Ieri sera Santovito doveva proprio essere suonato, come aveva assicurato il maresciallo Amadori. Non ha nemmeno socchiuso le imposte della stanza-ufficio e così lo sveglia la luce del giorno. La stufa è spenta e il termosifone non basta a fare una temperatura decente e c’è nell’aria l’odore della neve.
Sono passate da poco le otto, da un pezzo Santovito non dormiva tanto e tanto bene. L’erba del cortile della caserma, vista dai vetri appannati, è sotto un velo di nevischio. O forse è solo una brinata. Succede quando la notte è stata umida e la temperatura sotto lo zero. Il che mette ancor più freddo nella stanza di Santovito.
Si fa sulla porta. «Chiaffalà!» e torna dentro a infilarsi i calzoni. Borbotta, come gli capita spesso da quando è cominciata questa maledetta inchiesta: «Poteva svegliarmi. E accendere la stufa!».
«Agli ordini, signor maresciallo maggiore» dice dalla porta l’appuntato, sull’attenti davanti a un superiore che si sta allacciando i calzoni.
«Ancora con il tuo maggiore, Chiaffalà! Vogliamo smetterla?»
«Signorsì, signor maresciallo maggiore. Giù c’è pronto il caffè...»
«Ho sentito il profumo appena ho aperto la porta. C’è qualcosa da mangiare? Ieri sera non ho cenato. Mentre faccio colazione, accendimi ’sta stufa. O vuoi farmi morire di freddo?»
«Agli ordini.»
Sulla tavola c’è una macchinetta di caffè bollente e c’è un piatto con del pane a fette e formaggio, lo stesso che Bleblè ha regalato a Chiaffalà. Mentre ne taglia un’abbondante porzione, Santovito continua a borbottare: «Dove lo trovo un altro appuntato così? Merita una promozione» e manda giù di gusto la prima tazzina.
«Dov’è il maresciallo Amadori?» grida.
Si presenta Gargiulo: «È domenica, signor maresciallo, e la Spal gioca in casa, a Ferrara».
«E allora?»
«Il signor maresciallo va sempre alla partita quando la Spal gioca in casa.»
La stufa del Frabbone va che è una meraviglia e già è confortante il brontolio che fa mangiandosi la legna. Nella stanza-ufficio la temperatura comincia a essere sopportabile.
Seduto al piccolo tavolo che l’appuntato è riuscito a procurargli, Santovito butta giù alcuni appunti, telefona a Cleto della Mezzacosta, chiede come va e, senza aspettare il solito “non c’è male, e tu?”, continua: «Ho voglia di passare la domenica su da voi, alla Mezzacosta. Ce n’hai da mangiare per due a mezzogiorno e stasera?».
«Per il maresciallo e la sua signora, sempre.»
Santovito non raccoglie la provocazione. Dice: «Più tardi, perché immagino che adesso dorma, fammi telefonare da Raffaella».
È domenica, non ha nessuna voglia di pensare al passato. Né al presente. Dovrà essere una domenica rilassante e che a nessuno, proprio a nessuno, venga in mente di ricordargli perché è tornato qui, in paese!
È stata una domenica fredda, ma il camino di Raffaella e la stufa della Mezzacosta hanno fatto il loro dovere. È freddo anche questo lunedì mattina e la spruzzata di neve di sabato è ancora attaccata all’erba, il cielo è chiaro e il sole spunterà, tardi, come al solito per questo paese. E, come al solito, il primo raggio illuminerà la cima sopra il paese, scenderà sulla Mezzacosta e sulla Ca’ Rossa e, per ultimo, sui tetti scuri d’ardesia del paese.
Stelio li aspetta davanti al cancello della Mezzacosta, seduto al volante del Millecento e il maresciallo gli chiede: «Sei qui da molto?». Il giovane sorride, nega con il capo e fa segno a Raffaella di sedere accanto a lui. “Come al solito” dice con le mani.
«Fatto colazione?» Altro cenno negativo del capo. «Nemmeno noi. Portaci da Ciccio, che offro io.» Stelio applaude, mette la prima e parte con una derapata che, sul terreno ghiacciato, mette in testa coda il Millecento. «Be’, Stelio» dice ancora il maresciallo, «se la prendi così, io e Raffaella scendiamo a piedi.»
“Tranquillo, maresciallo” fa intendere Stelio.
«Tranquillo per niente» e Stelio riduce la velocità, si gira al maresciallo per capire se così va bene. «No che non va bene: guarda la strada.»
Sosta al Ristobar, fermata davanti alla scuola e fermata alla caserma dei carabinieri e Stelio riprende la via della Mezzacosta.
Santovito entra nell’ufficio del maresciallo Amadori che, seduto alla scrivania, sta leggendo un giornale sportivo e ha già riempito il locale con il profumo troppo dolce delle sue sigarette.
«Bene arrivato» dice. Esultante, solleva il giornale. «Visto che roba?»
«Non ho ancora aperto il giornale...»
