Nelle notti d’inverno, in rue Saint-Honoré il rumore s’interrompe per un solo istante; gli ortolani, diretti alle Halles,1 proseguono il viavai delle carrozze che sono rientrate dal teatro o dal ballo. Nel mezzo di quella pausa, che nella gran sinfonia del frastuono parigino si colloca verso l’una di notte, la moglie di M. César Birotteau, profumiere residente nei pressi di place Vendôme, fu svegliata di colpo da un sogno spaventoso.
Alla profumiera era apparso il suo doppio: aveva visto se stessa vestita di stracci, mentre con mano secca e rugosa tirava il chiavistello del negozio, trovandosi contemporaneamente sulla soglia della porta e nella poltrona dietro il bancone. Chiedeva a se stessa l’elemosina e udiva la sua voce sia dalla porta che dal bancone. Fece per afferrare il marito, e posò la mano su una superficie fredda. La sua paura divenne allora talmente intensa da impedirle di muovere il collo, che s’impietrì. Le pareti della gola le si contrassero, la voce le mancò; rimase inchiodata dov’era, con gli occhi sbarrati e fissi, i capelli che le dolevano alle radici, le orecchie piene di suoni strani, il cuore contratto ma palpitante. Era, insomma, in un bagno di sudore e allo stesso tempo tutta un brivido, dentro un’alcova con le due cortine aperte.
La paura è un sentimento quasi patologico, che sollecita con tale violenza la macchina umana da portare improvvisamente le facoltà tanto al massimo grado di potenza, quanto all’infimo livello di disorganizzazione. La Fisiologia si è stupita a lungo di questo fenomeno, che sovverte i suoi sistemi e sconvolge le sue congetture; anche se si tratta di una semplice fulminazione interna, che, come tutti i fenomeni elettrici, si manifesta in modo strano e imprevedibile. La spiegazione sarà nota il giorno in cui gli scienziati avranno riconosciuto l’importanza del ruolo che l’elettricità svolge nel pensiero umano.
Mme Birotteau subì quindi alcune delle sofferenze per così dire luminose che tali scariche della volontà, dispiegata o concentrata da un meccanismo sconosciuto, possono talvolta procurare. Per un lasso di tempo, brevissimo se calcolato sui nostri orologi, ma incommensurabile nelle sue rapide impressioni, la povera donna ebbe il mostruoso potere di produrre più idee ed evocare più ricordi di quanto, in uno stato di normale funzionamento delle sue facoltà, sarebbe riuscita a concepire in un’intera giornata.2 Si può riassumere il suo straziante monologo in poche parole, assurde, contraddittorie e prive di senso al pari dello stesso monologo.
“Non c’è alcun motivo che possa far uscire Birotteau dal mio letto! Che abbia mangiato tanta vitella da sentirsi male? Ma se così fosse, mi avrebbe svegliata. Sono diciannove anni che ci corichiamo insieme in questo letto, in questa stessa casa, e mai una volta che si sia alzato senza dirmelo, povero agnellino! Ha passato la notte fuori soltanto quando doveva essere presente al corpo di guardia. Si è coricato con me ieri sera? Ma sì, certo, cosa vado dicendo!”
Gettò uno sguardo sul letto e vide il berretto da notte del marito, che aveva conservato la forma quasi conica della testa.
“È morto, dunque! Che si sia ucciso? Perché?” riprese. “Da quando l’hanno nominato vicesindaco due anni fa, gli è preso un non so che di strano. Dargli una funzione pubblica, che idea infelice, davvero! Gli affari vanno bene, mi ha regalato uno scialle. E se invece andassero male? Bah! lo saprei. Ma si può davvero sapere cosa nasconde un uomo? o una donna? è bene che sia così. Ma oggi non abbiamo venduto per cinquemila franchi? E poi un vicesindaco non può togliersi la vita, conosce troppo bene la legge. Dove sarà allora?”
Non riusciva né a girare il collo, né ad allungare la mano per tirare il cordone del campanello che avrebbe messo in moto una cuoca, tre commessi e un garzone. In preda all’incubo che proseguiva nello stato di veglia, si era dimenticata della figlia; quest’ultima dormiva serenamente in una camera attigua, la cui porta si apriva di fronte al suo letto. Alla fine gridò: «Birotteau!» e non ricevette nessuna risposta. Credeva di aver gridato il nome, ma l’aveva pronunciato solo mentalmente.
