
- 192 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Marianna Sirca
Informazioni su questo libro
Crudele come solo possono essere le passioni degli innocenti, febbrile eppure ritmato da larghe pause che introducono i profondi motivi del paesaggio, delle stagioni, del trascorrere del tempo è l'amore di Marianna Sirca, possidente, e di Simone Sole, servo e bandito. Di colpo presi l'una dell'altro, tessono la rete della loro perdizione: troppo è l'orgoglio, troppa la solitudine che entrano in gioco nel loro rapporto. A soccombere sarà Simone, l'uomo, che dei due è di carattere più debole, più femmineo, quasi un fratello dell'Aligi dannunziano fattosi bandito in un'arida plaga della Sardegna.
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Informazioni
Print ISBN
9788804456858eBook ISBN
9788852056185I
Marianna Sirca, dopo la morte di un suo ricco zio prete, del quale aveva ereditato il patrimonio, era andata a passare alcuni giorni in campagna, in una piccola casa colonica che possedeva nella Serra di Nuoro, in mezzo a boschi di soveri.
Era di giugno. Marianna, sciupata dalla fatica della lunga assistenza d’infermiera prestata allo zio, morto di una paralisi durata due anni, pareva uscita di prigione, tanto era bianca, debole, sbalordita: e per conto suo non si sarebbe mossa né avrebbe dato retta al consiglio del dottore che le ordinava di andare a respirare un po’ d’aria pura, se il padre, che faceva il pastore ed era sempre stato una specie di servo del fratello prete, non fosse sceso apposta dalla Serra a prenderla, supplicandola con rispetto:
«Marianna, dà retta a chi ti vuol bene. Obbedisci.»
Anche la serva, una Barbaricina rozza, risoluta, che era in casa del prete da anni ed anni ed aveva veduto crescere Marianna, le preparò la roba, gliela caricò rudemente dentro la bisaccia come fosse la roba di un servo pastore, e ripeté:
«Marianna, dà retta a chi ti vuol bene: obbedisci.»
E Marianna aveva obbedito. Aveva obbedito sempre, fin da quando bambina era stata messa come un uccellino in gabbia nella casa dello zio, a spandere la gioia e la luce della sua fanciullezza attorno al melanconico sacerdote, in cambio della possibile eredità di lui.
Montò dunque taciturna in groppa al cavallo di suo padre e appoggiò la mano alla cintura di lui, rispondendo con soli cenni del capo alla serva premurosa che le accomodava le sottane intorno alle gambe e le consigliava di non prendere aria alla notte.
«E non farla strapazzare, Berte Sirca!»
Egli si mise un dito sulla bocca e spronò il cavallo; era di poche parole, anche lui, e con Marianna, del resto, non avevano molte cose da dirsi.
A misura che viaggiavano le additava solo questo e quel terreno, nominandone i proprietari; del resto lei conosceva i luoghi perché tutti gli anni a primavera, tranne gli ultimi in cui il prete era stato malato, andava con lui ed i parenti a passare giornate intere nella tanca popolata di gregge e di armenti e dove una casa colonica aveva sostituito la primitiva capanna dei pastori sardi.
Fin dal primo giorno, lassú, si sentí meglio: il luogo era elevato, al confine tra il territorio di Nuoro e quello di Orune; la selva fioriva e una serenità infinita pareva si stendesse su tutta la terra.
Al terzo giorno Marianna sembrava già un’altra; la persona sottile un po’ curva s’era raddrizzata, il viso pallido alabastrino sotto le trecce larghe dei capelli neri lucidi aveva preso un colore opaco d’ambra e i grandi occhi placidi castanei riflettevano come quelli delle cerbiatte la luce verdognola del bosco.
Cadeva la sera del terzo giorno, ed ella sedeva davanti alla casa colonica, che era una piccola costruzione in pietra grezza con un riparo per il bestiame, una cucina e una stanza da letto: vedeva davanti a sé uno spiazzo grande erboso, con un sovero millenario nel mezzo e i cani legati al tronco; e aldilà il verde dei prati che s’internavano nella foresta perdersi nell’ombra già cupa delle macchie e delle rocce, mentre alla sua destra, tra una fila d’alberi, la linea dei monti spiccava ancora azzurra sul cielo rosso del crepuscolo.
Era sola, coi cani che ogni tanto si alzavano per spiare e tosto tornavano ad accovacciarsi fra la polvere; ma aspettava il ritorno di suo padre e del pastore e l’arrivo di un parente che le aveva promesso una visita.
