
- 378 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Un episodio della vita di Goethe: il poeta, ormai vecchio, riceve la visita di un antico amore: la Carlotta del Giovane Werther. La delicata storia di un retrospettivo rimpianto sentimentale che si trasforma nella più complessa e coraggiosa interpretazione novecentesca della figura di Goethe.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Carlotta a Weimar di Thomas Mann, Lavinia Mazzucchetti in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Print ISBN
9788804181385eBook ISBN
9788852043475Carlotta a Weimar
Capitolo primo
In una giornata ancor quasi estiva del tardo settembre 1816 al cameriere dell’Albergo all’Elefante di Weimar, un tal Mager, uomo non senza istruzione, toccò un caso che lo commosse e gioiosamente lo turbò. Non che l’evento fosse fuor del naturale, e tuttavia si può dire che per un istante a Mager parve di sognare.
In quel giorno, al mattino poco dopo le 8, arrivarono con la posta ordinaria di Gotha e scesero davanti alla ben nota locanda sulla piazza del mercato tre donne che a un primo sguardo – ed anche ad un secondo – non offrivan nulla di particolare. Non era difficile indovinare quali fossero i rapporti reciproci: eran mamma, figliola e cameriera. Mager, che se ne stava al portone d’ingresso pronto agli inchini della prima accoglienza, aveva lasciato che il facchino aiutasse le due signore a scendere dal predellino, mentre la servetta di nome Chiarina si congedava dal postiglione al cui fianco aveva fatto il viaggio e col quale sembrava essersi piacevolmente intrattenuta. Questi la sbirciava sorridente, pensando forse al dialetto forestiero parlato dalla viaggiatrice, e la seguì ancora con uno sguardo ironico e distratto mentr’essa si calava da cassetta, non senza superflue contorsioni, gesticolazioni e moine. Poi prese il corno che gli pendeva sul dorso e, con gran diletto di alcuni ragazzi e viandanti mattinieri presenti all’arrivo, intonò una melodia sentimentale.
Le signore, volgendo le spalle alla casa, stavano ancora presso la carrozza, attente a sorvegliare il modesto bagaglio, e Mager attese il momento in cui, tranquillizzate circa i loro averi, si volsero verso l’ingresso per farsi loro incontro sul marciapiede in perfetto atteggiamento da diplomatico, mostrando un sorriso devoto e pur lievemente esitante sulla faccia smorta incorniciata da una barbetta rossastra, la persona stretta in una marsina tutta chiusa, con una pezzuola stinta che sbucava di sotto il colletto a scialle ed i calzoni che scendevano su due piedi molto grandi.
«Buon giorno, amico mio!» disse la signora anziana, una matrona non lontana certo dalla sessantina, piuttosto grassoccia, con un abito bianco ed uno scialle nero, mezzi guanti di filo ed una capote alta, che lasciava intravedere capelli ricci, di quel grigio cenere che succede al biondo. «Abbiam bisogno di alloggio per tre: una camera a due letti per me e la piccina» (la piccina non era nella prima giovinezza, ma verso i trent’anni, aveva riccioli castani a cavatappi e portava un collaretto arricciato; il nasino affinato della madre era diventato in lei un po’ troppo rigido e appuntito) «e una stanzetta non troppo lontana per la cameriera. Sarà possibile?»
Gli occhi azzurri della signora si volgevano, senza badare al cameriere, con uno sguardo opaco e signorile verso la facciata dell’albergo, e la boccuccia, un poco sprofondata fra l’adipe senile delle guance, si moveva con grazia singolare. In giovinezza doveva essere stata più attraente di quanto fosse la sua figliola. Si notava però in lei un tremito nervoso del capo, che serviva d’altra parte a dar forza alle sue parole, invitando al consenso, così che sembrava esserne causa piuttosto la vivacità che la debolezza, o almeno ambedue insieme.
«Certamente!» assicurò il cameriere mettendosi a fianco della madre e della figlia, mentre la servetta che reggeva una cappelliera li seguiva verso l’ingresso. «Abbiamo sì, come sempre, molti ospiti, e ci capita facilmente di essere costretti ad opporre un rifiuto anche a persone di gran conto, ma faremo quanto sta in noi per dar piena soddisfazione ai desideri delle signore.»
«Bene, molto gentile» replicò la viaggiatrice, e scambiò con la figliola un’allegra occhiata di commento al modo complimentoso ed all’accento spiccatamente sassone e turingico con cui parlava quell’uomo.
«Vuole accomodarsi? La prego!» disse Mager facendola entrare con gran complimenti nell’atrio dell’albergo. «L’ufficio è a destra. La signora Elmenreich, la padrona della nostra casa, sarà lietissima di riceverla. Vuol favorire?»
