Il grande ritratto
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Il grande ritratto

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il grande ritratto

Informazioni su questo libro

In un misterioso centro di ricerche si sta approntando la Macchina Pensante, ma la geniale invenzione si dimostra alla fine una folle, allucinata utopia devastatrice. I temi tipici di Buzzati in uno sconcertante romanzo fantascientifico dominato dall'inquietudine e dal senso di straniamento.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804451068

Il grande ritratto

I

Nell’aprile 1972 il professor Ermanno Ismani, di 43 anni, ordinario di elettronica all’università di X, uomo piccolo, grasso, di umor gaio, ma pauroso, ricevette una lettera del ministero della difesa che lo pregava di conferire con il colonnello Giaquinto, capo dell’Ufficio studi. L’invito aveva carattere d’urgenza.
Senza lontanamente immaginare di che cosa si trattasse, Ismani, il quale verso l’autorità costituita aveva sempre avuto un complesso di inferiorità, si affrettò il giorno stesso al ministero.
Non c’era mai stato. Col suo solito impaccio si affacciò nell’anticamera. Subito un piantone in divisa gli si fece incontro chiedendogli che cosa desiderasse. Lui fece vedere la lettera.
Per incanto, dopo un’occhiata alla carta, il piantone, che lo aveva interpellato in modo alquanto brusco (trascurato nel vestire, goffo nei movimenti, Ismani sembrava un tipo da prendere sotto gamba) divenne un altro. Si scusò, pregò Ismani di attendere un momento e si precipitò in una stanza vicina.
Venne un sottotenente che chiese di vedere la lettera, la lesse, fece un sorriso vagamente imbarazzato, e con accentuato ossequio pregò Ismani di seguirlo.
“Ma cosa c’è in questa lettera di così strano?”, si domandava Ismani un po’ intrigato. “Perché, dopo averla vista, mi trattano come un pezzo grosso?” A lui era parsa una qualsiasi comunicazione d’ufficio.
Questa considerazione quasi timorosa si rinnovò anche da parte degli altri ufficiali, di grado via via crescente, nei successivi uffici per cui Ismani venne fatto passare. Aveva perfino la sgradevole impressione che ciascuno di quegli ufficiali, non appena vista la lettera, avesse premura di passare la faccenda ad altri, più autorevole: quasi che lui, Ismani, fosse un personaggio da trattare con tutti i riguardi, ma incomodo, se non addirittura pericoloso.
Il colonnello Giaquinto doveva avere una straordinaria autorità, assai superiore a quanto lasciasse presumere il suo grado, tante furono le barriere di controllo che Ismani dovette varcare per raggiungerlo.
Giaquinto, un uomo sui cinquanta, che vestiva in borghese, lo accolse con deferenza. Non c’era nessuna necessità, disse, che Ismani si affrettasse tanto. L’urgenza a cui si faceva allusione nella lettera, era una formalità consueta a quasi tutte le pratiche del suo ufficio.
«Per non farle perdere tempo, professore, le spiegherò subito la cosa. O meglio», e qui fece un risolino allusivo, «o meglio le prospetterò i termini della questione che il ministero intende sottoporle. Di che cosa si tratta veramente, io stesso non lo so. In certi settori, lei professore capirà, le cautele non sono mai eccessive. Anzi, al proposito, le farò notare che a qualsiasi altro verrebbe chiesto un preventivo impegno d’onore alla più rigorosa segretezza... ma nel caso suo, professore... la sua personalità... i suoi titoli... il suo passato di combattente... il suo prestigio...»
“Ma dove vuole andare a parare?”, si chiese Ismani, che sentiva crescere il disagio. Disse: «Colonnello, mi scusi, io non capisco».
Il colonnello lo guardò con vaga ironia, si alzò dallo scrittoio, trasse di tasca un mazzetto di chiavi, aprì un massiccio mobile metallico, ne trasse una cartella, tornò alla scrivania.
«Ecco qui», disse consultando dei fogli scritti a macchina. «È disposto lei, professore Ismani, a rendere un servizio al Paese?»
«Io? E come?» Il sospetto di un grossolano equivoco sembrava sempre più attendibile.
«Non ne dubitavamo, professore» disse Giaquinto. «I suoi sentimenti non sono un mistero in alto loco. Proprio per ciò su di lei facciamo affidamento.»
«Ma io... proprio, non afferro...»
