
- 196 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La signora Dalloway
Informazioni su questo libro
Clarissa Dalloway, moglie di un deputato conservatore, prepara la sua festa per la sera; Septimus Warren Smith, sopravvissuto alla "grande guerra", nel frattempo passeggia con la moglie Rexia a Regent's Park in preda ai suoi deliri. Nulla sembra legare i due, se non la città di Londra. I due senza incontrarsi, ma passando per gli stessi luoghi, tessono il filo sottile di corrispondenze, di echi ed emozioni che crea il romanzo.
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Informazioni
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9788804570233eBook ISBN
9788852056307La signora Dalloway
La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei.
Quanto a Lucy aveva già il suo daffare. Si dovevano togliere le porte dai cardini; gli uomini di Rumpelmayer sarebbero arrivati tra poco. E poi, pensò Clarissa Dalloway, che mattina – fresca come fosse stata coniata nuova di zecca per dei bambini su una spiaggia.
Che emozione! Che tuffo al cuore! Sempre così le era sembrato, quando con un leggero cigolio dei cardini, lo stesso che sentì proprio ora, a Bourton spalancava le persiane e si tuffava nell’aria aperta. Com’era fresca, calma, più ferma di qui, naturalmente, l’aria la mattina presto, pareva il tocco di un’onda, il bacio di un’onda; fredda e pungente, e (per una diciottenne com’era lei allora) solenne, perché in piedi di fronte alla finestra aperta lei aveva allora la sensazione che sarebbe successo qualcosa di tremendo, mentre continuava a fissare i fiori, e gli alberi che emergevano dalla nebbia che a cerchi si sollevava fra le cornacchie in volo. E stava lì e guardava, quando Peter Walsh disse: «In meditazione tra le verze?». Disse così? O disse: «Io preferisco gli uomini ai cavoli»? Doveva averlo detto a colazione una mattina che lei era uscita sul terrazzo – Peter Walsh. Stava per tornare dall’India, sì, uno di questi giorni, in giugno o luglio forse, non ricordava bene, perché le sue lettere erano così noiose; ma certe sue espressioni rimanevano impresse, e gli occhi, il temperino, il sorriso, e quel suo modo di fare scontroso, e tra milioni di cose ormai del tutto svanite – com’era strano! – alcune espressioni, come questa dei cavoli.
Si irrigidì appena sul marciapiede, aspettando che passasse il furgone di Durtnall. Una donna affascinante, pensò di lei Scrope Purvis (che la conosceva come ci si conosce tra vicini a Westminster); somigliava a un uccello, a una gazza verde-azzurra, esile, vivace, malgrado avesse più di cinquant’anni, e le fossero venuti tanti capelli bianchi dopo la malattia. Se ne stava posata lì, senza neppure vederlo, in attesa di attraversare la strada, ben diritta.
Quando si vive a Westminster – da quanti anni ormai? più di venti – anche in mezzo al traffico, o svegliandosi di notte, Clarissa non aveva dubbi, prima dei rintocchi del Big Ben, si sentiva un silenzio particolare, una speciale solennità, un indescrivibile arresto, una sospensione (ma forse era semplicemente il suo cuore indebolito, dicevano, dall’influenza). Ecco! Rimbombò forte. Prima un’avvisaglia musicale; poi l’ora, irrevocabile. I cerchi di piombo si dissolsero nell’aria. Come siamo sciocchi, pensò lei, attraversando Victoria Street. Dio solo sa perché ci piace tanto, perché la vediamo così, ce la inventiamo, la fantastichiamo, la facciamo e disfacciamo ogni momento diversa; e così fanno anche le donne più disgraziate, gli uomini più miserabili, buttati su un marciapiede (inebetiti a forza di bere); e non ci sono atti del Parlamento che tengano, proprio per questa ragione, ne era sicura: perché anche loro amano la vita. Gli occhi della gente, il loro andamento lento, faticoso, il chiasso e il frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; il trionfo e il tripudio e il canto stranamente acuto di un aereo, ecco ciò che amava: la vita, Londra, quell’attimo di giugno.
