I conti tornano
eBook - ePub

I conti tornano

Da un passato oscuro a un futuro incerto

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

I conti tornano

Da un passato oscuro a un futuro incerto

Informazioni su questo libro

Saul Bellow ha riunito per la prima volta in questo volume quarant'anni di meditazioni e digressioni sulla vita, sull'arte, sui "misteri della nostra comune natura umana". I conti tornano è il taccuino di un "umanista" che, come molti dei memorabili personaggi da lui creati, ama la realtà delle cose e del mondo, insegue ogni stimolo e, con consapevolezza intellettuale oltre che morale, si oppone alla resa al vuoto, al nulla, che percorre il mondo contemporaneo. Che ci parli del suo prediletto Mozart o della società tecnologica, di Chicago o di Proust, dell'arte di scrivere romanzi o di quella di cercare tartufi in Toscana, a manifestarsi è sempre la coscienza di uno scrittore che non teme il confronto con la varietà dell'esperienza, un uomo che ostenta – come ha scritto lui stesso – "il rifiuto di condurre una vita delusa". E a chi gli contesti di essere a volte forse un poco impertinente o provocatorio, si potrà sempre rispondere con le parole di Herzog: «Non dobbiamo dimenticare con quanta rapidità le intuizioni di un genio diventano prodotti in scatola per intellettuali. I luoghi comuni della visione del mondo quale Terra Desolata, i dozzinali stimolanti mentali dell'Alienazione, tutti gli sproloqui che si fanno sull'Inautenticità e la Desolazione... Io questo sciocco squallore non lo posso accettare. Qui si sta parlando della vita dell'umanità intera».

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a I conti tornano di Saul Bellow, Franca Cavagnoli in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804455042
eBook ISBN
9788852056468
Parte Quarta