Madama Elmenreich, con una freccia nell’alta pettinatura, il busto eretto e protetto per la vicinanza della porta da una giacca di lana, troneggiava accanto alle penne, allo spolverino e ad un pallottoliere dietro una specie di banco che divideva dal vestibolo la nicchia fungente da ufficio. Un impiegato, staccatosi dal suo leggìo, parlava in inglese con un signore che indossava un gran mantello, il proprietario forse dei bagagli ammonticchiati all’ingresso. La padrona, il cui sguardo flemmatico parve piuttosto evitare che osservare le signore, rispose con un dignitoso cenno del capo al saluto della cliente e all’abbozzato inchino della figlia, ascoltò la richiesta trasmessa da Mager e prese una pianta dell’albergo, che si diede a percorrere con la punta della matita.
«Ventisette» decretò volgendosi al facchino in grembiule verde che attendeva con i bagagli delle signore. «Non posso darle una camera per la ragazza. Questa dovrà dormire con la cameriera della contessa Larisch di Erfurt. Abbiamo molti clienti con servitù in questo momento.» Chiarina fece il broncio dietro le spalle della padrona, ma questa si dichiarò contenta. «Sapranno andar d’accordo» osservò, e pregò, mentre già si avviava, che la accompagnassero in camera sua e vi facessero portar subito anche le valigie.
«Senz’altro, madama» disse il cameriere. «Ma ci sarebbe ancora una formalità cui provvedere. In caso di vita o di morte noi chiediamo due righe scritte. Non è la nostra pedanteria, bensì della santa polizia, che rimane sempre la medesima. Vien fatto di ripetere che “leggi e diritti si perpetuano come malattia senza fine”. Posso pregarla di volersi compiacere?...»
La signora rise e lanciò un’altra occhiata alla figliola scotendo il capo stupita e divertita.
«Ma sicuro» replicò «me ne dimenticavo. Facciamo il nostro dovere. Lei del resto, a quel che sento, è una testa fina, istruito e di buona memoria. Qua dunque.» E riaccostandosi al banco prese con le dita della mano mezzo guantata il gessetto appeso ad una cordicella che la padrona le porgeva e, sempre ridendo, si chinò sulla lavagna degli arrivi, dove figuravano già alcuni nomi.
Scriveva con lentezza, smettendo a poco a poco di ridere e facendo seguire alla sua ilarità solo uno strascico di lievi suoni divertiti e sospirosi. Ma forse per l’incomodità della posa, divenne intanto più forte e visibile il moto nervoso del capo.
Tutti stavano a guardarla. La sbirciava alle spalle la figlia, corrugando le belle sopracciglia arcuate (un’eredità della madre) e con la bocca chiusa atteggiata a lieve scherno, mentre dall’altro lato la osservava il cameriere Mager, un poco per vedere se riempiva senza errori le singole rubriche segnate in rosso, un poco per curiosità provinciale e per la soddisfazione non scevra da malignità di cogliere l’istante in cui uno è costretto a rinunciare alla parte sempre comoda dell’incognito e a farsi individuare. Anche il cliente inglese e l’addetto all’ufficio avevan per altra ragione smesso di parlare e osservavano la signora dalla testa tremolante tracciare le lettere con cura quasi puerile. Mager lesse battendo le ciglia: «Consigliera di corte, vedova Carlotta Kestner, nata Buff, da Hannover. Ultimo soggiorno: Goslar, nata l’11 gennaio 1753 a Wetzlar, con figlia e domestica».
«Basta così?» domandò la signora, e poiché nessuno le rispose, decise da sola: «Deve bastare!». Così dicendo volle deporre il gessetto con energia sulla lavagna, ma, dimenticando che non era libero, fece cadere il supporto di metallo che lo reggeva.
«Che malaccorta!» disse arrossendo, e gettò un’altra occhiata alla figlia, che teneva gli occhi abbassati e aveva sempre la bocca chiusa e la piega ironica delle labbra. «Pazienza, non è gran malanno e tutto sarebbe ora fatto. Vediamo di andar finalmente in camera.» E s’avviò un poco impetuosamente verso la scala.
La figlia, la cameriera, Mager ed il facchino calvo tutto carico di valigie, borse e cappelliere, la seguirono sino alla scala. Mager non aveva smesso di ammiccare e continuò mentre camminava, ripetendo tre o quattro battiti con le ciglia per sostar poi un momento con gli occhi arrossati ed immobili e la bocca aperta in una maniera particolare, non precisamente da tonto, ma anzi voluta ed accurata. Fu al primo pianerottolo che egli fece sostare tutto il gruppo.
