Il ciclo del Demone - 1. Il Demone
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Il ciclo del Demone - 1. Il Demone

  1. 462 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il ciclo del Demone - 1. Il Demone

Informazioni su questo libro

A Hopewell nell'Illinois arrivano due uomini: uno è un demone pronto a sfruttare gli odi del paese per suscitare distruzione e morte, l'altro è dotato del dono profetico di prevedere il futuro e sa che deve sconfiggere i suoi diabolici avversari.
Una sfida terribile sta per avere inizio fra loro, in gioco c'è la vita di Nest, una ragazza quattordicenne misteriosamente legata a entrambi, e forse quella di tutto il genere umano.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804470847
eBook ISBN
9788852041341

VENERDÌ 1º LUGLIO

1

«Ehi, Nest!»
La voce del Silvano, affilata come l’artiglio di un gatto, lacerò gli strati ovattati di un sogno indefinito. La giovane donna sollevò di scatto la testa e spalancò gli occhi annebbiati dal sonno.
«Pick?»
«Sveglia, ragazza!» Il Silvano aveva la voce stridula per la fretta. «I Divoratori l’hanno fatto di nuovo! Ho bisogno di te!»
Nest Freemark respinse il lenzuolo e si mise a sedere con le gambe fuori del letto. L’aria della notte era calda e appiccicosa nonostante il grande ventilatore posato sul pavimento accanto alla porta. Si strofinò gli occhi per schiarirsi la vista e deglutì perché aveva la gola secca. Dall’esterno giungeva solo il ronzio degli insetti.
«Di chi si tratta, questa volta?» chiese, con uno sbadiglio.
«La piccola Scott.»
«Bennett?» Oh, Dio! Adesso era del tutto sveglia. Pick, in piedi sul davanzale della finestra, aspettava la sua risposta: alla luce della luna si scorgeva la sagoma del suo corpo, dietro la zanzariera. Era alto solo venti centimetri, dalla punta dei piedi simili a ramoscelli alla cima della testa coperta di foglie, ma sulla sua faccia che sembrava un pezzo di corteccia si leggeva perfettamente il disgusto, come se fosse stato alto due metri.
«La madre è di nuovo uscita con quel suo fidanzato fannullone, ad aspettare che i bar chiudano. A guardare i bambini è rimasto il ragazzo che piace a te, il giovane Jared, ma ha avuto un attacco. Bennett era ancora sveglia, come fa sempre quando la madre non c’è, anche se soltanto il cielo sa perché. Si è spaventata ed è uscita. Quando il ragazzo si è ripreso, era sparita. E adesso è circondata dai Divoratori. Devo farti una domanda in carta bollata o ti decidi a vestirti e a venire ad aiutarla?»
Nest balzò giù dal letto senza rispondere; si tolse la camicia da notte e s’infilò una maglietta con la scritta “Grunge Vive”, calzoncini da allenamento, calze e scarpe da tennis. La sua immagine le ricambiò lo sguardo dallo specchio dell’armadio: viso tondeggiante, fronte ampia e zigomi larghi, naso piccolo spruzzato di efelidi, occhi verdi che tendevano ad ammiccare, bocca con gli angoli leggermente rivolti all’insù, come per suggerire uno stato d’animo perennemente divertito, e pelle che cominciava un po’ a rovinarsi per l’acne. Discretamente carina, ma niente di eccezionale. Pick continuava a camminare avanti e indietro sul davanzale. Sembrava un omino di stecchi fabbricato con rametti e foglie legati insieme. Agitava nervosamente le mani, come faceva sempre quando era agitato, si tirava la barba simile a muschio e fine come seta, e si dava manate sulle cosce incrostate di corteccia. Non riusciva a star fermo. Era come uno di quei personaggi dei cartoni animati che sono sempre di corsa e si fermano solo quando sbattono contro un muro. Diceva di avere centocinquant’anni, ma per una creatura così vecchia aveva ancora molto da imparare sul modo di mantenere la calma.