Perché era la metà di giugno. La guerra era finita, eccetto che per qualcuno, come la signora Foxcroft che l’altra sera all’ambasciata si dannava l’anima perché quel caro ragazzo era stato ucciso, e ora la casa sarebbe andata al cugino; o come Lady Bexborough, che aveva, dicevano, inaugurato una fiera di beneficenza con il telegramma in mano: John, il suo prediletto, ucciso. Ma era finita, grazie al cielo – finita. Era giugno. Il Re e la Regina erano a Palazzo. E dovunque, anche se era ancora presto, si sentiva nell’aria il fremito, lo slancio dei puledri al galoppo, il battere delle mazze da cricket; Lords, Ascot, Ranelagh e tutti gli altri campi, avvolti nella soffice garza dell’aria del mattino grigio azzurra, che, col procedere del giorno, si sarebbe diradata, scatenando per prati e declivi i puledri vigorosi che sfioravano appena il terreno con gli zoccoli, e su, saltavano i giovanotti e delle ridenti fanciulle in abiti d’organza trasparenti, pur avendo ballato tutta la notte, eccole lì che portavano a passeggio i loro assurdi cani lanosi; e, sempre a quest’ora, anziane, riservate vedove sfrecciavano nelle loro auto verso faccende misteriose; mentre i negozianti s’industriavano a mettere in vetrina bigiotteria e strass, e certe graziose vecchie spille color verde mare, stile diciottesimo secolo, per tentare gli americani (ma bisognava essere parsimoniosi, non si dovevano fare spese avventate per Elizabeth); e anche lei, che l’amava, come l’amava, di una passione assurda e fedele, e ne era parte, poiché i suoi erano stati a Corte al tempo dei re Giorgio, anche lei quella sera si sarebbe accesa, illuminata – per la sua festa. Com’erano strani, entrando nel parco, il silenzio, la nebbia, il rumore, le anatre lente nel nuoto, felici, i trampolieri panciuti che si dondolavano goffamente; ma guarda chi si avvicinava, molto appropriatamente, venendo dai palazzi del Governo, con tanto di catena adorna dello stemma reale! Chi se non Hugh Whitbread, il suo vecchio amico Hugh – il mirabile Hugh!
«Buongiorno a lei, Clarissa!» disse Hugh, con tono piuttosto enfatico visto che si conoscevano da bambini. «Dov’è diretta?»
«Mi piace passeggiare per Londra» rispose la signora Dalloway. «In realtà, è più bello che in campagna.»
Erano appena tornati a Londra – purtroppo – per consultare dei medici. C’era chi veniva per andare a una mostra, o all’opera, per accompagnare le figlie in società… I Whitbread invece venivano per andare “dal medico”. Innumerevoli volte Clarissa era andata a trovare Evelyn Whitbread in clinica. Evelyn stava di nuovo male? Evelyn aveva un certo disturbo, disse Hugh lasciando intendere, da una specie di broncio, dal gonfiarsi di tutta la sua persona ben ricoperta, virile, estremamente elegante, perfettamente imbottita (era sempre quasi troppo ben vestito, ma probabilmente doveva, vista la sua carica a Corte), che sua moglie soffriva di una qualche indisposizione interna, niente di grave – Clarissa Dalloway, da vecchia amica, avrebbe senz’altro capito al volo, senza che lui dovesse specificare. Ah, sì, capiva, naturalmente; ma che fastidio, e si sentì molto partecipe, e allo stesso tempo stranamente conscia del suo cappello. Forse non era il cappello adatto per la mattina presto, chissà! Perché Hugh, quando si agitava come ora, togliendosi il cappello con quel gesto stravagante, e assicurandole che sembrava una diciottenne, e sì, senz’altro sarebbe venuto al ricevimento stasera, Evelyn voleva assolutamente venire, solo avrebbero forse fatto un po’ tardi, dopo il ricevimento a Palazzo, dove doveva assolutamente accompagnare uno dei figli di Jim – la faceva sentire… Sì, si sentiva inadeguata di fronte a Hugh, un’educanda. Eppure gli era affezionata, in parte perché lo conosceva da sempre, ma anche perché pensava che fosse una brava persona; però faceva impazzire Richard, e quanto a Peter Walsh, non l’aveva mai perdonata del fatto che lo trovasse simpatico.