PENSIERI IN TRANSIZIONE

Lettera dalla Spagna

(1948)
La prima cosa che si nota in Spagna, ancor prima della gente, delle strade e del paesaggio, è la polizia: la Guardia Civil con i cappelli luccicanti e circolari che sembrano di legno, le falde appiattite sulla nuca, cappelli reali poiché vengono portati visibilmente sulla testa ma che, a differenza del fucile mitragliatore che ogni guardia ha con sé, non sono realmente reali. Poi è la volta della polizia in uniforme grigia con l’aquila rossa sulle maniche e i fucili in spalla. Persino il custode del parco, un vecchio in costume da cacciatore svizzero, con una penna floscia, il giacchettino senza maniche in cuoio, i gambali frusti, gira armato di fucile. Quindi la polizia segreta; nessuno sa quanti tipi ce ne sono, ma se ne vedono parecchi. Sull’espresso Irun-Madrid i nostri passaporti furono controllati da un poliziotto che, entrato risolutamente nello scompartimento, girò il risvolto della giacca facendoci vedere la mostrina di smalto blu, giallo oro e rosso. Era un tipo tranquillo, sereno e poco sistematico, e faceva lunghi sospiri mentre trascriveva il numero di alcuni passaporti su un taccuino che aveva con sé, sfogliandone le pagine come fosse incerto sulla prossima mossa da compiere vista la sua autorità. Dopo aver sussurrato Adios, uscì. Il treno continuò ad arrancare verso le ville di Santander sfavillanti di fiori, con le pareti di legno del vagone che sobbalzavano. I sedili erano lunghi e signorili, ciascun poggiatesta ricoperto di pizzo; su uno sedeva uno spagnolo che, passando accanto al porto, intavolò con noi una conversazione – non a caso, di proposito – impedendomi così di vedere le navi nelle acque argentee della sera, striate di venature color carbone. Ci impartì una lezione sulla modernità di Santander invitandoci a porre domande sulla vita in Spagna, sulla storia, la geografia, l’industria e il carattere nazionale spagnoli, e senza essere interrogato, aggrottando la fronte stretta e spingendo avanti i palmi delle mani come un fotografo che intimi di restare fermi, cominciò a parlare di energia idroelettrica, con dettagli minuziosi sulle turbine, l’impianto elettrico, i trasmettitori e quant’altro. Eravamo americani e dunque interessati alle questioni meccaniche. Non ero un ingegnere, gli dissi. Tuttavia finì il suo discorso e mi guardò come se dovessi proporre a mia volta un tema più vicino ai miei interessi. Era un ometto vivace e nervoso dal colorito olivastro, con occhi scrutatori, aggressivi e melanconici. Indossava un severo vestito di gabardine scuro, lucido per lo sporco, e scarpe allacciate solo a metà. L’oscurità si era ormai infittita e il treno continuava a inerpicarsi su per i monti; sotto di noi apparvero le fattorie, lontane nelle verdi vallate scoscese. «È in vacanza?» domandò. «Vedrà tante cose belle.» Le enumerò: l’Escorial, il Prado, l’Alhambra, Siviglia, Cadiz, la taza de plata. Lui aveva visto tutto; era stato dappertutto; aveva combattutto ovunque. «In Spagna?» chiesi. Certo, in Spagna, e poi in Russia e in Polonia come membro della Divisione Azzurra contro i Rossi. Era essenzialmente un soldato; veniva da una famiglia di militari; suo padre era un ufficiale di alto grado dell’esercito, un colonnello dell’aviazione. Mi mostrò il palmo della mano, c’era una cicactrice bianca: il suo ricordo di Albacete. Proprio allora una guardia, un giovane dinoccolato e rosso come un gambero, aprì la porta scorrevole dello scompartimento; l’uomo scattò in piedi, afferrò la maniglia e la tenne ferma. Rivolto alla guardia, pronunciò rapidamente alcune parole a mezza voce e poi richiuse la porta. Qualcuno, certamente non uno degli spagnoli seduti nello scompartimento, disse: «Hay sitio». C’era ancora posto per due persone. Ma il figlio del colonnello tenne segreti i suoi piani e, scavalcando le gambe dei viaggiatori, tornò al proprio posto e riprese la conversazione – soltanto con me, questa volta, e in tono confidenziale; per qualche tempo ancora una traccia dell’espressione con cui aveva liquidato la guardia gli indugiò sul volto, sottolineando il potere del suo incarico. Sì, era della polizia e faceva tre viaggi alla settimana tra Irun e Madrid. Il suo lavoro gli piaceva. Essendo un vecchio combattente, tutto quel rumore e quei sobbalzi non gli davano fastidio; nello scompartimento a fianco cantavano e qualcuno accompagnava ritmicamente il canto con le mani e con i piedi; quando ne ebbe abbastanza, li fece smettere. La paga non bastava per il suo stile di vita, ma era in attesa di una buona enchufe, una sinecura, alla quale credeva di avere diritto. Per fortuna poteva arrotondare il magro stipendio scrivendo. Scriveva romanzi, e attualmente era impegnato in un lungo romanzo storico in versi. Quando si mise a parlare dei poeti che ammirava, citandone i versi con solennità e reverenza, un lampo caldo e visionario gli attraversò lo sguardo. Pensai che fosse giusto così: dato che molti scrittori europei ambivano a diventare poliziotti, la polizia aspirava a scrivere.