“Che abbia un’amante? È troppo sciocco,” riprese “e poi mi ama troppo. Non ha forse detto a Mme Roguin di non essermi mai stato infedele, nemmeno con il pensiero? César è l’onestà fatta persona. Chi merita il paradiso, se non lui? Di cosa potrà mai accusarsi con il suo confessore? Gli dirà delle inezie. Per essere un monarchico – chissà perché, poi – non si può certo dire che approfitti della sua religione. Povero micino, va a messa alle otto, di nascosto, quasi andasse in una casa di piacere. Teme Dio per Dio stesso: l’inferno non lo riguarda affatto. Come potrebbe avere un’amante? Mi sta così appiccicato alla sottana che quasi mi esaspera. Mi ama come la luce dei suoi occhi, per me se li caverebbe. Per diciannove anni non ha mai alzato la voce. Sua figlia viene solo dopo di me. Ma Césarine è qui… (Césarine! Césarine!). Birotteau non ha mai avuto un’idea senza confidarmela. Aveva proprio ragione, quando veniva al Petit Matelot, a dire che l’avrei conosciuto solo vivendoci insieme. E ora non c’è!… è davvero incredibile.”
Girò a fatica la testa e gettò uno sguardo furtivo alla camera, gremita, in quel momento, dei pittoreschi effetti della notte che fanno disperare il linguaggio, e sembrano appartenere esclusivamente al pennello dei pittori di genere. Come rendere a parole gli spaventosi ghirigori creati dalle ombre proiettate, le apparenze fantastiche delle tende gonfiate dal vento, i riflessi incerti della luce che la lampada del comodino proietta nelle pieghe del calicò rosso, le fiamme vomitate da un rosone il cui centro rutilante pare l’occhio di un ladro, l’apparizione di un vestito inginocchiato; insomma, tutte le fantasmagorie che terrorizzano l’immaginazione quando non riesce che a percepire i dolori e a moltiplicarli. Mme Birotteau credette di vedere una luce violenta nella stanza attigua, e subito pensò a un incendio; poi, scorgendo un foulard rosso, che le sembrò una chiazza di sangue, il pensiero dei ladri la assalì, tanto più che volle cogliere nella disposizione dei mobili le tracce di una colluttazione. Al pensiero della somma che si trovava in cassa, una nobile apprensione spense i gelidi ardori dell’incubo. Si slanciò, sgomenta, in camicia da notte, al centro della camera, per soccorrere il marito che supponeva alle prese con degli assassini.
«Birotteau! Birotteau!» gridò infine in preda all’angoscia.
Trovò il profumiere in mezzo alla stanza attigua, che misurava l’aria con un metro. Era avvolto così male nella vestaglia di indiana verde, a pois color cioccolata, che il freddo gli arrossava le gambe senza che se ne accorgesse, tanto era assorto. Quando César si voltò per dire alla moglie: «Allora! Cosa c’è, Constance?» la sua espressione, tipica di chi è tutto preso dai suoi calcoli, fu così straordinariamente ingenua che Mme Birotteau scoppiò a ridere.
«Dio mio, César, sei proprio un bel tipo!» disse. «Perché mi lasci sola senza avvertirmi? Per poco non morivo di paura, non sapevo che pensare. Insomma, cosa fai qui, scalzo e nudo? Ti prenderai un raffreddore da lupi. Birotteau, mi ascolti?»
«Sì, mia cara, eccomi» rispose il profumiere, tornando in camera.
«Dài, vieni a scaldarti, e dimmi cosa ti è saltato in testa» riprese Mme Birotteau, rimuovendo la cenere dal fuoco, che si affrettò a riaccendere. «Sono gelata. Che sciocca, ad alzarmi in camicia da notte! Ma pensavo davvero che ti stessero ammazzando.»
Il commerciante appoggiò il candeliere sul camino, si avvolse nella vestaglia e con fare meccanico andò a prendere una sottana di flanella per la moglie.
«Tieni, ninì, copriti» disse. «Ventidue per diciotto,» riprese, continuando il suo monologo «potremo avere un magnifico salone.»
«Ma insomma, Birotteau, sei diventato matto? oppure stai sognando?»
«No, moglie, calcolo.»
«Per queste sciocchezze, dovresti almeno aspettare che faccia giorno» esclamò lei, stringendosi la sottana sotto la camiciola e andando ad aprire la porta della camera dove dormiva la figlia. «Césarine dorme,» disse «non ci sentirà. Allora, Birotteau, parla. Cos’hai?»
«Possiamo dare il ballo.»
«Dare un ballo! noi? Ma insomma caro, stai sognando!»
«Non sogno affatto, micina mia. Sta’ a sentire: bisogna sempre agire in funzione della propria posizione. Il governo mi ha messo in luce, io faccio parte del governo. Dobbiamo quindi analizzarne l’orientamento e favorirne le intenzioni via via che si manifestano. Il duca de Richelieu ha appena posto fine all’occupazione della Francia.3 Secondo M. de La Billardière,4 i funzionari che rappresentano la città di Parigi sono in dovere di celebrare, ciascuno nella sfera delle proprie influenze, la liberazione del territorio. Diamo prova d’un vero patriottismo, che faccia arrossire quello dei cosiddetti liberali, quei dannati intriganti, eh? Credi che non ami il mio paese? Voglio mostrare ai liberali, ai miei nemici, che amare il Re vuol dire amare la Francia!»