Era sola e tranquilla; nulla le mancava; aveva intorno a sé il suo vasto patrimonio custodito da un servo fidato e d’animo semplice qual era suo padre; e laggiú a Nuoro la sua casa era anch’essa custodita dalla serva fedele che alla notte non dormiva per vegliare contro i ladri.
Nulla le mancava: eppure ripiegata su se stessa, si guardava dentro, con piena coscienza di sé, e vedeva un crepuscolo, sereno, sí, ma crepuscolo: rosso e grigio, grigio e rosso e solitario come il crepuscolo della tanca.
Le sembrava di esser vecchia; si rivedeva bambina in quel luogo medesimo, la prima volta che l’avevano condotta lassú e qualcuno le aveva sussurrato all’orecchio: “se sarai brava tutto questo sarà tuo”. E lei s’era guardata attorno, coi suoi occhi placidi, senza meraviglia e senza desiderio, pure rispondendo di sí. E gira di qua, gira di là, non troppo lontano per non smarrirsi, aveva trovato un nascondiglio, una pietra scavata come una culla, e vi si era messa dentro, tutta contenta di essere sola, padrona di tutto, ma nascosta a tutto: e le pareva di essere come il nocciolo dentro il frutto, come l’uccellino dentro l’uovo. Cosí, rannicchiata, contenta che i pastori non la prendessero per la sottanina, al suo passare, e le dicessero ammiccando: “mi presti il tuo posto, Marianna?” s’era anche addormentata.
Ed ecco si svegliava, dopo tanti anni. Ne aveva trenta, adesso, e ancora neppure conosceva l’amore. L’avevano allevata apparentemente come una ragazza di famiglia nobile, destinata ad un ricco matrimonio; in realtà la sua vita era stata quella di una serva sottomessa non solo ai padroni ma ai servi di maggior grado di lei.
Ma ecco suo padre tornare: e i pensieri di lei si ritirano nel loro nascondiglio piú segreto: nessuno al mondo deve saperli, e questo non tanto per orgoglio quanto perché lei ama la sua anima come la sua casa, che tutto sia in ordine, pulito, chiuso nelle casse, appartenente a lei sola.
Del resto il padre, sebbene avesse per lei un’ammirazione muta e un attaccamento di servo fedele, non era uomo da intenderla: ecco che si avanza, piccolo, curvo, con le mani giunte, la grossa testa calva come tirata in giú sul petto dalla lunga barba grigia a riccioli. Pareva un frate travestito da pastore, un eremita mansueto dai grandi occhi castanei ancora innocenti.
«Ebbene, preghi?» disse passandole davanti. «Su, sta allegra che stanotte facciamo vigilia. Vengono su.»
«Chi, chi?» ella disse scuotendosi.
«Sebastiano con un altro; adesso accendo il fuoco. Se Sebastiano ti domanda quanto ti hanno offerto per il sughero» aggiunse tornando indietro «digli mille scudi. Zitta! Obbedisci a chi ti vuol bene.»
Marianna era pronta a obbedire anche a questa innocente vanità di lui, che aumentava del doppio la sua rendita; tanto piú che il parente Sebastiano veniva per conto di certi negozianti ozieresi che volevano acquistare il sughero del suo bosco di soveri: e senza alzarsi aguzzava lo sguardo, pensando a questo suo cugino in secondo grado, né giovane né vecchio, né ricco né povero, vedovo e solo, che fra tanti parenti bisognosi che le serbavano rancore per l’eredità dello zio, era l’unico a dimostrarle un po’ di attaccamento disinteressato.
A volte aveva il dubbio che Sebastiano la amasse di amore; ma respingeva con disgusto l’idea di andare a finir moglie di un parente, vedovo e non piú giovane. Ecco che anche lui arrivava: era a cavallo; indossava il cappottino da lutto dei vedovi, e il velluto nero del giubbone faceva risaltare anche da lontano il pallore giallognolo del suo viso scarno circondato da una rada barbetta scura a punta. I suoi grandi occhi neri vivissimi, che illuminavano tutta la sua figura triste, cercarono subito Marianna; e appena smontò agile davanti a lei che s’era alzata silenziosa, le cinse le spalle con un braccio guardandola di sotto in su, un poco piú piccolo di lei, familiare ma anche malizioso. Lei però lo respinse, solo intenta a un bel giovane alto che si avanzava sorridendole. Le pareva e non le pareva, di conoscerlo: di aver altre volte veduto quei denti che brillavano fra le labbra fresche ombreggiate da una lieve peluria, e nel viso scuro i lunghi occhi che sembravano turchini tanto il bianco era di un azzurro perlato.