Nel frattempo il cielo si era oscurato, e il treno si infilava con le sue luci fioche tra gli alberi e le rocce oppure si fermava per qualche istante in stazioni illuminate da luci altrettanto fioche. Folle di passeggeri attendevano nella foschia, e il corridoio si riempiva sempre più. Nessuno si dava veramente da fare per entrare nello scompartimento; il figlio del colonnello ricacciava tutti indietro. Noi, gli americani, eravamo affidati a lui, e lui era ben deciso a farci trascorrere una notte comoda, con il posto necessario per allungare le gambe e dormire. Ma poi, a causa del sovraffollamento, i posti liberi vennero occupati e, rendendosi conto della nostra disapprovazione per i suoi metodi, l’uomo non cercò di cacciare i nuovi venuti. Continuò a essere sollecito come prima. Quando staccai un pezzo del pane comprato a Hendaye, nel vedermi mangiare un prodotto tanto scadente inorridì. Dovevo assaggiare la sua tortilla. Tirò giù la valigia, sfiorò la serratura che si aprì di scatto. La tortilla era in un contenitore di latta rotondo. Sotto c’era qualche copia di “Green Hornet”, “Coyote” e altre riviste da quattro soldi. L’uomo tagliò una grossa fetta grigia. Mangiai quel che potei, scusandomi di non riuscire a finire la tortilla, e uscii nel corridoio. La maggior parte della gente lì stipata viaggiava da una stazioncina all’altra, una folla di gente humilde, triste, sciatta e stanca della vita, che riposava addossata alla parete, china sulle barre di ottone lungo i finestrini, con occhi tristissimi e narici nere; donne e uomini infagottati in ampi scialli o imbacuccati in cappelli che appiattivano la testa, creando un effetto di sproporzione nelle lunghe facce scure; melanconici, ma con un guizzo che si opponeva a quella desolazione, come pronti a soccombere ma non per molto – la dignidad degli spagnoli.
I passeggeri dello scompartimento di fianco facevano sempre più baccano, sicché il figlio del colonnello andò a redarguirli. Tornai al mio posto e lui al suo. Intavolò subito una nuova conversazione. Stanco delle sue chiacchiere e di compiacerlo, mi rifiutai di rispondere e alla fine l’uomo tacque. Poi qualcuno tirò giù la tendina, spense la luce, e tutti cercammo di prendere sonno.
Il mattino dopo il corridoio era vuoto, completamente sgombro. Il figlio del colonnello disse: «Tra poco passeremo accanto all’Escorial, dove ci sono le tombe dei re». Feci finta di niente. Il treno scendeva lungo il fianco della montagna avvolto da un pennacchio di fumo. I campi bassi, che si stendevano da ambo i lati fino alle pendici dei monti, erano riarsi dalla siccità, bruciati, desolati, nient’altro che stoppie e polvere. Ben presto ecco apparire i sobborghi di Madrid e la stazione. Sulla banchina mi accorsi che il figlio del colonnello era proprio dietro di me e, sotto le arcate fuligginose e nel caos da girone infernale della stazione mi tenne dietro, mesto e con il fiato grosso. Presumibilmente, per completare il suo rapporto, aveva bisogno di sapere dove avrei alloggiato. Dal pulmino dell’albergo vidi il volto olivastro nella folla di facchini, vetturini e procacciatori di clienti per alberghi e pensioni; teneva gli occhi sul suo bagaglio mentre lo caricavano, lo sguardo acceso; cercando di non incrociare il mio, continuò a guardare come procedevano i lavori. Era riuscito nel suo intento, dunque!
Sempre e solo polizia. In ogni albergo ci sono moduli della polizia da compilare, e i passaporti vanno registrati al commissariato. Per ottenere un biglietto ferroviario bisogna rilasciare una dichiarazione in cui si specifica lo scopo del viaggio e senza un triptico, un salvacondotto, non si può partire. Nessun consolato e nessuna ambasciata possono concedere un visto senza la salida della polizia. Accanto al luogo in cui furono sparati i primi colpi sulle truppe napoleoniche, la facciata larga della Seguridad domina la Puerta del Sol con le finestre oscurate munite di sbarre. È la polizia che concede l’autorizzazione per le radio. Nelle camere ammobiliate di provincia, la polizia perquisisce i bagagli. La donna che vive nella grotta scavata nella scogliera vicino al Manzanarre non esita a dire: «Siamo qui con il permesso della policia». Dicono che le carceri sono piene. Ci sono autobus di linea regolari da Cibeles, nel centro della città, alla prigione di Carabanchel. Su un tram vicino alla Porta di Toledo ho visto arrestare due persone, un vecchio e un ragazzo di diciotto anni; li avrebbero condotti là. Li avevano ammanettati, e una coppia di guardie, con l’immancabile fucile mitragliatore, li stava portando via. Il ragazzo, con i capelli folti fin sul collo e due rughe prematuramente profonde sotto gli occhi, aveva la precaria noncuranza dell’infelicità e dell’odio più profondi. Dalla tasca gli usciva uno sfilatino di pane. Il vecchio aveva un braccio solo, era tutto sporco e pieno di cicatrici. Dalle alpargatas dalla suola di corda gli sbucavano i piedi. Era quasi calvo, e da sotto i fini capelli grigi si irradiavano le linee di una ferita ormai guarita. Lo guardai, e lui scrollò appena le spalle in segno di resa, senza aprir bocca; ma quando scesi a Mataderos, tra gli edifici distrutti durante la guerra civile, si azzardò a levare una mano e a fare un cenno di saluto, impedito dalle manette di acciaio.