Nest nascose qualche cuscino sotto il lenzuolo per dare l’impressione di essere ancora a letto a dormire: un inganno che poteva funzionare se non si guardava troppo da vicino. Diede un’occhiata all’orologio. Erano le due, ma i suoi nonni avevano il sonno leggero, si alzavano a qualsiasi ora e andavano in giro per la casa. Nest guardò la porta e sospirò. Non poteva farci niente.
Spostò la zanzariera e salì sul davanzale. La sua camera da letto era al pianterreno, perciò le era facile uscire senza farsi notare. D’estate, almeno, quando faceva caldo e le finestre erano aperte. D’inverno, invece, doveva cercare il cappotto, passare per il corridoio e uscire dalla porta sul retro, col rischio che la sentissero. Ma era diventata molto abile in quel genere di manovre.
«Dov’è?» chiese a Pick, tendendo la mano verso di lui, palmo in alto, perché vi salisse.
«Andava verso il precipizio, l’ultima volta che l’ho vista.» Si staccò dal davanzale, facendo molta attenzione a dove metteva i piedi. «C’è Daniel che la segue, ma è meglio sbrigarsi.»
Nest sistemò Pick sulla propria spalla, dove poteva aggrapparsi alla maglietta, rimise a posto la zanzariera e si allontanò di corsa. Attraversò il giardino e si diresse verso la siepe divisoria che cintava quella parte del parco. Mentre correva, sentì l’aria notturna del Midwest colpirla sulla faccia, fresca e gradita dopo essere stata chiusa per tanto tempo nella sua stanza. Passò sotto le fronde delle querce e dei noci che davano ombra al cortile e formavano sopra di lei intricate geometrie, e vide sulle loro foglie il riflesso della luce della luna e delle stelle. Mentre correva, il cielo era limpido e il mondo intorno a lei era immobile, le case buie e silenziose, la gente addormentata. Trovò al primo tentativo il varco nella siepe, si chinò per infilarsi nella bassa apertura e l’oltrepassò.
Il Sinnissippi Park si aprì davanti a lei, con i suoi campi da baseball e le piazzole per il picnic illuminati dalla luna, i boschi e il cimitero coperti di ombre.
Si diresse a destra, verso la strada che entrava nel parco, correndo con regolarità e senza fatica. Era un’atleta naturale. Il suo allenatore diceva che era la migliore fondista che avesse mai visto, ma aggiungeva sempre che il suo modo di allenarsi era impossibile. Con un metro e settantacinque d’altezza e cinquantacinque chili di peso, era alta e snella, e dura come l’acciaio. Non sapeva perché era così; certo non aveva fatto niente per diventarlo. Era sempre stata agile, però, anche quando aveva dodici anni e le sue amiche battevano le ginocchia contro i tavolini, incespicavano nelle stringhe delle scarpe e non sapevano quali altre sorprese riservasse il loro corpo. (Adesso ne avevano quattordici e lo sapevano abbastanza bene.) Nest aveva la benedizione di un fisico da podista, e ormai, dopo i risultati della primavera, appariva evidente che il suo talento era prodigioso. Nell’Illinois aveva già battuto ogni primato nella corsa campestre per ragazze fino a quattordici anni. Era successo l’anno precedente. Ma cinque settimane prima aveva partecipato alle gare di Rock River per podisti dai quattordici ai diciotto, maschi e femmine, e aveva stravinto nei diecimila metri, abbassando di quasi tre minuti il record dello Stato. Da allora, tutti avevano cominciato a guardarla con occhi un po’ diversi.
Poiché però, per un motivo o per l’altro, la gente l’aveva sempre guardata con occhi un po’ diversi, fin da quando era nata, quell’interesse la colpiva molto meno di quanto era accaduto in passato.
“Pensa” rifletté facendo una smorfia “a come mi guarderebbero se parlassi loro di Pick. O della magia.”