Si ricordava tante di quelle scenate a Bourton – Peter era impulsivo; Hugh no, naturalmente; non alla sua altezza, in nessun senso, ma neppure il perfetto imbecille che diceva Peter; non proprio un manichino. Se la vecchia madre insisteva che lasciasse perdere la caccia per accompagnarla a Bath, obbediva senza fiatare; era davvero generoso, e quanto a sostenere, come Peter, che non aveva né cuore, né cervello, solo le buone maniere e l’educazione di un gentiluomo inglese, era proprio il caro vecchio Peter al suo peggio, che, quando voleva, sapeva essere intollerabile, addirittura impossibile. Ma adorabile, a passeggiarci insieme in una mattina come questa.
(Giugno aveva fatto spuntare le foglie agli alberi. Le madri di Pimlico allattavano i loro piccoli. Dalla Marina all’Ammiragliato era tutto un andirivieni di messaggi. Arlington Street e Piccadilly sembravano infuocare l’aria del parco e col calore sollevare le foglie lucenti sull’onda di quella vitalità divina che Clarissa amava tanto. Danzare, cavalcare, lei adorava tutto ciò.)
Avrebbero potuto stare lontani anche cent’anni, lei e Peter; lei non gli aveva scritto neppure una lettera, e le lettere di lui non erano un granché; ma poi d’improvviso pensava: se fosse qui con me adesso, che direbbe? Certi paesaggi, certe giornate glielo riportavano alla mente, ma con calma ora, senza l’antica amarezza – il che forse era la ricompensa del suo volere bene alla gente; e si ritrovavano insieme, nel bel mezzo di St James Park, in una bella mattinata, proprio come adesso. Ma Peter – non importa quanto fosse bella la giornata, e gli alberi e l’erba, e la fanciulla vestita di rosa – Peter non vedeva mai nulla. Se lei glielo chiedeva, si metteva gli occhiali; guardava. Ma era lo stato del mondo che gli interessava: Wagner, la poesia di Pope, il carattere della gente, e i difetti dell’anima di lei. Come la rimproverava! Quanto litigavano! Avrebbe sposato un primo ministro, sì, già la vedeva in piedi, immobile, in cima a una scalinata, una perfetta padrona di casa, la definiva (lei aveva pianto per questo nella sua stanza); sì, aveva proprio la stoffa di una perfetta padrona di casa, diceva.
Ed ecco che anche adesso si ritrovava a litigare con lui nel parco, a convincersi ancora una volta che aveva avuto ragione – non poteva essere altrimenti – a non sposarlo. Nel matrimonio ci vuole un po’ di libertà, di indipendenza tra persone che devono vivere insieme giorno dopo giorno nella stessa casa. Richard gliela dava, e lei a lui. (Dov’era stamani, ad esempio? a una riunione forse, lei non chiedeva mai quale riunione.) Con Peter invece bisognava condividere tutto, andare al fondo di ogni cosa. Era intollerabile, e quando si arrivò a quella scena in giardino, alla fontana, fu costretta a rompere con lui o si sarebbero distrutti a vicenda, sarebbe stata una catastrofe, ne era convinta, anche se poi per anni s’era portata dentro il dolore, l’angoscia, come una freccia conficcata nel cuore. E poi l’orrore di quell’attimo, quando a un concerto qualcuno le aveva detto che s’era sposato con una donna conosciuta sulla nave che lo portava in India! Non se lo sarebbe mai dimenticato! Fredda, senza cuore, ipocrita, la chiamava lui. Non era mai riuscita a capire perché gli importasse di lei. Ma di quelle donne indiane gli importava evidentemente – stupide, carine, e frivole com’erano. Ma sprecava la sua pietà. Perché lui era senz’altro felice, ne stesse certa – assolutamente felice, anche se non aveva fatto nulla di quello di cui avevano parlato, e la sua vita era stata un fallimento. Lei ancora se ne adirava.
