fosse vietato, e in un tono che a Melik suonava inspiegabilmente didattico. Per il resto, mangiava. Dove diavolo metteva tutta la roba che divorava? Ogni volta che entrava in cucina, a qualsiasi ora, Melik lo trovava chino su un piatto di agnello, riso e verdure, il cucchiaio sempre in movimento, gli occhi che saettavano da una parte all’altra nel timore che qualcuno gli togliesse il cibo di bocca. Quando aveva finito, puliva il piatto con un pezzo di pane, mangiava anche quello e, mormorando “Sia ringraziato Dio” con un sorriso appena accennato – quasi fosse a conoscenza di un segreto troppo prezioso per condividerlo con loro –, portava le stoviglie al lavandino e le lavava sotto il rubinetto, cosa che Leyla non avrebbe mai e poi mai permesso di fare al figlio o al marito. La cucina era il suo regno, e agli uomini era vietato l’ingresso.
«Allora, quando pensi di cominciare i tuoi studi di medicina, Yssa?» gli chiese Melik con disinvoltura, a portata d’orecchio della madre.
«A Dio piacendo, presto. Devo essere forte. Non devo più chiedere elemosina.»
«Avrai bisogno del permesso di soggiorno, sai. E della tessera da studente. Per non parlare di centomila euro o giù di lì per vitto e alloggio. E una bella macchina a due posti per portare fuori le ragazze.»
«Dio è misericordioso. Quando non chiedo più elemosina, provvederà.»
Secondo Melik, tanta sicurezza andava al di là della fede.
«Ci costa un sacco di soldi, mamma» disse entrando in cucina in un momento in cui Yssa era in soffitta. «Con tutto quello che mangia, e con tutti i bagni che fa.»
«Non più di te, Melik.»
«No, ma lui non è me, ti pare? Non sappiamo chi sia.»
«È nostro ospite. Quando si sarà rimesso in salute, con l’aiuto di Allah penseremo al suo futuro» replicò la madre.
Agli occhi di Melik, i goffi tentativi di Yssa per passare inosservato non facevano che renderlo più ingombrante. Quando percorreva lo stretto corridoio o saliva la scala a pioli che portava nella soffitta dove Leyla gli aveva preparato il letto, lo faceva con una circospezione che Melik trovava esagerata, chiedendo il permesso con occhi da cerbiatto e appiattendosi contro il muro per lasciarli passare.
«Yssa è stato in prigione» annunciò compiaciuta Leyla un mattino.
Melik inorridì. «Sei sicura? Stiamo dando riparo a un delinquente? La polizia lo sa? Te l’ha detto lui?»
«Ha detto che in prigione, a Istanbul, danno solo un pezzo di pane e un piatto di riso al giorno» rispose Leyla e, senza lasciargli il tempo di protestare, recitò una delle frasi preferite del marito: «“Onoriamo l’ospite e soccorriamo chi è in difficoltà. Le opere caritatevoli non verranno dimenticate in paradiso.” Tuo padre non è forse stato in prigione in Turchia, Melik? Non tutti quelli che finiscono in prigione sono delinquenti. Per gente come Yssa e tuo padre, la prigione è un onore».
Ma Melik sapeva che sua madre nascondeva altri pensieri che era meno propensa a rivelare. Allah aveva risposto alle sue preghiere e le aveva mandato...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. YSSA IL BUONO
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. L’autore desidera ringraziare:
  20. Dossier. ALTRI MONDI, ALTRI “GIOCHI”. a cura di Paolo Bertinetti
  21. Copyright