
- 224 pagine
- Italian
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I turbamenti del giovane Törless
Informazioni su questo libro
In una storia di contrasti e impressionanti violenze di adolescenti all'interno di un collegio militare asburgico, la scoperta delle ambiguità, delle contraddizioni dell'esistenza. E il sinistro presagio dell'imminente tragedia nazista. Il capolavoro giovanile di Musil (1880-1942).
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Informazioni
Print ISBN
9788804361459eBook ISBN
9788852056253I turbamenti del giovane Törless
«Stranamente, nell’attimo in cui pronunciamo alcunché, lo destituiamo di valore. Ci pare d’essere scesi nel profondo degli abissi, eppure non appena riemergiamo, la goccia d’acqua rimasta sulla punta delle nostre dita impallidite non conserva più alcuna somiglianza con quel mare da cui viene. Ci figuriamo di aver scoperto una miniera di tesori portentosi, eppure quando risaliamo alla luce diurna non abbiamo portato con noi altro che pietre false e cocci di vetro; ma ciò malgrado, nella tenebra, il tesoro brilla ancora inalterato.»
Maeterlinck1
Una stazioncina sulla linea ferroviaria che conduce in Russia.
Dritti a perdita d’occhio fra il pietrisco giallognolo dell’ampia massicciata correvano ai due lati quattro tronchi d’acciaio paralleli fra loro; accanto a ognuno, somigliante a un’ombra lercia, la striscia bruna impressa per terra dal vapore di scarico.
Dietro al basso edificio della stazione dipinto a olio una strada larga e dissestata portava su fino alla rampa della stazione. I suoi bordi si confondevano con il suolo circostante, tutto calpestato, e si distinguevano solo per via di due file di acacie che si ergevano mestamente ai due lati, con le foglie riarse e soffocate dalla polvere e dalla fuliggine.
Fossero quelle tinte tristi; oppure fosse la luce del sole pomeridiano, smorta, debole ed estenuata dalla foschia: sta di fatto che le cose e le persone recavano impressa un’apatia, un’inerzia e un nonsoché di meccanico, come provenissero dallo scenario di un teatro di burattini. Di tanto in tanto, a intervalli regolari, il capostazione usciva dal suo ufficio e, sempre con l’identico moto della testa, si volgeva a guardare in lontananza per captare i segnali dalla cabina del casellante, i quali però si ostinavano a non voler annunciare ancora l’arrivo del diretto, che aveva accusato un notevole ritardo alla frontiera; poi, compiendo sempre l’identico gesto del braccio, estraeva l’orologio dal taschino, scuoteva la testa e scompariva di nuovo; tal quale l’andare e venire delle figure che allo scoccare dell’ora sguscian fuori dagli antichi orologi delle torri.
Sulla larga striscia in terra battuta interposta tra i binari e la stazione passeggiava una gaia frotta di giovanotti, procedendo avanti e indietro accanto a una matura coppia di coniugi che formava il centro della conversazione piuttosto chiassosa. Ma anche l’allegria di quel gruppo era poco autentica; il fragore di quelle gioconde risate pareva svanire già pochi passi più avanti e cadere a terra urtando per così dire contro un ostacolo invisibile e duro.
La moglie del consigliere di corte Törless – era lei la signora sulla quarantina – celava dietro la fitta veletta gli occhi tristi lievemente arrossati dal pianto. Era arrivata l’ora della separazione. E a questo punto trovava difficile dover lasciare nuovamente l’unico figlio per tanto tempo fra gente estranea senza poter vegliare in prima persona sul suo tesoro e proteggerlo.
La cittadina distava infatti notevolmente dalla capitale, trovandosi nella parte orientale dell’impero, in una zona agricola scarsamente popolata e arida.
La ragione per cui la signora Törless doveva rassegnarsi all’idea di tenere il suo ragazzo in un luogo così remoto e tanto poco accogliente era che in quella città esisteva un rinomato convitto che già dal secolo precedente, dall’epoca cioè in cui era stato eretto sul terreno di un’Opera pia, era stato lasciato così fuor di mano quasi sicuramente per preservare i giovani, negli anni del loro risveglio, dalle influenze perniciose di una grande città.
Lì infatti ricevevano la loro educazione i figli delle migliori famiglie del paese, per poi passare all’università una volta lasciato l’istituto, oppure per intraprendere una carriera militare o burocratica; e in tutti questi casi, come pure per poter frequentare gli ambienti della buona società, l’essere stati formati nel Convitto di W. costituiva una eccellente credenziale.
Erano stati tali motivi ad aver indotto, quattro anni prima, i coniugi Törless a piegarsi alle ambiziose insistenze del loro ragazzo e a sollecitarne l’ammissione in quell’istituto.