Era arrivata ai cancelli del parco. Si fermò un attimo, a guardare gli autobus a Piccadilly.
Non avrebbe mai più detto che uno è così o cosà. Si sentiva molto giovane; e al tempo stesso indicibilmente vecchia. Affondava come una lama nelle cose; e al tempo stesso ne rimaneva fuori, osservava. Aveva l’impressione costante, anche ora guardando i taxi, di essere lontana, lontanissima, in mare aperto, e sola. Sempre aveva l’impressione che vivere, anche un solo giorno, fosse molto, molto pericoloso. Non che si sentisse particolarmente intelligente, o straordinaria. Anzi, non capiva proprio come fosse riuscita a cavarsela nella vita con quelle poche briciole di conoscenza che Fräulein Daniels le aveva dato. Non sapeva nulla, né un’altra lingua, né la storia; a malapena leggeva ormai, a parte alcuni libri di memorie la sera, a letto; ma tutto la assorbiva, tutto, anche i taxi che passavano; e comunque non intendeva dire né di Peter, né di se stessa, io sono questo, io sono quello.
L’unico talento che aveva era di riconoscere la gente come d’istinto, pensò, riprendendo a camminare. Se la mettevano in una stanza con qualcuno, si arricciava come un gatto, o faceva le fusa. Devonshire House, Bath House, la casa con i cacatua di porcellana, le aveva viste tutte con le luci accese una volta; e si ricordava di Sylvia, di Fred, di Sally Seton – orde di gente, e balli che duravano tutta la notte; e poi i carri, che arrancavano verso il mercato, e il ritorno a casa in automobile attraverso il parco. Si ricordava di una volta, quando aveva gettato uno scellino nella Serpentine. Tutti hanno dei ricordi; ma quello che lei amava era qui, ora, di fronte a lei, quella grassa signora in taxi. E allora che importava, si chiese, andando verso Bond Street, che importava, se doveva ineluttabilmente cessare di esistere, e tutto sarebbe continuato senza di lei; le dispiaceva, forse? O non la consolava piuttosto credere che con la morte finisce tutto, completamente? ma in un qualche modo, per le strade di Londra, nel flusso e riflusso di tutte le cose, qui, là, lei sarebbe sopravvissuta, e Peter anche, l’uno nell’altro, lei in quanto parte, ne era certa, degli alberi di casa sua; o anche di quella casa laggiù, brutta e cadente com’era; parte della gente che non aveva mai incontrato, sospesa come una nebbia tra la gente che conosceva bene, che la reggeva come aveva visto fare agli alberi con la nebbia; ma la sua vita, lei, si stendevano così lontano… Che cosa sognava ora, mentre guardava le vetrine della libreria Hatchards? Che cosa stava tentando di recuperare? Quale immagine di alba, bianca, in campagna, mentre nel libro aperto leggeva:
Non temere la vampa del sole,Né la furia scatenata dell’inverno.
Questa tarda età dell’esperienza del mondo aveva scavato in tutti loro, uomini e donne, un pozzo di lacrime. Dolore e lacrime; coraggio e resistenza; un contegno perfettamente eretto e stoico. Pensate, ad esempio, alla donna che più ammirava, Lady Bexborough, che inaugurava la fiera di beneficenza.