«Domando scusa!» disse. «Domando mille scuse se la mia domanda... Ma non è volgare curiosità sconveniente... Abbiamo forse il privilegio di parlare con la signora vedova del consigliere di corte Kestner, con madama Carlotta Kestner, nata Buff, di Wetzlar...?»
«Son proprio quella» confermò la vecchia signora con un sorriso.
«Volevo dire... Capisco, ma volevo dire – non si tratta alla fine di Carlotta, di Lotte Kestner, nata Buff, quella della Casa Tedesca, della Casa dell’Ordine Teutonico di Wetzlar, l’antica...»
«Si tratta proprio di lei, carissimo. Ma non sono per nulla antica, sono molto attuale, e desidererei assai che la camera assegnatami...»
«Immediatamente!» esclamò Mager accingendosi a testa bassa a rimettersi in moto, ma subito si fermò come ipnotizzato, incrociando le mani. «Buon Dio!» mormorò commosso. «Buon Dio! La signora deve perdonarmi se i miei pensieri non si familiarizzano subito con simile identità, e con la prospettiva che essa ci schiude... È direi quasi un fulmine a ciel sereno... La nostra casa ha dunque l’onore impareggiabile di ospitare la vera ed autentica... il prototipo, se mi è lecito chiamarla... insomma, io ho la fortuna di esser di fronte alla Lotte del Werther...»
«Pare che sia proprio così, amico mio» ammise la signora con tranquilla dignità, lanciando un’occhiata di rimprovero alla servetta che ridacchiava. «E se questo fosse per lei un motivo di più per mostrare senz’altro ritardo una camera a queste povere donne stanche del viaggio, non avrei da lamentarmene.»
«Sul momento» gridò Mager mettendosi quasi a correre. «La nostra camera numero ventisette purtroppo è al secondo piano. Le nostre scale sono comode, come la signora può constatare, ma se avessimo saputo... Senza dubbio, nonostante l’affollamento, si sarebbe potuto... Comunque la stanza è ottima, dà direttamente sulla piazza e non dovrebbe spiacerle. Non è molto che l’hanno occupata il signor maggiore di Egloffstein con la sua consorte, provenendo da Halle, quando son venuti a far visita alla loro zia, la consorte del primo ciambellano dello stesso nome. Nell’ottobre del 1813 ci stava un aiutante di sua altezza imperiale il Granduca Costantino. È quasi un ricordo storico... Ma, buon Dio, che vado parlando di ricordi storici i quali per una persona sensibile non reggono certo il confronto con... Ancora pochi passi soltanto, signora. Dalla scala non ha più che pochi passi lungo questo corridoio. Tutto è stato imbiancato di fresco, come può vedere. Alla fine del 1813, dopo la visita dei cosacchi del Don, abbiamo dovuto rinnovare a fondo ogni cosa: le scale, le stanze, i salotti ed i corridoi, il che del resto era da un pezzo necessario. Ma le selvagge violenze degli storici eventi ce lo hanno imposto, dal che forse si potrebbe dedurre l’insegnamento che la vita non si rinnova senza una energica collaborazione della violenza. Non vorrei d’altra parte attribuire ai cosacchi soltanto il merito dei nostri restauri. Abbiamo avuto in casa anche usseri prussiani e ungheresi, senza parlare dei francesi che li han preceduti... Ma eccoci arrivati. Posso pregare la stimatissima consorte del consigliere aulico di entrare?»
Si inchinò dandole la precedenza e spalancò la porta della camera. Gli occhi delle ospiti si posarono con fugace esame sulle cortine di mussola delle due finestre, sulla consolle a specchi con cornice dorata ma lievemente appannata e macchiata, sui due letti bianchi con un unico baldacchino e sul resto degli arredi. Alla parete c’era una stampa rappresentante un paesaggio con un tempietto classico, il pavimento era lucido e pulitissimo.
«Molto graziosa» disse la signora.
«Come saremmo felici se lor signore potessero sentirsi qui discretamente a loro agio! Qualunque cosa mancasse, ecco il cordone del campanello. Superfluo dire che provvederò subito all’acqua calda. Saremmo straordinariamente felici se incontrassimo il favore della egregia signora...»
«Ma certo, caro amico. Siamo gente alla buona, per nulla viziata. Tanti ringraziamenti, buon uomo» aggiunse rivolta al facchino che aveva depositato sull’apposito sostegno il suo carico e stava per andarsene. «E grazie anche a lei, amico» disse poi con un cenno di congedo a Mager. «Abbiamo quel che ci occorre e vorremmo soltanto...» Mager però restava immobile ed imperterrito, con le dita intrecciate e gli occhietti arrossati fissi sui lineamenti della vecchia dama.
