I fiori del male
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I fiori del male

Charles Baudelaire, Gesualdo Bufalino

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I fiori del male

Charles Baudelaire, Gesualdo Bufalino

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Le liriche appassionate e intense, tese a trovare segrete corrispondenze con il mondo della natura, nell'affascinante capolavoro di Baudelaire (1821-67). Un'inconsueta alleanza tra prosa nuda e poesia pura in un'opera serrata e provocatoria che, come scrisse Hugo, "risplende e abbaglia come una stella".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852015854
Argomento
Littérature
Categoria
Poésie

SPLEEN E IDEALE

note - francese
I

BENEDIZIONE

note - francese
Quando, per un decreto dei supremi poteri,
fra gli uomini annoiati il Poeta discende,
sua madre, in preda al panico e gonfia d’improperi,
a Iddio che la commisera i chiusi pugni tende:
«Ah! mi fossi sgravata d’una covata d’aspidi,
piuttosto che nutrire in me simile scherno!
Maledetta la notte dagli effimeri brividi,
quando accolsi nel ventre il mio castigo eterno!
Poiché tu m’hai, Signore, fra le donne dannato
a suscitar l’orrore d’un infelice sposo,
e questo contraffatto essere non m’è dato
buttar nel fuoco, come un biglietto amoroso,
stornerò l’odio tuo che su me s’accanì
sul fatale strumento dei tuoi progetti infami,
e torcerò quest’albero miserevole sì
da seccarne i boccioli velenosi sui rami!»
Così lei, ringoiando le bave acri dell’ira,
senza per nulla intendere i sovrumani editti,
in fondo alla Geenna a erigere cospira
i roghi consacrati ai materni delitti.
Frattanto, ebbro di sole, sotto l’ala invisibile
d’un Angelo, il bambino reietto s’incammina,
e vede le bevande mutarglisi ed i cibi
in nettare vermiglio e in ambrosia divina.
Ride ai venti, le voci delle nubi raccoglie,
e s’esalta, cantando, della croce che porta,
giocondo come un passero che vola fra le foglie:
ne singhiozza lo Spirito, ch’è sua mistica scorta.
Quanti vorrebbe amare, lo guatan con spavento;
oppure, innanzi a tanta mansuetudine prodi,
gareggiano a cavargli dalle labbra un lamento,
e sul suo corpo provano mille efferati modi.
Fin nel pane e nel vino che avvicina alla bocca
sputi e cenere intridono nelle più sozze forme;
storcono untuosi il naso da ogni cosa che tocca;
e si fanno una colpa di seguitarne l’orme.
La sua donna a gran voce va gridando nel foro:
«Poiché sembro ai suoi occhi così bella, e mi crede
degna d’adorazione, vo’ rivestirmi d’oro,
come gli antichi idoli, tutta, da capo a piede.
E di nardo, di mirra, d’olibano pretendo
satollarmi, di carni, di liquori, d’inchini,
per sapere se posso usurpare ridendo
in un cuor che m’ammira gli attributi divini.
Quando poi sarò stanca di queste empie follie,
sopra gli poserò la magra e forte mano,
e con unghie affilate come unghie d’arpie
mi scaverò la strada fino al suo cuore umano.
Come un uccello implume che palpita e che guizza
quel suo purpureo cuore gli strapperò dal petto
e scagliandolo a terra, per disdegnosa bizza,
ne sfamerò il mio levriero prediletto!»
Verso il cielo, ove scorge un trono d’oro e luci,
leva, placido e pio, il Poeta le braccia,
e i maestosi lampi del suo spirito lucido
gli celano la vista dell’orda che minaccia:
«Sia lode a te, Signore, che dai la sofferenza
come un sublime farmaco delle nostre viltà,
e come la migliore e la più pura essenza,
ai forti preannuncio di sante voluttà!
Io so che un seggio in cielo tu conservi al poeta
fra le felici schiere delle sante Legioni,
e lo inviti alla eterna agape ove s’allietano
i Troni, le Virtù e le Dominazioni.
So che la sofferenza è il blasone più certo,
cui non potranno mordere l’inferno né la terra,
e che per intrecciare il mio mistico serto,
agli evi e agli universi dovrò muovere guerra.
Ma quante ebbe Palmira gemme nei dì lontani,
e ignote pietre e perle celano il suolo e il mare,
anche se incastonate con le tue stesse mani,
non saprebbero al fulgido mio diadema bastare:
poiché sarà contesto di sincere faville,
attinte al fonte sacro dei primigeni raggi,
di cui, per quanto brillino, le terrene pupille
non sono che velate e nostalgiche immagini!»
II

L’ALBATRO

note - francese
Spesso, per passatempo, acchiappano i gabbieri
un di quei grandi albatri, uccelli d’altomare,
che, come pigre scorte, i nomadi velieri
sogliono sugli amari vortici accompagnare.
Sono appena deposti sul ponte che s’accasciano,
questi re dell’azzurro, con vergogna impotente,
e le grandi ali candide lungo i fianchi si lasciano
pendere come remi malinconicamente.
Il viator volante, com’è sgraziato e stroppio!
Lui, già sì bello, come laido e comico sembra!
V’è chi il becco gli stuzzica con la pipa, chi zoppica,
scimmiottando l’impaccio delle povere membra.
Poeta, anche tu abiti nel cuore della folgore,
e sfidi i dardi, e sopra le nuvole t’accampi:
esule sulla terra, fra i dileggi del volgo,
nell’ali di gigante ad ogni passo inciampi!
III

ELEVAZIONE

note ...

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