In vetrina c’erano Feste e festeggiamenti di Jorrocks, la Spugna insaponata e le Memorie della signora Asquith, e Caccia grossa in Nigeria, tutti aperti. I libri erano tanti, ma nessuno che sembrasse quello giusto da portare a Evelyn Whitbread in clinica. Niente che potesse divertirla, che potesse, anche per un solo istante, al sopraggiungere di Clarissa, fare di quella donnina indescrivibilmente arida, un essere cordiale – prima che ricominciasse la solita interminabile chiacchiera sulle malattie femminili. Come le piaceva – che la gente dimostrasse di gradire la sua presenza, pensò Clarissa, e girò e tornò indietro verso Bond Street, seccata perché era sciocco avere dei secondi motivi nel fare le cose. Piuttosto avrebbe preferito essere come Richard, che faceva le cose per le cose stesse, mentre, pensò, aspettando di attraversare la strada, per metà del tempo lei non faceva le cose semplicemente per le cose stesse, ma perché la gente pensasse questo o quello; perfetta idiozia lo sapeva (ora il vigile aveva alzato la mano), perché nessuno ci cadeva nemmeno per un attimo. Oh! se avesse potuto ricominciare a vivere daccapo! pensò, salendo sul marciapiede, come sarebbe stata diversa!
Prima di tutto, sarebbe stata bruna come Lady Bexborough, con la stessa carnagione di cuoio grinzoso, e quegli occhi meravigliosi. Come Lady Bexborough, sarebbe stata lenta e solenne; piuttosto corpulenta, interessata alla politica come un uomo, con una casa in campagna; molto seria, molto franca. Lei al contrario era magra come una pertica, aveva una faccina ridicola a becco di uccello. Si manteneva bene, era vero; e aveva delle belle mani e dei bei piedi; e vestiva bene, considerato il poco che spendeva. Ma spesso questo corpo che portava (si fermò a osservare un dipinto olandese), questo suo corpo, con tutte le sue facoltà, le sembrava non valesse nulla – proprio nulla. Ebbe la curiosa impressione di essere invisibile; non vista; non conosciuta; e non c’erano più né matrimonio, né figli, ma soltanto quella stupefacente, e piuttosto solenne processione insieme con tutti gli altri, su per Bond Street; e questo era essere la signora Dalloway, non più Clarissa, ma la moglie di Richard Dalloway.
Bond Street l’affascinava; Bond Street la mattina presto di questa stagione, con le bandiere che sventolavano, i negozi, niente sfoggi, né luccichii; un’unica pezza di tweed nella vetrina del negozio, dove suo padre s’era comprato i vestiti per cinquant’anni; delle collane di perle; un salmone su un blocco di ghiaccio.
«È tutto» disse, guardando la vetrina del negozio di pesce. «È tutto» ripeté fermandosi di fronte alla vetrina di un guantaio dove, prima della guerra, si potevano comprare dei guanti quasi perfetti. Zio William diceva sempre che una signora la si riconosce dalle scarpe e dai guanti. Si era rigirato nel letto una mattina nel mezzo della guerra. Aveva detto: «Ora basta». Guanti e scarpe; aveva una passione, lei, per i guanti, ma a sua figlia, alla sua Elizabeth, non gliene importava niente.
Niente, pensò, continuando per Bond Street, diretta al negozio dove le mettevano da parte i fiori, quando dava una festa. A Elizabeth importava davvero soltanto del cane. Stamani tutta la casa odorava di catrame. Meglio, comunque, Grizzle che la signorina Kilman; meglio il cimurro, il catrame e tutto il resto, che starsene murata in una stanza che puzza di chiuso con un libro di preghiere! Meglio qualsiasi cosa, le veniva da dire. Ma forse era solo una fase, come diceva Richard, di quelle che tutte le ragazze attraversano. Poteva darsi che fosse innamorata. Ma perché della signorina Kilman? La quale, d’accordo, era stata sfortunata, le si poteva concedere tanto, e Richard diceva che era brava, che aveva una mente da storica. Comunque fosse, erano inseparabili, ed Elizabeth, sua figlia, ora faceva la comunione; ma come si vestiva, e come trattava la gente che veniva a pranzo! Non gliene importava niente. Del resto, sapeva per esperienza che le estasi religiose (come anche l...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Virginia Woolf
- Bibliografia
- La signora Dalloway
- Copyright