Arrivato davanti a lei si fermò, dritto, come un soldato sull’attenti. Ella arrossí, ma subito sorrise e gli porse la mano.
«Simone Sole!»
Egli fece cenno di sí, prendendole la mano senza stringerla. Sí, era lui, Simone Sole, il bandito.
Qualche anno prima, da ragazzo, Simone era stato servo in casa di lei; ella ne conosceva anche la famiglia, povera ma distinta, di buona stirpe, il padre e la madre, malaticci tutti e due, le sorelle bellissime, fiere, che andavano solo in chiesa e si inginocchiavano all’ombra, dove di solito si metteva anche lei, sotto l’altare del Sacramento, e del resto vivevano ritirate nella loro casupola sotto la collina di Santu Nofre, taciturne e in duolo come se il fratello fosse morto.
«Simone» ripeté, con voce calma, dopo aver abbassato gli occhi, sollevandoli di nuovo placidi davanti a lui. «Ebbene?»
«Ebbene, siamo qui!»
E continuava a sorriderle con tutti i suoi bei denti serrati, come un bambino che vuol frenare uno scoppio di riso; pareva contento di averle fatto una sorpresa, ma era sopratutto contento dell’accoglienza di lei.
«Ebbene, Marianna, tu pure sei uscita a bandiare1?»
Tutti e due risero, un poco, come d’intesa; tosto però Marianna vide gli occhi di lui cercare i suoi con uno sguardo che la turbò: e come egli si accostava fino a toccarle le ginocchia, indietreggiò d’un passo, altera.
Intanto il padre s’era affacciato alla porta della cucina asciugandosi sulle brache la mano insanguinata, e accennando col capo agli ospiti di avanzarsi, di entrare. Entrarono e sedettero, nonostante il caldo, attorno al focolare.
Simone si guardò in giro, salutando le cose che ben riconosceva: le pareti nere di fumo, il tetto basso, le stuoie su cui aveva dormito i suoi sonni profondi d’adolescente, le panche rozze, i recipienti di sughero, le pelli e le pietre e tutti gli altri oggetti d’ovile che odoravano di cacio e di cuoio e davano alla rozza stanza l’aspetto di una tenda di pastori biblici. Di fronte al finestrino nel cui sfondo verdeggiava il bosco, s’intravedeva, attraverso l’uscio aperto, la stanzetta attigua che aveva anche una porta verso la radura: l’ambiente pulito, col lettino bianco di Marianna, il tavolo, un quadretto e un piccolo specchio alla parete, contrastava con quello della cucina.
Ella chiuse l’uscio di comunicazione e si mise alle spalle di Sebastiano perché si accorse ch’egli già, pure senza adombrarsi, spiava con malizia i movimenti di lei; ma egli si volse di fianco e continuò ad osservarla.
«Marianna!» disse Simone. «Mi pare un sogno di rivederti.»
«Pure a me, Simone!»
«Era da tanto che volevo farti una visita! Ma non sapevo se la gradivi…»
Marianna fece un gesto con la mano, per accennargli che cessasse, che tacesse, su quell’argomento ingrato: e lui arrossi, per l’orgoglio della fiducia di lei.
«Come va che sei da queste parti? È un bel po’ che non ti si vedeva» disse il padre, mentre Sebastiano preso il lembo del grembiale di Marianna glielo tirava un poco, facendole dei cenni con la testa perché si chinasse, che aveva da dirle qualche cosa in segreto. Ella stava rigida; le sembrava che Simone a sua volta la osservasse e voleva apparirgli in tutto il suo nuovo stato di donna oramai seria, di ricca proprietaria. Simone infatti la guardava, pure rispondendo alle domande di quello che un tempo era stato piú che suo padrone suo compagno di servitú.
«Si, era quasi un anno che non passavo di qui, zio Berte! Son già cinque anni che non rivedevo Marianna vostra. Dunque il canonico è morto? Che uomo curioso era! Marianna, ti ricordi che si cresceva gli anni? Dieci, se ne cresceva, forse perché la vita gli sembrava troppo breve, per chi sta bene come stava lui: e una volta si arrabbiò tanto perché Fidela la serva, (è ancora viva, malanno?) andò in chiesa e fece cercare sui libri la vera età di lui.»
«Bene, sí, è forse per credere di vivere di piú» ammise Sebastiano: «eppoi lui li passava bene gli anni, e aveva ragione per aumentarseli.»...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- Marianna Sirca
- I
- II
- III
- IV
- V
- VI
- VII
- VIII
- IX
- X
- XI
- XII
- XIII
- XIV
- XV
- Copyright