In seguito, simile decisione era costata parecchie lacrime. Il piccolo Törless infatti, quasi sin dal primissimo istante in cui il portone dell’istituto gli si era irrimediabilmente richiuso alle spalle, fu preda di una tremenda e cocente nostalgia. Non riuscivano ad avvincerlo né le lezioni né i giochi sugli sterminati e rigogliosi prati del parco e neppure le altre distrazioni che il convitto offriva agli allievi; lui vi partecipava pochissimo. Vedeva ogni cosa come attraverso un velo, e sovente anche di giorno faceva fatica a ricacciare in gola un singhiozzo ribelle; la sera, comunque, si addormentava sempre tra le lacrime.
Quasi quotidianamente scriveva lettere ai suoi, e soltanto in quelle lettere egli viveva; qualsiasi altra cosa facesse gli appariva soltanto come un evento indistinto e insulso, tappe irrilevanti come le cifre delle ore sul quadrante di un orologio. Viceversa, quando scriveva egli avvertiva in sé qualcosa che evidenziava un nonsoché di esclusivo; come un’isola di soli e colori stupendi, qualcosa in lui emergeva dal mare di bigie sensazioni che giorno dopo giorno facevano ressa intorno a lui, lasciandolo freddo e indifferente.
E quando, nei momenti della giornata in cui durante i giochi o le lezioni egli pensava che alla sera avrebbe scritto la sua lettera, era come se appesa a una catenina invisibile portasse ben celata una chiave d’oro con cui, quando nessuno vedeva, lui avrebbe dischiuso il cancello di giardini incantevoli.
Il fatto strano in tutto ciò era che, in quel subitaneo e divorante moto di tenerezza per i propri genitori, c’era qualcosa di insolito e di sorprendente. Prima di allora non ne aveva avuta la più pallida idea, era entrato di buon grado e spontaneamente in collegio, aveva persino riso allorché la mamma, alla prima separazione, non era riuscita a trattenere le lacrime, e soltanto dopoché già da diversi giorni s’era visto solo trovandosi anche relativamente bene, era esplosa in lui quella reazione repentina ed elementare.
La ritenne una forma di nostalgia, di desiderio ardente dei genitori. Nella realtà era invece qualcosa di assai più vago e complesso. A essere sinceri, infatti, l’«oggetto di quello struggimento», l’immagine dei suoi genitori, non vi trovava più posto alcuno. Mi riferisco qui a quel certo ricordo plastico, che non è semplicemente di natura mnemonica ma è fisico, di una persona amata e che parla a tutti i sensi e viene conservato in tutti i sensi, per cui non si può far nulla senza percepire al proprio fianco la presenza, silenziosa e invisibile, dell’altra persona. Ben presto questo ricordo si smorzò come una risonanza che aveva persistito a vibrare soltanto per un breve intervallo. A quell’epoca Törless, per esempio, non riusciva più a farsi comparire dinanzi agli occhi l’immagine dei suoi “cari, cari genitori” (come di solito li chiamava tra sé). Se tentava di farlo, al posto loro affiorava in lui il dolore sconfinato, il cui struggimento lo castigava e nondimeno lo avvinceva caparbiamente, poiché le sue fiamme brucianti lo martoriavano e insieme lo deliziavano. In quell’occasione il pensiero dei genitori divenne per lui sempre più un semplice motivo occasionale per suscitare in sé quel dolore egoistico che lo richiudeva nel suo orgoglio voluttuoso come nei sacrari reconditi di una cappella in cui da cento ceri ardenti e da cento occhi di immagini sacre venga sparso incenso fra le sofferenze di gente intenta a flagellarsi…
Quando poi la sua “nostalgia” divenne meno veemente, fino a estinguersi a poco a poco, questa sua peculiarità si manifestò anche in modo abbastanza chiaro. La sua scomparsa non fece subentrare una tranquillità finalmente attesa, ma lasciò un vuoto nell’animo del giovane Törless. E da quel nulla, da quel non-riempito che avvertiva in sé, egli s’avvide che non era stato un semplice struggimento a venirgli meno, ma qualcosa di positivo, una forza spirituale ch’era sbocciata in lui con il pretesto della sofferenza.
Ma ormai era acqua passata, e la sorgente di quella prima superiore beatitudine gli si era resa tangibile soltanto grazie al suo inaridirsi.
In quel periodo scomparvero nuovamente dalle sue lettere le tracce appassionate della sua anima che s’era appena destata, e in loro vece subentrarono le minuziose descrizioni della vita in collegio e dei nuovi amici.
Lui, Törless, vi si sentiva impoverito e brullo come un alberello che, dopo esser fiorito senza aver però ancora dato frutti, provi il suo primo inverno.
I genitori, invece, ne erano soddisfatti. Lo amavano di una tenerezza robusta, istintiva e ferina. Tutte le volte che lui dal convitto era tornato per qualche periodo di vacanza, alla signora Törless la casa appariva di nuovo vuota e deserta non appena lui era ripartito, e ancora parecchi giorni dopo ciascuna di quelle visite lei si aggirava per le stanze con le lacrime agli occhi, tastando come nel gesto di una carezza questo o quell’oggetto su cui si era posato lo sguardo del suo ragazzo o che era stato stretto dalle sue dita. E ciascuno dei genitori si sarebbe lasciato fare a pezzi per lui.