Con tutta probabilità quelli erano criminali comuni, non Rojos. Questi vengono arrestati a centinaia ogni mese, e i processi a Alcalá de Henares continuano senza tregua. I prigionieri politici rilasciati dalle carceri sovraffollate sono in libertà condizionata e mostrano i documenti sui quali è necessario il timbro ufficiale del giorno. Molti di loro non possono ottenere un permesso di lavoro e vivono come possono per le strade, lucidando scarpe, aprendo le portiere dei taxi, vendendo biglietti della lotteria e chiedendo l’elemosina.
Nel centro di Madrid ogni tanto si vedono edifici sventrati, ma in genere nei barrios più eleganti sono rimaste poche tracce della guerra civile. Sulla Gran Via i negozi sembrano americani da tanto sono lussuosi, e le folle riunite davanti ai caffè al tramonto, lo sguardo fisso sull’ampia curva della strada con le sue banche, chiese e uffici governativi, somigliano a quelle dei bar di New York e di Washington. Nei cinema più belli si proiettano pellicole hollywoodiane, e la smania di buone cose americane – Buicks, nailon, penne Parker 51 e sigarette – è simile a qulla delle altre capitali del mondo ma, come in quasi tutte le capitali, non ci sono dollari e il mercato nero prospera. La polizia non interferisce. Gli ambulanti girano tra i tavoli offrendo penne e sigarette. Alcune, soprattutto le penne, sono chiaramente false; i pacchetti delle Lucky Strike sono ben fatti; i bolli azzurri del dazio sono perfetti; le sigarette sono piene di letame e paglia tagliuzzata. Arriva un ragazzino, vuole vendere un enorme anello d’oro. Il gioiello irradia bagliori tra le mani a coppa del fanciullo, che accentua l’azione furtiva, l’espressione freneticamente circospetta. È un brutto anello pesante e quadrato, e uno si chiede chi sarà mai a comprarlo. Il ragazzino sussurra: «È rubato», e lo offre per duecento pesetas, cento, cinquanta, poi ci rinuncia con sguardo triste e annoiato e passa a un altro tavolino. Le donne sventolano i biglietti della lotteria e supplicano tenaci. Alcune hanno in braccio bambini ciechi o storpi e ne mostrano le membra menomate o rattrappite. Una, con movimento esperto, gira il bambino e mi mostra un viso coperto di piaghe e un paio di occhi purulenti. Juanita, la signora basca che gestisce la mia pensione, mi dice che la maggior parte di questi bambini viene ceduta quotidianamente a nolo ai mendicanti di professione. Affari, dice con disprezzo.
Nella sala da pranzo della pensione la conversazione ruota soprattutto intorno alle stelle del cinema. La moglie del comandante ripartisce le sue preferenze tra James Stewart e Clark Gable. Le sorelle Sanchez, che sono nate a Hong Kong e parlano bene l’inglese, sono per Brian Aherne e Herbert Marshall, tipi inglesi. Anche il comandante ha le sue preferenze e la sua voce asciutta, aspra e nervosa va ad aggiungersi al crepitio delle donne. Il comandante è magro, corretto, controllato e astioso; ha la faccia butterata, la pettinatura alta, occhi neri. Lui e la señora non mangiano il pane che mangiamo noi. Quotidianamente ricevono dal mercato nero uno sfilatino di pane bianco, e a mezzogiorno lui arriva con il pane sotto il braccio come fosse un frustino da ufficiale. Quando entrano c’è un piccolo scalpiccio militare, lei agita il ventaglio muovendosi a passettini svelti, lui ci ignora, ma china il capo. Anche nei giorni più caldi la giubba del comandante è abbottonata fin sotto la gola. Recandomi in sala da pranzo in maglietta e pantofole, so di offenderlo. Siede torvo al suo posto e usa il ventaglio della señora per raffreddare la minestra. La sua è una dignidad altezzosa e sgradevole, che rode, il tipo più odioso.
Nella pensione c’è una persona importante, un ammiraglio di stanza al ministero, che non mangia mai in sala da pranzo e che spesso, il pomeriggio, gira in pigiama per i locali bui e riparati dai tendaggi, muovendosi a tentoni. Juanita entra nel suo appartamento senza bussare, e si capisce chiaramente che sono in intimità. Le Sanchez spiegano imbarazzate che l’ammiraglio deve molto a Juanita, la quale, durante la guerra civile, ha nascosto e curato il figlio malato dell’ammiraglio, o forse il nipote, e lui ha giurato di ricompensarla. La Repubblica è stata ingiusta nei confronti dell’ammiraglio. Insegnava all’accademia navale per uno stipendio da fame. Il comandante ha servito la patria sotto Franco, in Marocco, e ora è a capo di una scuola militare. Ha fama di essere un uomo assai disciplinato, mi informano le sorelle Sanchez con orgoglio. Quanto a loro, sono state educate in convento.