«Gran Dio!» riprese «quale evento degno di ricordanza! Forse la signoria vostra non arriva a comprendere i sentimenti di un uomo di cuore cui tocchi inaspettatamente e imprevedutamente un caso del genere, con tutte le sue sconvolgenti prospettive... La signora è in certa maniera avvezza a tutto questo ed alla identità che a noi la fa sacra; ella prende la cosa in certo modo alla leggera, senza ben misurare come un’anima sensibile e incline sin dalla giovinezza alla letteratura, non essendovi per nulla preparata, rimanga scossa nel far conoscenza – se così posso esprimermi e ne domando scusa – nell’incontrarsi con una personalità circonfusa dall’aureola della poesia e per così dire trasportata su braccia ardenti sino al cielo della eterna gloria...»
«Mio caro amico» lo interruppe la viaggiatrice con sorridente protesta, benché l’accennare del capo, fattosi notevolmente spiccato alle parole di Mager, avrebbe potuto esser inteso anche come un consenso. La cameriera che le stava alle spalle considerava con curiosità divertita il volto del cameriere, commosso sin quasi alle lacrime, mentre la figlia nel fondo della camera si dedicava con ostentata indifferenza al bagaglio. «Mio caro amico, io sono una donna molto semplice e senza pretese, sono una persona come tante altre, mentre lei ha una maniera così ricercata e solenne di esprimersi...»
«Io mi chiamo Mager» disse il cameriere come se volesse dare una spiegazione. Pronunciò “Magher” secondo il suo accento dialettale morbido, con una intonazione che sembrava di preghiera insinuante. «Sono, se non è vanità dirlo, il factotum della casa, la cosiddetta mano destra della signora Elmenreich padrona dell’albergo – la signora è vedova, già da anni, il signor Elmenreich è mancato nell’anno 1806, in tragiche circostanze di cui non è il caso di parlare, vittima degli storici eventi. Nella mia situazione, egregia signora, e tanto più in tempi quali ha attraversato la nostra città, si viene a contatto con persone di ogni sorta, ci passan dinanzi figure eminenti, eminenti per nascita o per meriti, e finisce così per stabilirsi una certa impassibilità naturale di fronte ai contatti con personaggi altolocati ed implicati negli eventi mondiali, con nomi che suscitano rispetto ed eccitano la fantasia. Proprio così, egregia signora. Ma dove è finita adesso la mia indifferenza professionale! Mai in vita mia, lo posso confessare, ebbi il compito di accogliere e di servire un cliente che abbia turbato il mio cuore e la mia mente come lei oggi, in questo incontro davvero degno di essere registrato! È pur sempre così: io non ignoravo che la spettabilissima damigella, il modello di quella deliziosa ed immortale figura, era ancora tra i viventi, e proprio nella città di Hannover – appunto ora mi rendo conto di averlo ben saputo. Ma tale notizia non aveva per me alcuna realtà e mai ho concepito la possibilità di trovarmi a faccia a faccia con questa creatura consacrata. Non l’ho davvero mai sognato! Quando mi destai stamattina – non sono trascorse che poche ore – ero convinto che sarebbe seguita una giornata come cento altre, una giornata mediocre, riempita dalle consuete ed abituali funzioni legate al mio mestiere, giù nell’atrio o alla table d’hôte. Mia moglie – io sono sposato, egregia signora, madama Mager ha un posto direttivo in cucina – mia moglie potrà testimoniare che non ho in alcun modo manifestato il presentimento di cose straordinarie. Pensavo che stasera mi sarei coricato per nulla differente da come mi ero alzato. Ed ecco che quel che meno si attende ci tocca! Come ha ragione la saggezza popolare con questa semplice osservazione! La signora perdonerà il mio turbamento ed anche la mia sconveniente loquacità. Il cuore quand’è pieno trabocca, dice il popolo nel suo modo non letterario e pur tanto espressivo. Se la consorte del consigliere di corte sapesse l’amore e la venerazione da me consacrati, si può dire sin dalla fanciullezza, al principe dei poeti, al grande Goethe, se conoscesse il mio orgoglio di cittadino di Weimar nel poter dir nostro tale sublime personaggio... Se ella sapesse come appunto I dolori del giovane Werther sian sempre stati per questo cuore... Ma io ammutolisco, signora, lo so che non mi è lecito andar oltre – benché sia pura verità che un’opera sentimentale di tal genere a tutti appartiene, e a tutti, siano essi di alto o di basso ceto sociale, prodiga le più intime commozioni, mentre forse può dirsi che su prodotti quali Ifigenia o la Figlia naturale possono elevare le loro pretese soltanto le classi superiori. Se ripenso quante volte madama Mager ed io ci siam curvati la sera al lume della candela con animo estasiato su quelle pagine divine, e se intanto mi rendo conto che in questo momento godo la leggiadra presenza della celeberrima ed immortale eroina di quella storia... io, un pover’uomo! In nome del cielo, egregia signora!» gridò battendosi la mano sulla fronte: «Io chiacchiero e d’un tratto mi sento gelare al pensiero che non ho neppur chiesto se la signora consigliera ha già preso il caffè!».