«Due a zero al Catania, all’ottantanovesimo splendido gol di Taccola, grande, e un minuto dopo raddoppia Massei. Grande anche Massei e grande Spal.» Atteggia il viso a una falsa tristezza. «Mi spiace per te, ma il tuo Napoli... Immagino che tieni per il Napoli, no?» Non lascia tempo per la risposta. «Avete perso dal Milan: due a uno. Al ventiquattresimo rete di Vernazza, raddoppia Altafini al ventisettesimo e accorcia le distanze, ma invano, Tacchi all’ottantanovesimo...»
«Lascia perdere, Amadori, che a me il calcio non interessa...»
«Non ti interessa?» e, stupito, guarda il collega. Sorride: «Ho capito, tu ieri hai giocato un’altra partita, su alla Mezzacosta, in campo neutro e senza arbitro...».
«Lascia perdere, Amadori, che non sono affari tuoi.»
«Lascio perdere, lascio perdere, ma un napoletano che non si interessa di calcio...»
«Non sono napoletano, Amadori, e sono qui perché mi pareva che tu fossi interessato alle novità delle Piane...»
«... che sono buone o cattive?»
«Che vuol dire buone o cattive? Semplicemente novità» e aggiorna il collega sui risultati del sopralluogo alle Piane.
Attento, Amadori ha seguito la veloce esposizione poi, in silenzio, schiaccia la sigaretta nel posacenere e guarda Santovito: «Be’, signor maresciallo maggiore, a me che mi frega? Come a te del calcio. Il caso è tuo, no?».
«Amadori, a me sembra che ultimamente, viste le... diciamo disposizioni dei superiori, dettate forse da un tuo interessamento, il caso sia diventato più tuo che mio. Questa è la zona di tua competenza, anche se il massacro alle Piane e la fucilazione di Bob sono vecchi di anni. Ma poi...» e qui si prende il tempo per sedere comodo, accendere un sigaro e dare alcune tirate. «Ma poi, non l’hai avuta tu l’idea geniale?» La vittoria della Spal gli ha fatto dimenticare il colloquio di sabato sera e Santovito glielo ricorda. «Sì, chiamare i vigili del fuoco per un sopralluogo alla baracca. Quindi...»
«Quindi, cosa? Che c’entrano i pompieri con le tue indagini alle Piane?»
Santovito agita la mano che tiene il sigaro: «Be’, sai, nel ’44 non è che sono riuscito a fare indagini complete. Per esempio, ho saputo che i morti sono stati trovati nella cisterna, ma chi ha avuto il tempo per verificare...».
Amadori lo ferma con un gesto. «Lasciami pensare» mormora. E tamburella con le dita il piano della scrivania. Si accende una sigaretta, guarda il suo fumo confondersi con quello più scuro e denso del sigaro e: «Santovito, ho un’idea!» dice. «Visto che dovranno venire su i pompieri per la baracca, potrei chiedergli di portarsi anche un’idrovora... o quello che è. Faccio svuotare la cisterna, esaminare il fondo e se c’è rimasto qualcosa noi... Che ne dici?»
«Dico che va benissimo. Ottima pensata. Anzi, battiamo il ferro finché è caldo e fai venire su i vigili del fuoco oggi stesso. Mangiamo un boccone e andiamo alle Piane con l’autopompa...»
«Fai presto tu... Non credo che l’idrovora, o autopompa, come la chiami tu, sia lì a nostra disposizione.» Ci pensa su, poi: «Fammi fare una telefonata». Fruga nei cassetti, brontolando che nessuno lascia mai “la roba al suo posto”, trova e sfoglia l’elenco telefonico, fa segno a Santovito che “adesso ci penso io” e comincia una sommessa conversazione in cui affiora “sì, capisco che dovete farvi autorizzare dal comando”, “un piacere a un amico che te ne ha fatti eccome”, “una mano lava l’altra”, e infine un sollevato “grazie e sempre a tua disposizione”. Sorride al collega: «Visto? Un po’ di buona, vecchia diplomazia e tutto è risolto. Domattina alle dieci l’idrovora sarà davanti alla caserma».
Santovito annuisce, si sporge per spegnere il sigaro nel posacenere di Amadori e conviene: «Bene, riconosco che ci sai fare. Ci vediamo domattina alle dieci, per le Piane». Si alza e saluta con un gesto.
«Gargiulo!» chiama Amadori. Santovito è ancora sulle scale. «Vuotami questo posacenere puzzolente di toscano!»
Nel tepore della sua stanza-ufficio, il maresciallo fa parecchie telefonate, troppe se, dal basso, arriva la richiesta di Amadori:
«Ooo, maresciallo maggiore, ce la fai a lasciarmi la linea per qualche secondo?»
Di sulla porta Santovito, che stava per uscire, gli rimanda: «È tutto tuo maresciallo! Io ho finito» e passando dinanzi a Gargiulo dice: «Vuota anche il mio di posacenere. Ho fumato molto questa mattina». Più tranquillo di quando ci è entrato, lascia la caserma.