«Sarebbe disposto lei, professore» chiese il colonnello con mutato accento, scandendo le parole, «sarebbe disposto a trasferirsi per un periodo minimo di due anni in una delle nostre zone militari per partecipare a un lavoro di superiore interesse nazionale, oltre che di eccezionale valore scientifico? Per quanto riguarda la sua posizione universitaria, lei figurerebbe in missione ufficiale con l’intero stipendio, ben s’intende, più una cospicua indennità di missione, la cifra esatta non sono in grado di specificarla ma si aggirerebbe sulle 20-22 mila lire al giorno.»
«Al giorno?» fece Ismani sbalordito.
«Per di più un alloggio spazioso e confortevole, dotato di ogni comodità moderna. La località, leggo qui, è quanto mai salubre e ridente. Una sigaretta?»
«Grazie, non fumo. Ma di che lavoro si tratta?»
«Nella designazione stessa del ministero è implicito, mi sembra, che si sia tenuta presente la sua specifica competenza... Espletata la missione, naturalmente, il governo non mancherà di manifestare in forma tangibile... tenuto anche conto dell’innegabile sacrificio della residenza...»
«Perché? Non potrei muovermi di lì?»
«L’importanza stessa del compito...»
«Per due anni? E l’università? Le lezioni?»
«Posso assicurarle, benché io, come le ho detto, non conosca la natura dell’impresa, che le sarà offerta l’occasione di ricerche oltremodo interessanti... Ma per essere sincero devo aggiungere che qui non si sono mai avuti dubbi su quale sarebbe stata la sua risposta.»
«E con chi...?»
«Non sono in grado di rispondere. Però posso fare un nome, un grande nome: Endriade.»
«Endriade? Ma si trova in Brasile, adesso.»
«Sì certo, in Brasile, ufficialmente», e il colonnello ammiccò. «No, no, professore, non è assolutamente il caso di agitarsi. Lei è forse un po’ nervoso, vero?»
«Io? Non saprei...»
«E chi non è nervoso oggi con la vita affannosa che si fa? In questo caso, le garantisco, sarebbe del tutto fuori luogo. Si tratta di una proposta, sottolinearlo è mio dovere, lusinghiera. E poi non c’è premura. Lei vada a casa, professore, e continui pure la sua solita vita...», sorrise, «...come se non le avessi detto nulla... come se, mi intenda bene, come se in questo ufficio lei non avesse mai messo piede... Ci pensi, però... Ci pensi... Nel caso, mi dia un colpo di telefono...»
«E mia moglie? Sa, colonnello, lei forse riderà, ma noi siamo sposati da neanche due anni...»
«Complimenti, professore...», il colonnello corrugò le sopracciglia come considerasse un difficile problema, «ma non è detto... se lei personalmente se ne rende garante...»
«Oh, mia moglie è una creatura così semplice, così ingenua, non c’è pericolo che... Oltre al resto, non si è mai interessata dei miei studi.»
«Meglio così, penso», e rise.
«Colonnello, prima di...»
«Dica, dica...»
«Prima di una eventuale decisione in un senso o nell’altro, non potrei...?»
«Saperne qualcosa di più, lei intende dire?»
«Eh sì. Piantare tutto per due anni senza neanche sapere cosa...»
«Ecco, su questo punto, professore, bisogna che lei abbia pazienza. Le posso dare la mia parola che io non so niente di più di quello che le ho detto. Non basta. Lei magari non ci vorrà credere, ma quale sia precisamente il compito che le sarà affidato, temo che in tutto il ministero non ci sia uno solo, uno solo, capisce?, che sia in grado di specificarlo. Sembra assurdo, lo so. Neanche il capo di Stato maggiore, forse... Alle volte la macchina del segreto militare arriva al paradosso. Il nostro compito è di proteggere il segreto. Quello che ci è nascosto dentro, a noi però non deve interessare... Ah ma lei avrà tempo di informarsene, tutto il tempo che vuole, in due anni, direi...»
«Ma scusi: allora come avete fatto per esempio a scegliermi?»
«Noi? Non siamo mica stati noi. La indicazione, il suggerimento è venuto dalla zona stessa.»
«Da Endriade?»
«Non mi faccia dire quello che non ho detto, professore. Può darsi che sia stato Endriade ma di preciso non lo so... No, no, professore, non c’è fretta. Lei torni ai suoi studi come se manco le avessi detto una parola. E grazie di essere venuto. Non voglio farle perdere altro tempo.» Si alzò per accompagnare Ismani alla porta. «Non c’è assolutamente fretta... Però ci pensi, professore. E nel caso...»