«Grazie, amico» replicò la vecchia dama, che aveva seguito lo sfogo del brav’uomo con uno sguardo raccolto ma non senza un tremar delle labbra; «l’abbiamo preso di buon mattino. Del resto, caro signor Mager, lei va troppo oltre nelle sue identificazioni ed esagera non poco scambiando senz’altro me, o anche solo la ragazzina che ero allora, con l’eroina di quel libriccino tanto discusso. Non è lei il primo cui debbo dir questo, anzi lo vado predicando da ventiquattr’anni. Quella figura letteraria, la quale ha poi acquistato un’esistenza così celebrata e diffusa, che qualcuno potrebbe venire a proclamar lei la più vera e reale delle due, al che io tuttavia protesterei – quella ragazza dunque si differenzia notevolmente dal mio io – anche a non parlare del mio io presente. Ognuno può vedere che ho gli occhi azzurri, mentre la Lotte di Werther li ha neri.» «Una licenza poetica!» esclamò Mager. «Sappiam tutti che cosa sia una licenza poetica! Ma, stimatissima signora, essa non riesce a detrarre alcun titolo all’identità dominante! Se anche il poeta se ne è servito per una specie di gioco a rimpiattino, per cancellare le orme...»
«No» disse Carlotta con un cenno di diniego «gli occhi neri hanno un’altra provenienza.»
«E se anche fosse!» s’accalorò Mager. «Ammettiamo pure che l’identità sia un tantino affievolita da simili minime differenze...»
«Ve ne sono di ben più grandi» lo interruppe energicamente la signora.
«... ma rimane pur sempre intatta l’altra identità, che alla prima si assomma e da lei è inscindibile: la identità con se stessa, voglio dire con quella persona essa pur leggendaria di cui il Grande Uomo ci ha dato di recente nei suoi ricordi un’immagine così affettuosa, e se ella non è in ogni particolare la Lotte del Werther è però senza nessuna deduzione l’autentica Lotte di Goe...»
«Egregio Mager» lo interruppe la viaggiatrice «ci volle del tempo perché avesse la cortesia di mostrarci la nostra camera. Ma evidentemente lei non si rende ora conto di impedirci di prenderne possesso.»
«Oh, signora» scongiurò il cameriere dell’Elefante a mani giunte «voglia perdonarmi! Voglia perdonare a un uomo che... la mia condotta è senza scusa, lo so, e tuttavia io invoco la sua assoluzione. Mi allontanerò immediatamente... Del resto mi sento trascinato» soggiunse «trascinato, anche all’infuori da ogni cortesia e convenienza, già da un pezzo a correre altrove. Se penso che la signora Elmenreich sino a questo momento non ha certo il minimo sospetto, che non ha probabilmente neppure gettata un’occhiata sulla lavagna e che comunque nella sua ingenuità... E madama Mager, pensi un poco! Mi sento da un pezzo proprio trascinato a correr da lei in cucina, per servirle calda la grande novità cittadina e letteraria... Tuttavia, signora, e proprio per completare la novità sconvolgente, io ho l’ardire di chiederle perdono per un’unica ultima domanda... Quarantaquattro anni! E la vedova del consigliere aulico nel corso di questi quarantaquattro anni... non ha mai riveduto il signor consigliere segreto?»
«Proprio così, amico» rispose. «Io conosco il giovane avvocato tirocinante, il dottor Goethe della Gewandtgasse di Wetzlar, ma non ho mai veduto coi miei occhi il ministro di Weimar, il grande poeta della Germania.»
«È un pensiero che sconvolge, signora» mormorò piano Mager «che sconvolge! La signora è dunque venuta a Weimar per...»
«Son venuta a Weimar» lo interruppe la matrona in tono quasi altero «per rivedere dopo tanti ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- di Thomas Mann
- Carlotta a Weimar
- Introduzione - La fiamma e la farfalla - di Roberto Fertonani
- Cronologia
- Bibliografia
- Carlotta a Weimar
- Copyright