«E così pensi di avere dei nemici, mio povero Birotteau?»
«Ma certo che abbiamo dei nemici, mia cara. E nel quartiere la metà dei nostri amici sono nostri nemici. Tutti dicono: Birotteau è fortunato, Birotteau è un signor nessuno, eppure eccolo vicesindaco, tutto gli riesce. Ebbene, rimarranno di nuovo a bocca aperta! Sei la prima a sapere che sono cavaliere della Legion d’Onore: il Re ha firmato ieri l’ordinanza.»
«Oh!» disse Mme Birotteau, tutta emozionata «be’, allora bisogna dare il ballo, mio caro. Ma cos’avrai mai fatto per ricevere la croce?»
«Quando, ieri, M. de La Billardière mi ha dato la notizia,» riprese con imbarazzo Birotteau «anch’io, come te, mi sono chiesto quali fossero i miei meriti. Ma tornando a casa ho finito per riconoscerli e per approvare la scelta del governo. Innanzitutto, sono monarchico, e sono stato ferito a Saint-Roch in vendemmiaio:5 forse non conta aver portato le armi per la buona causa in quel periodo? Inoltre, secondo alcuni negozianti, ho svolto le mie funzioni consolari con soddisfazione di tutti. Infine, sono vicesindaco, il Re concede quattro croci al corpo municipale della città di Parigi. Il prefetto, una volta esaminate le persone che, tra i vicesindaci, potevano aspirare alla decorazione, mi ha messo in cima alla lista. D’altra parte il Re dovrebbe conoscermi: grazie al vecchio Ragon, gli fornisco l’unica cipria di cui voglia far uso; solo noi possediamo la ricetta della cipria della defunta regina, povera e cara augusta vittima! Il sindaco mi ha appoggiato con decisione. Che vuoi che ti dica? Se il Re mi dà la croce senza che io gliel’abbia chiesta, mi sembra che rifiutandola potrei mancargli di rispetto. Ho forse voluto diventare vicesindaco? Per questo, moglie mia, poiché abbiamo il vento in pompa, come dice tuo zio Pillerault quando è di buon umore, voglio fare in modo che tutto, qui da noi, rispecchi la nostra grande fortuna. Se posso essere qualcosa, mi arrischierò a diventare quello che il buon Dio vorrà che diventi – sottoprefetto, se tale è il mio destino. Moglie mia, commetti un grave errore a credere che un cittadino abbia pagato il proprio debito al paese dopo aver venduto per vent’anni prodotti di profumeria a chi ne faceva richiesta. Se lo Stato reclama il concorso dei nostri lumi, glielo dobbiamo, come gli dobbiamo l’imposta sui beni mobili, sulle porte e sulle finestre, ecc. Vuoi restartene per sempre dietro il bancone? È già da troppo tempo che ci vivi, grazie a Dio. Il ballo sarà la nostra festa. Addio vendita al dettaglio, per te intendo. Brucio la nostra insegna con La Reine des roses, cancello dalla nostra vetrina CÉSAR BIROTTEAU, PROFUMIERE, SUCCESSORE DI RAGON, e scrivo semplicemente PROFUMERIA a grandi lettere d’oro. Al piano rialzato metto l’ufficio, la cassa, e un bel salottino per te. Il negozio lo ricavo dal retrobottega, dalla sala da pranzo e dalla cucina. Affitto il primo piano della casa accanto, dove apro una porta nel muro. Giro la scala in modo tale che il passaggio da una casa all’altra sia sullo stesso piano. A quel punto avremo un grande appartamento ammobiliato alla perfezione! Sì, rimetto a nuovo la tua stanza, ti faccio un boudoir, e a Césarine do una bella cameretta. La venditrice che assumerai, il nostro primo commesso e la tua cameriera (sì, cara, avrai una cameriera!) alloggeranno al secondo piano. Al terzo, metteremo la cucina, la cuoca e il garzone. Il quarto sarà il nostro magazzino generale di bottiglie, cristalli e porcellane. E in soffitta, il laboratorio delle nostre operaie! I passanti non vedranno più incollare etichette, riempire sacchi, smistare flaconi, tappare fiale. Roba da rue Saint-Denis, ma a rue Saint-Honoré, per carità, è da vergognarsi. Il nostro negozio deve essere accogliente come un salotto. Dimmi un po’, siamo forse gli unici profumieri a ricevere degli onori? Non ci sono fabbricanti di aceto e di mostarda che comandano la guarda nazionale e che sono molto ben visti a corte? Imitiamoli, allarghiamo i nostri affari e spingiamoci al tempo stesso nell’alta società.»
«Senti, Birotteau, vuoi sapere a che penso mentre ti ascolto? Mi fai l’effetto di uno che cerca la luna nel pozzo. Ti ricordi cosa ti ho consigliato quando si è trattato di nominarti sindaco: la tua tranquillità prima di tutto! “Sei fatto per diventare famoso ...