Gli altri sono tutti borghesi, persone con contatti importanti se possono permettersi una pensione come questa, beneficiari di enchufismo, di raccomandazioni; letteralmente, l’enchufe è una presa di corrente. Un qualsiasi impiego pubblico – e uno deve essere, dal punto di vista politico, immacolato come un agnello sacrificale per ottenerlo – comporta uno stipendio di cinque o seicento pesetas al mese, circa venti dollari, e dato che le cose enchufes hanno prezzi molto simili a quelli americani (più alti, in molti casi; mezzo chilo di caffè costa al mercato nero due dollari e mezzo), per vivere in modo confortevole un uomo ha bisogno di enchufes. Se, tramite influenze familiari o amicizie altolocate nella chiesa e nell’esercito, ha vari lavori, fa il giro dei ministeri per timbrare il cartellino di entrata e di uscita. Ogni tanto possono chiedergli di fare un lavoretto, e lui lo fa para cumplir, per ottemperare all’obbligo, ma il più in fretta possibile. Fa parte della tradizione. Tutti i regimi spagnoli hanno usato gli stessi mezzi per impedire la disaffezione dei ceti colti. I programmi governativi “moderni” vengono assai pubblicizzati. Di recente è stato annunciato un sistema di previdenza sociale sul modello del piano Beveridge, e per consultazioni è stato invitato Sir William in persona. Ma il vero obiettivo di tali programmi è quello di estendere la portata dell’enchufismo, giacché i sussidi reali a malati e disoccupati, previsti dal progetto assistenziale, ammontano a circa tre pesetas al giorno, quanto basta per comprare il pane. Franco ha grandi ambizioni, come Mussolini, ma la Spagna è troppo povera; i costi per restare al potere sono troppo alti perché lui le realizzi. Gli edifici dei Nuovi Ministeri, che avrebbero dovuto ergersi monumentali all’inizio del Paseo de la Castellana, sono ricoperti di ponteggi lasciati chiaramente a metà.
Per le famiglie borghesi prive di enchufes le difficoltà sono terribili. Bisogna indossare un vestito europeo, una camicia da duecento pesetas, una cravatta e mostrarsi in pubblico con le alpargatas di corda del popolo è inconcepibile. Avere una domestica è essenziale. E poi la moglie deve essere elegante, e i bambini vanno vestiti e mandati a scuola. Bisogna restare aggrappati alla propria classe. Cadere in quella inferiore è una perdita incommensurabile. La miseria è qualcosa di antico, stabile, immemorabile, e compreso da tutti. La nuova miseria, quella di mantenere presentabile il vestito buono, di risparmiare i soldi per andare al cinema in modo da poter dare il proprio contributo alla conversazione quando si parla del Poema di Bernadette, di darsi da fare per restare al passo tra gli sbandati a caccia di cose desiderabili, le immagini del regno terreno riflesse in un americano qualsiasi, non è tuttavia la vera miseria. Quella la si vede nei condomini e tra le macerie abitate, nei vecchi forni e nelle grotte, tra gli sciami umani nel putridume e nello sfacelo di Vallecas e Mataderos.
A Madrid l’estate è arida e senza nubi. Il fragore del tuono è assai raro. Quando lo si sente, le cameriere urlano: «Una tormenta!» e, sfrecciando per le stanze della pensione, chiudono le finestre. Attraverso il pozzo di aerazione la bionda Bibi mi grida, con voce tesa e bellicosa: «Il temporale!», vacilla dietro il vetro color fumo e lascia gli spessi tendaggi a vibrare come il sipario di un palcoscenico all’ultimo grido di una tragedia. Poi la pioggia comincia a scendere con tonfo sordo, cade con la pesantezza di gocce di mercurio.
Dieci minuti dopo è tutto finito; altri dieci minuti e le strade sono asciutte. Nei giorni più caldi le vie e i carubi vengono innaffiati mattino e sera. I parchi sono percorsi da fossati di irrigazione e non si vede un filo d’erba. La sola erba che abbia visto a Madrid, l’aiuola davanti al Prado, era mantenuta in vita dagli spruzzi continui degli irrigatori. Uscendo dal centro della città, il verde si fa sempre più esiguo finché, dai pianori desolati, riarsi dal sole dei distretti periferici, che si affacciano su fossi ricoperti di erbacce e fili bruni, non si vedono che le macchie di verde dei giardini sparsi qua e là sulla pianura immensa, ogni giardino con il palo diagonale di un mazzacavallo che si innalza tra il granturco.
Il Manzanar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I CONTI TORNANO
  4. Ringraziamenti
  5. Prefazione
  6. Mozart: una ouverture
  7. Parte Prima - DIGRESSIONI
  8. Parte Seconda - SCRITTORI, INTELLETTUALI, POLITICA
  9. Parte Terza - IL PUBBLICO DISTRATTO
  10. Parte Quarta - PENSIERI IN TRANSIZIONE
  11. Parte Quinta - QUALCHE ADDIO
  12. Parte Sesta - IDEE E IMPRESSIONI
  13. Copyright