Al tenente colonnello Friggerio ha chiesto di rintracciare l’ex partigiano Bill, forse avvocato a Bologna; gli ha raccontato del monastero di Noviano, nell’Appennino fra Toscana e Romagna; lo ha pregato di contattare l’anpi, perché lui, Santovito, al momento non può lasciare il paese, per notizie su Tango e alla domanda del superiore, ha risposto:
«No, colonnello, ancora niente di certo... Solo idee, ma conto sulla tua collaborazione. Conto anche su un paio d’incontri che avrò oggi stesso. Ci vedremo presto a Bologna.»
Il primo degli incontri annunciati avviene in chiesa. Don Vincenzo Cioni dedica il lunedì mattina alla confessione dei parrocchiani. Ma solo fino a mezzogiorno. Per lo più sono antiche donne di montagna che ancora si presentano vestite di scuro e con il fazzoletto in testa, chi allacciato sulla nuca e chi sotto il mento. C’è il caso che non lo tolgano nemmeno per andare a letto.
Da una parte del confessionale ce ne sono tre, sul lato sinistro quattro. Santovito sceglie la sinistra e arriva presto alla grata perché un maresciallo dei carabinieri che si presenta a confessarsi, vestito da maresciallo dei carabinieri, fa un certo effetto. C’è qualcosa che non va e le antiche signore di montagna non si fidano: si segnano e lasciano la chiesa. Si confesseranno poi.
«Nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo. Da quanto tempo non ti confessi?»
«Non lo so, don Vincenzo, ma non sono qui per confessarmi. Ho qualche domanda da farle...»
Don Vincenzo ci mette qualche secondo e poi: «Perché non è venuto in canonica, maresciallo?».
«Perché in confessionale non si dicono bugie. Don Vincenzo, sua nipote Imelde se ne andò prima o dopo il massacro alle Piane?»
«Non mi sembra questo il luogo...»
«Don Vincenzo, siamo alla fine di una brutta storia. O mi risponde qui o a Bologna, al comando. E non sarebbe una bella cosa che si presentassero in chiesa due carabinieri a prelevarla.»
Il parroco è a disagio e si agita e sbuffa, chiuso nel confessionale. Poi si decide: «Imelde lasciò il paese il giorno prima che accadesse quel brutto fatto. La caricai io stesso sul carro del Frabbone che andava a Bologna con un carico di rottami di ferro...».
«Così lei mi assicura, e lo fa in confessionale e in piena coscienza, che la notte delle Piane, Imelde non era più in paese.» Forse il parroco annuisce, ma Santovito non vede nell’ombra del confessionale. «Cos’ha risposto?»
«Glielo giuro sul crocefisso» mormora in un sospiro. Dopo una pausa: «Lo chieda al Frabbone», ma Santovito non lo sente, non è più oltre la grata. Lo chiederà al Frabbone. Ci sta andando.
Il fabbro ha appena scolato un tegame di maccheroni. Che scarica in una terrina. Due porzioni abbondanti. Ci sbatte sopra un condimento profumato di prosciutto e sugo di pomodoro, una manciata di formaggio grattugiato e rimescola.
«Hai invitati a pranzo?»
«No, ma dove mangia uno, possono mangiare in due. Vuoi favorire, maresciallo?» Santovito scuote il capo. «Un bicchiere...»
«Non si rifiuta.»
Il Frabbone versa, siede, impugna la forchetta, chiede: «Come mai?».
«Un paio di domande, Frabbone...»
«Sì, io intanto mangio, se non te n’hai a male.»
«Fai come a casa tua» e il maresciallo siede al tavolo, davanti al Frabbone, e lo guarda fisso. Un sorso e poi: «Quando se ne andò Imelde dal paese?».
Il Frabbone non se l’aspettava. Aveva già messo in bocca una forchettata di maccheroni grondanti sugo. Smette di masticare, la forchetta dritta davanti al viso, e borbotta: «Questa poi...». Posa la forchetta sul bordo della terrina, si appoggia allo schienale, incrocia le braccia sul petto. «Come pretendi che me lo ricordi, eee, maresciallo? Sai quanti anni sono passati?»
«Sedici, Frabbone, ma te lo devi ricordare per forza. Un fatto così non capita tutti i giorni...»
«Quale fatto, maresciallo?»
«Le Piane, Frabbone, le Piane!»
«Perdio, sei come un cane che ha preso la faina per il collo, tu. Non la molli.»
«No, se posso. Imelde se n’è andata dal paese prima o dopo le Piane?»
Il Frabbone non risponde subito. Guarda i maccheroni e ne mette in bocca una forchettata. Mastica lento e borbotta: «Hai ragione, me lo ricordo sì, me lo ricordo perché quando, il giorno dopo, tornai da Bologna, era appena capitato e in paese non si parlava che delle Piane e del Patriarca e della fine che aveva fatto tutta la sua porca famiglia». Si ferma a pe...