La tenerezza frammista a goffaggine e la malinconia appassionata e caparbia che trasparivano dalle sue lettere presero a inquietarli, mettendoli in uno stato di impressionabilità e di agitazione; la spensieratezza serena e pacata che seguì di lì a poco rese nuovamente felici anche loro; e accorgendosi che in tal modo era stata superata una crisi, essi lo sostennero per quanto poterono.
Né nell’una né nell’altra essi ravvisarono il sintomo di una ben precisa evoluzione interiore; essi sopportarono, piuttosto, in pari misura la sofferenza e l’acquietamento come una naturale conseguenza della situazione data. Non si avvidero che per il giovane abbandonato a se stesso era stato quello il primo sfortunato tentativo di dispiegare le energie del proprio intimo.
Adesso Törless si sentiva molto scontento e annaspava qua e là, alla vana ricerca di qualcosa di nuovo che potesse valergli da sostegno.
Un episodio di quel periodo fu significativo per la successiva evoluzione di Törless che allora in lui si stava avviando.
Un giorno, infatti, era entrato nell’istituto il giovane principe H., discendente di una delle casate nobiliari più influenti, antiche e conservatrici dell’impero.
Tutti gli altri trovavano scipiti e affettati i suoi occhi miti; e ridevano del suo tipico modo di sporgere l’anca mentre stava in piedi oppure di giocherellare con le dita mentre parlava, trovandoli gesti effeminati. Ma soprattutto irridevano il fatto che era stato accompagnato in convitto non già dai genitori bensì da colui che gli aveva fatto da precettore sino ad allora, vale a dire un dottore in teologia membro di un ordine religioso.
Törless invece ne aveva riportato una profonda impressione sin dal primo momento. Può darsi che in ciò intervenisse anche il fatto che si trattava di un principe ammesso a corte ma, comunque sia, in lui egli aveva conosciuto anche un tipo d’uomo diverso.
Pareva ancora avvolto dal silenzio di antichi castelli e di esercizi di devozione. Quando camminava, lo faceva con movimenti dolci e flessuosi, con quel modo lievemente schivo di ritrarsi e farsi piccolo che è dovuto all’abitudine di avanzare con il portamento eretto lungo una fuga di saloni deserti ove chiunque altro darebbe l’idea di urtare pesantemente contro gli spigoli invisibili di uno spazio vuoto.
Così la compagnia del principe fu per Törless all’origine di un sottile godimento interiore. Egli infatti avviò in lui quel genere di conoscenza degli esseri umani che insegna a riconoscere e ad apprezzare un altro, sino al punto da anticiparne la personalità spirituale, dalla cadenza della voce, dal modo di prendere in mano un oggetto qualsiasi, persino dal timbro del suo silenzio e dall’espressione dell’atteggiamento con cui il suo corpo si dispone in un certo spazio; in breve, da quel modo mutevole, quasi impercettibile e tuttavia autentico e completo di essere qualcosa di spirituale e di umano che avviluppa l’essenza, l’elemento tangibile e descrivibile, come si trattasse di un semplice scheletro.
In quel breve periodo Törless visse come in un idillio. Non veniva in urto con la religiosità del suo nuovo amico, la quale a dire il vero era completamente estranea a uno come lui che proveniva da una famiglia borghese-liberale. Egli invece la accolse senza la minima esitazione; anzi, ai suoi occhi essa costituiva persino uno speciale pregio del principe, in quanto potenziava l’indole di quella persona che lui sentiva totalmente dissimile dalla propria, oltre che assolutamente irraffrontabile.
In compagnia di quel principe gli pareva quasi di sentirsi in una cappella fuori mano, cosicché l’idea di non essere colà propriamente al posto giusto svaniva dinanzi alla gioia di contemplare per una volta la luce diurna attraverso le vetrate di una chiesa e di lasciare che l’occhio scorresse sugli inutili orpelli ammassati nell’animo di quell’individuo tanto a lungo da ottenerne persino un’immagine confusa, come rincorresse con le dita, senza potervi riflettere, un arabesco leggiadro ma intrecciato secondo leggi bizzarre.
Poi, all’improvviso, tra i due arrivò la rottura.
Per una sciocchezza, come Törless più tardi dovette confessare a se stesso.
Una volta infatti si erano scontrati su questioni religiose. E in quello stesso istante la frattura divenne incolmabile, in quanto ormai l’intelletto di Törless, come procedendo per via autonoma, si riversò inesorabile contro il fragile principe. Lo subissò degli scherni del razionalista, distrusse con l’irruenza di un barbaro l’edificio in filigrana che albergava la sua anima, e i due amici si separarono nell’astio.
Da quel momento in avanti non s’erano scambiati più neppure una parola. Törless aveva l’oscura consapevolezza di aver compiuto qualcosa di sconsiderato, e una indistinta intuizione del sentimento gli diceva che allora quel metro legnoso dell’intelletto aveva disintegrato, in un momento quanto mai inopportuno, qualcosa ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Robert Musil
- Bibliografia
- I turbamenti del giovane Törless
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