II

La proposta fece piombare il professore Ismani in un abisso di apprensioni. Se avesse obbedito all’istinto, che lo portava solo alla quiete, alla conservazione delle res sic stantes, alla regola di un’esistenza senza scosse e sedentaria, avrebbe risposto di no immediatamente.
Ma la stessa sua pavidità lo induceva ad accettare. Uomo onesto se ce n’era mai, se l’idea di essere sbalestrato per due anni in una destinazione misteriosa, per un lavoro che magari non gli andava a genio, sotto la pesante costrizione del segreto, in mezzo a gente sconosciuta (perché Endriade, luminare della fisica, lo aveva visto appena un paio di volte nella baraonda dei congressi), se questa idea gli incuteva sentimenti prossimi al terrore, ancora più difficile era per lui sottrarsi a quello che gli era stato prospettato come suo dovere di cittadino e di scienziato.
In guerra era stato un valoroso, ma non per un naturale sprezzo del pericolo. Anzi. Era sempre stata la paura di apparire pusillanime, di venir meno alla consegna, di non meritare la fiducia che gli dimostravano i soldati, di essere indegno del suo grado, a fargli superare, con patemi d’animo indicibili, l’altra paura, quella fisica, del fuoco nemico, delle ferite, della morte. Ora si trovava nelle stesse condizioni.
Corse a casa per confidarsi con la moglie, Elisa, più giovane di lui di 15 anni, ma di gran lunga più matura e forte nell’affrontare i problemi della vita.
Era Elisa una donna di statura non alta, piuttosto grassottella, ma solida. Il suo volto largo e tondo esprimeva in ogni circostanza una placida e rasserenante decisione. Dovunque capitasse, pur nei luoghi più inospitali e incomodi, dopo pochi minuti aveva l’aria di trovarsi a suo perfetto agio. Dove lei arrivava, di un subito l’inquietudine, lo sporco, il disordine, il disagio sparivano inesplicabilmente. Come moglie, era per Ismani, così sguarnito nella vita pratica e preoccupato per qualsiasi inezia, una incalcolabile fortuna. Proprio il contrasto fra i due temperamenti, come spesso succede, era il primo motivo, probabilmente, del grande bene che si volevano a vicenda. E a rendere felice quell’unione contribuiva certo il fatto che Elisa non era andata oltre la scuola media, non aveva la più lontana idea degli studi del marito e, pur ritenendolo un genio, del suo lavoro non si interessava se non per impedirgli di stare alzato alla sera troppo tardi.
Non fece in tempo a entrare in anticamera che lei, fattasi incontro in grembiule con un cucchiaio in mano, gli puntò un indice in direzione della fronte.
«Non parlare. Lo so già. Ti hanno proposto un lavoro nuovo.»
«E come fai a saperlo?»
«Oh, uomo mio, basta guardarti in faccia, sembri Napoleone in partenza per Sant’Elena.»
«Chi te l’ha detto?»
«Che cosa?»
«Di Sant’Elena.»
«A Sant’Elena dovresti andare?», un’ombra passò sul suo sorriso.
«Una specie di Sant’Elena, proprio. Ma non parlarne con nessuno. Se si sapesse in giro, potrei avere dei guai.»
Fece uno scarto, aprì di colpo l’uscio che si era chiuso da solo alle sue spalle, si affacciò sulle scale, guardò giù.
«Che cosa fai?»
«Mi era sembrato di sentire un passo.»
«E allora?»
«Non vorrei che ci fosse stato qualcuno ad ascoltare.»
«Ma mi spaventi, Ermanno, ma allora è proprio una faccenda seria...», rise vivamente. «Vieni di qua, vieni di qua in cucina e raccontami. Qui non ci ascolta nessuno, garantito.»
Con una certa difficoltà, perché aveva in testa una grande confusione, Ismani riferì il colloquio con Giaquinto.
«E tu hai accettato, vero?»
«Perché?»
«Oh uomo, uomo, figurati se non accetti!»
«Per lo stipendio che mi danno, dici?», fece lui deluso perché ci teneva sempre ad essere superiore alla volgarità dei soldi.
«Macché per lo stipendio. Il dovere... la missione... l’amor patrio... oh hanno saputo prenderti dalla parte giusta, hanno saputo, mica che io ti dia torto sai...», scoppiò in una risata, «con più di seicentomila lire al mese, senza contare lo stipendio...»
«Hai già fatto il conto, tu?», disse lui, sentendosi, chi sa perché, rasserenato.
«E quando mai te la saresti sognata una paga simile? Mi par già di vederli i tuoi colleghi con la faccia gialla per l’invidia. Ma cos’è? Un impianto atomico?»
«Non mi hanno detto niente.»
«Se c’è tanta segretezza, sarà la bomba atomica... Ma tu... ma tu di quelle faccende te ne intendi? Non direi c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il grande ritratto
  3. Introduzione - di Maurizio Vitta
  4. Antologia della critica
  5. Cronologia
  6. Bibliografia
  7. Il grande ritratto
  8. Copyright