Attraversò il campo di baseball più vicino, arrivò all’ingresso del parco e passò sotto la sbarra che veniva abbassata dopo il tramonto per impedire l’accesso alle auto. Si sentiva forte e riposata, respirava senza affanno e il cuore aveva un battito regolare. Seguì la carreggiata per qualche decina di metri, poi passò sull’area erbosa riservata ai picnic che portava ai tumuli degli indiani Sinnissippi e al precipizio. Alla sua destra vedeva le Residenze Sinnissippi, un nome bizzarro per un complesso di abitazioni popolari. Laggiù abitavano gli Scott. Enid Scott era una madre single con cinque figli, pochi mezzi e un problema con l’alcol. Nest non aveva un’alta opinione di lei; nessuno ce l’aveva. Ma Jared era un caro amico, suo compagno di scuola fin dalle elementari, e Bennett, che aveva cinque anni ed era la più piccola, era un cucciolo che meritava qualcosa di meglio di quello che le era toccato negli ultimi tempi.
Nest scrutò nel buio davanti a sé per cercare qualche segno della bambina, ma non c’era niente. Cercò anche Wraith, ma non ne vide traccia. Il solo pensare a Wraith la fece rabbrividire. Il parco si stendeva davanti a lei, vasto, silenzioso e immobile. Accelerò l’andatura, preoccupata per Bennett. Pick se ne stava seduto sulla sua spalla, attaccato come un’ostrica alla maglietta, e continuava a borbottare tra sé in un cicaleccio fastidioso e incessante a cui si abbandonava nei momenti di tensione. Nest non gli disse niente. Pick aveva molte responsabilità nel parco, e il comportamento sempre più aggressivo dei Divoratori non gli rendeva le cose più facili. Era già abbastanza inquietante che occupassero le caverne sotto il precipizio e che il loro numero fosse talmente aumentato da rendere ormai impossibile contarli. Un tempo, però, si limitavano a mostrarsi di notte nel parco, e ora, all’improvviso, cominciavano a farlo in tutta Hopewell, a volte anche di giorno. Era dovuto a una rottura dell’equilibrio, le aveva spiegato Pick. E se l’equilibrio non fosse stato ripristinato, presto i Divoratori sarebbero stati dappertutto. Ma cosa si poteva fare?
Gli alberi erano ormai vicini, i tronchi formavano una barriera scura, i rami schermavano il cielo notturno. Nest si mosse con facilità in quel labirinto, i suoi occhi si abituarono subito al cambiamento di chiarore, vedevano tutto, coglievano ogni dettaglio. Passò in mezzo a una serie di giochi – cavalli a molle per i più piccoli – saltò una bassa catena divisoria, attraversò la strada e si trovò in mezzo ai tumuli indiani. Non scorse traccia di Bennett Scott. Laggiù l’aria era più fredda perché risaliva dal Rock River, che scorreva sotto il precipizio e con un’ampia curva si dirigeva verso il Mississippi. In lontananza si levò il fischio di un treno merci che passava fra i campi coltivati. La notte era appesantita dall’afa e il fischio risonò attutito e distante. Si spense poi lentamente, e nel silenzio che tornò ad avvolgere il parco si levò di nuovo l’insistente brusio degli insetti.
Nest scorse finalmente Daniel, un’ombra scura che scese dagli alberi un istante per attirare la sua attenzione, poi volò via.
«Di là!» le gridò Pick all’orecchio, anche se non ce n’era bisogno.
Nest seguì il gufo che le faceva da guida e si diresse verso il precipizio, attraverso i tumuli indiani: bassi monticelli erbosi raggruppati nei pressi della strada che più avanti terminava in corrispondenza del punto più alto del parco e si allargava in un’ampia rotatoria per far girare le macchine. Lassù avrebbe trovato Bennett. A meno che… Nest scacciò il pensiero, rifiutandosi perfino di prendere in considerazione quella possibilità. Con un nodo alla gola, pensò a Enid Scott: era una vergogna lasciare solo Jared perché badasse a fratelli e sorelle. Enid conosceva bene la malattia del figlio, ma quando le tornava comodo faceva finta di niente. Jared soffriva di una leggera forma di epilessia e gli attacchi potevano durare alcuni minuti. Quando aveva un attacco, Jared “si assentava” per un po’: rimaneva immobile, a fissare nel vuoto, non sentiva e non vedeva, non era cosciente di quanto succedeva attorno a lui. Prendeva una medicina, certo, che però non riusciva sempre a prevenire gli attacchi. E la madre lo sapeva. Lo sapeva bene.
