
- 224 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
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Il letto di Alice
Informazioni su questo libro
Alice non è più una bambina, ha abbandonato il Paese delle Meraviglie ed è diventata seducente, irresistibile, irriverente verso il mondo dei maschi. Nella sua camera d'ospedale - dove è costretta all'immobilità da una malattia misteriosa - entrano ed escono genitori stravaganti, innamorati respinti, spasimanti bizzarri, e poi medici sedotti e seduttori, infermiere impertinenti, scocciatori di varia natura. Il suo letto diventa così un folle volano, un osservatorio da cui il lettore può intuire gli spazi smisurati dei desideri non detti, i sentimenti intatti che durano lo spazio di un minuto, le fantasie amorose rese più trasgressive dall'insolita condizione. Il letto di Alice è una storia di grande intensità e straordinaria forza satirica, che dalla piccola camera della protagonista ci avverte che la vita deve essere giocata, ora e subito.
Domande frequenti
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Informazioni
I
Cara Katie,mia madre mi ha detto che sei stata finalmente ricoverata. È terribile? Lo so, non ti ho più rivolto la parola dal giorno in cui mi hai tirato addosso quel piatto, ma ti ho pensata. E comunque, da quel giorno – e sai bene che tutto quello che dissi fu “Ciao”: non capisco che cosa ti abbia fatta infuriare a quel modo – a quanto pare mi sono ammalata anch’io.È successo circa due settimane dopo che ci siamo viste, al mio rientro al Sarah Lawrence. Stavo facendo la baby-sitter; mi sono alzata per prendere un bicchiere d’acqua per il moccioso e sono caduta! Sono crollata a terra. Dolore, dolore e ancora dolore alle gambe. Il padre del ragazzino mi ha accompagnata a casa, malgrado dovessi soltanto attraversare la strada. Ho letteralmente strisciato – come uno scarafaggio – in bagno, a letto, al telefono quando il giorno dopo si è messo a squillare. Fortunatamente era un’amica di mia madre, e mi chiedeva se volevo un passaggio per Westport. È venuta a prendermi, mi ha aiutata a salire in macchina e mi ha accompagnata a casa, dove sono rimasta a letto un mese intero.I dottori non avevano idea di che cosa mi fosse successo. Dapprima hanno creduto che si trattasse di un’infezione, e mi hanno infilato una siringa nel fianco per estrarne il pus. Ci hanno provato due volte, ma niente pus. Allora mi hanno messa in trazione, con questo congegno antidiluviano. Sembrava uno di quegli elettrodomestici pubblicizzati alle ore piccole in tivù: “Affetta! Taglia! Pesta! Monta!”. L’hanno sistemato sul mio letto. Sul letto dei miei, a dire il vero; la mia camera è troppo umida, e una delle pareti sta perdendo l’intonaco (problemi idraulici, credo). Comunque sia, i miei poveri genitori si sono dati il cambio, dormendo uno nella camera degli ospiti e uno sul pavimento accanto a me. È stato molto strano, perché circa tre settimane prima si erano separati. Per questa ragione, mio padre pensa che l’intera faccenda sia psicologica. Si sente molto in colpa. Chiaro, si sente comunque in colpa per aver lasciato mia madre. Ma io sono felice che si siano finalmente separati. Erano dieci anni che litigavano, perché farne una tragedia? A loro, però, non posso dirlo. Non a mio padre, perlomeno: è talmente serio.E così ho dormito per un mese in quel letto fradicio. C’era una tale umidità. E io sudavo molto perché avevo la febbre. Un tempo le scarpe che tenevo nell’armadio si ammuffivano, al punto che ho temuto di vedermi crescere il muschio sulle gambe, ma non è successo. Credo di avere una specie di artrite – è quello che ti dicono quando non trovano il pus e non hanno idea di che cosa si tratti – ed è probabile che l’umidità me l’abbia addirittura peggiorata.Il bagno era a quattro passi dal letto – lo so perché li ho contati – ma per arrivarci dovevo usare il deambulatore. A volte mi posavo dei termofori sui fianchi, e quando non funzionavano mi facevo impacchi di ghiaccio, e quando anche questi non funzionavano mi rimettevo i termofori. Mi aiutava a passare il tempo e a sviluppare la coordinazione mano-occhio.Mio padre russava per terra e saltava su gridando “Che? Chi?” al minimo rumore, e ogni volta che gemevo mia madre si precipitava dalla parte opposta della casa. Non so come facessero a sentirmi.Prenderò “non classificabile” in tutte le materie, e quest’estate dovrò ovviamente rinunciare al viaggio a Firenze con Cindy. Anche lei si sentiva in colpa, visto che ci va in ogni caso, e allora è venuta qui per un fine settimana. Ha cercato di intrattenermi ballando intorno al letto vestita soltanto di borse per il ghiaccio e cantando canzoni di Carmen Miranda. Ha avuto un discreto successo.Avevo sempre la febbre – circa 39 – e così i dottori hanno deciso che fosse meglio ricoverarmi in ospedale. L’ambulanza sembrava una giardinetta. Tragitto in barella fino all’auto molto doloroso. Caricata sul retro, mi sono sentita come la spesa al supermercato. Ho urlato parecchio.Mi credono tutti un’isterica. Tranne i miei, naturalmente. Suppongo che nessuno riesca a immaginare una simile sensibilità al dolore. In effetti sembra eccessiva: tanto per darti un’idea, soffro quando la barella passa sopra le crepe del pavimento di linoleum.Eccomi qui in ospedale, dunque. A New York, perché pare che il dottore sia bravo. In un angolo della stanza c’erano dei mozziconi di sigaretta, e ancora non si è capito quale sia il mio problema. Non vogliono darmi sedativi perché sono ancora troppo giovane.Ti scriverò di nuovo, quando avrò notizie più allegre. E tu mi scriverai? So che questa è una lettera molto egocentrica, e che al momento è centrata su un ego non particolarmente interessante – più che altro piango, urlo e cerco di trattenere la pipì, perché camminare fino al bagno fa troppo male –, ma è pur sempre una lettera.Con amore,Alice
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- I
- II
- Copyright