Gli alberi lasciarono bruscamente il posto a una radura e Daniel uscì dall’ombra, abbassandosi e puntando verso il precipizio. Con uno scatto, Nest prese a correre ancora più in fretta e per poco non fece cadere Pick. Finalmente vide Bennett Scott, ferma sull’orlo del dirupo, oltre la rotatoria asfaltata: una piccola figura solitaria contro lo sfondo del cielo, che piangeva a testa bassa. Nest udì i suoi singhiozzi. I Divoratori le giravano intorno, la attiravano verso di loro, cercavano di annebbiarle i pensieri per farle compiere gli ultimi, terribili passi. Nest si sentì pervadere dalla rabbia. Bennett era il settimo bambino, in quel solo mese. Lei li aveva salvati tutti, ma quanto sarebbe durata la sua fortuna?
Daniel si abbassò per un attimo, poi si allontanò senza il minimo rumore perché la sua imprevista presenza avrebbe potuto spaventare la piccola e farle perdere l’equilibrio. Per questo Pick era corso a chiamare Nest, la cui comparsa sarebbe stata assai meno inquietante di quella del Silvano o del gufo.
La ragazza smise di correre e cominciò a camminare normalmente, approfittandone per posare Pick in mezzo all’erba. Meglio non correre rischi, e poi Pick preferiva non essere visto. Nell’aria umida colse l’odore dei pini, proveniente dal cimitero, dove crescevano a ridosso della recinzione di rete metallica. Alla luce della luna, il marmo e il granito di lapidi e monumenti erano a malapena visibili. Nest respirò a fondo più volte, mentre si avvicinava a Bennett e pian piano, con grande attenzione, emergeva nella luce lunare. I Divoratori la videro e socchiusero gli enormi occhi gialli. Lei li ignorò e pensò solo alla bambina.
«Ehi, Ben-Ben!» le disse in tono tranquillo. «Sono io, Nest.»
Bennett Scott batté in fretta le palpebre bagnate di lacrime. «Lo so.»
«Che ci fai da queste parti, Ben-Ben?»
«Cerco la mamma.»
«Be’, non mi pare che sia qui, cara.» Nest avanzò di qualche passo, guardandosi attorno come se cercasse Enid.
«Si è perduta» singhiozzò Bennett.
Alcuni Divoratori si avvicinarono minacciosi a Nest, che li ignorò. Sapevano di non potersi prendere troppa confidenza con lei, quando Wraith era nei paraggi, e lei si augurava che così fosse. Erano davvero tanti, però. Quegli esseri dalla faccia piatta e priva di fattezze, quelle tozze caricature della forma umana erano ancora un mistero per lei, nonostante ciò che Pick le aveva insegnato. Non sapeva neppure di che cosa fossero fatti. Una volta l’aveva chiesto a Pick, e il Silvano le aveva risposto, con un sorriso ironico, che siccome tutti siamo ciò che mangiamo, i Divoratori potevano essere qualsiasi cosa.
«Scommetto che la tua mamma è già tornata a casa, Ben-Ben» disse Nest, cercando di dare alla propria voce un tono convincente. «Perché non andiamo a vedere?»
La bambina tirò su col naso. «Non voglio andare a casa. La mia casa non mi piace più.»
«Ma no, vedrai che ti piace ancora. Scommetto che Jared è preoccupato perché non ti trova più.»
«Jared è malato» rispose la bambina. «Ha avuto un attacco.»
«Sì, ma adesso sta bene. I suoi attacchi passano subito, cara. Lo sai. Vieni con me, andiamo a controllare.»
Bennett abbassò la testa e incrociò le braccia, singhiozzando. «George non mi vuole bene. Me l’ha detto lui.»
George Paulsen, l’ultimo sbaglio di Enid Scott nel reparto maschi. Anche se aveva solo quattordici anni, Nest sapeva riconoscere un buono a nulla, q...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Demone
  4. Prologo
  5. Venerdì 1º luglio
  6. Sabato 2 luglio
  7. Domenica 3 luglio
  8. Lunedì 4 luglio
  9. Martedì 5 luglio
  10. Copyright