
- 320 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Fiorirà l'aspidistra
Informazioni su questo libro
Gordon Comstock ha sacrificato tutto: la carriera, le ambizioni dei genitori, la rispettabilità borghese, in nome dell'arte, nella vaga speranza di diventare un famoso scrittore. Ma tutti i suoi sogni e i suoi sacrifici saranno vanificati dall'annuncio di una prossima paternità, avvenimento destinato a ricondurlo alle oscure ma solide soddisfazioni di un'esistenza comune.
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Informazioni
VII
I pennacchi di fumo dei camini aleggiavano perpendicolari contro la rosea foschia del cielo.
Gordon prese l’autobus 27 alle otto e dieci. Le strade erano ancora immerse nel loro sonno domenicale. Sui gradini delle soglie le bottiglie di latte attendevano il cambio come piccole sentinelle bianche. Gordon disponeva di quattordici scellini, o per meglio dire, tredici scellini e nove pence, perché il biglietto dell’autobus costava tre pence. Nove scellini li aveva sottratti alla paga – Dio solo sapeva che cosa tutto ciò avrebbe provocato più avanti nella settimana! – e cinque li aveva avuti in prestito da Julia.
Era andato a casa di Julia giovedì sera. La stanza di Julia in Earl’s Court, sebbene fosse soltanto sul retro di un secondo piano, non era una qualunque camera d’affitto come quella di Gordon. Era una camera da letto-salotto, con l’accento sul salotto. Julia avrebbe preferito morire di fame, piuttosto che rassegnarsi allo squallore in cui viveva Gordon. Infatti, ogni capo di mobilia della stanza, racimolati a intervalli di anni, rappresentava un periodo di inedia. C’erano un divano-letto, che si poteva anche confondere con un sofà, un tavolino rotondo di quercia verniciata di nero, due seggioloni di legno duro “stile antico”, uno sgabello per i piedi molto decorativo e una poltrona ricoperta di una fodera di cotonina stampata – di Drage: tredici rate mensili – di fronte al minuscolo caminetto a gas; e c’erano varie mensole con le fotografie incorniciate di papà, mammà, Gordon e zia Angela, un calendario di betulla – regalo natalizio di qualcuno – con la scritta, “È una lunga strada diritta, senza svolte”, pirografata sul legno. Julia deprimeva Gordon in modo orribile. Egli si diceva sempre che sarebbe dovuto andare a trovarla più spesso; ma in pratica non si faceva mai vivo con lei se non per farsi “imprestare” dei quattrini.
Quando Gordon ebbe picchiato tre volte – tre colpi per il secondo piano – Julia lo condusse su, nella sua camera, e s’inginocchiò davanti alla stufetta a gas.
«Mi conviene riaccendere il fuoco» disse. «Ti andrebbe una tazza di tè, non è vero?»
Egli notò quel “riaccendere”. La stanza era atrocemente fredda: il fuoco non vi era stato acceso in tutta la sera. Julia era sempre intenta a “risparmiare il gas” quand’era sola. Egli guardò la sua lunga schiena stretta, mentre se ne stava ginocchioni. Come le si ingrigivano i capelli! Intere ciocche erano ormai grigie! Ancora un po’ e sarebbe stata “tutta grigia”.
«Il tè ti piace forte, non è vero?» alitò Julia, librandosi sulla scatola del tè con movimenti teneri, d’oca.
Gordon sorbì la sua tazza di tè in piedi, gli occhi sul calendario di betulla. Su, deciditi! Fuori tutto e falla finita! Pure, quasi quasi gliene mancava il coraggio. La meschinità di quell’odioso elemosinare! A quanto dovevano ammontare i quattrini che s’era fatto “imprestare” in tutti quegli anni?
«Sai, Julia, non so come scusarmi… non sai quanto mi sia penoso chiedertelo… ma senti, Julia…»
«Dimmi, Gordon» ella disse con voce tranquilla. Sapeva che cosa doveva venire.
«Sai, Julia, devi avere pazienza, ma non potresti imprestarmi cinque scellini?»
«Sì, Gordon, direi di sì.»
Andò a pescare la piccola e logora borsetta di pelle nascosta in fondo al cassetto della biancheria. Egli sapeva che cosa lei stesse pensando. Che avrebbe avuto meno quattrini per i regali di Natale. Era il grande avvenimento della sua vita ormai: Natale e la distribuzione di piccoli doni: l’andare a caccia per le vie luccicanti di umidità, la sera tardi, dopo la chiusura della sala da tè, per contrattare da un banco all’altro di negozio, e scegliere la paccottiglia di cui le donne sono così appassionate. Portafazzoletti, portabiglietti, teiere, servizi di manicure, calendari di betulla con motti pirografati. Durante tutto l’anno riusciva a racimolare dalla sua misera paga per “il regalo di Natale a questo e a quella”, o per “il regalo del compleanno del tale”. Non aveva forse, l’ultimo Natale, perché appassionato di poesia, regalato a Gordon le Poesie scelte di John Drinkwater rilegate in marocchino verde, che lui aveva rivenduto poi per mezza corona? Povera Julia! Gordon se ne andò coi suoi cinque scellini appena poté decentemente farlo. Come si spiega che uno non abbia il coraggio di accettare il prestito di un amico ricco, ma sia capace di chiederlo a una parente che muore di fame? È vero che una persona di famiglia “non conta”, naturalmente.
Sull’imperiale dell’autobus, si dedicò a un po’ di aritmetica mentale. Tredici scellini e nove pence in tasca. Due biglietti di andata e ritorno per Slough, cinque scellini. Biglietti d’autobus, altri due scellini, sette scellini. Pane, formaggio e birra in qualche locanda, diciamo uno scellino a testa, totale nove scellini. Tè, otto pence a testa, totale dodici scellini. Uno scellino per le sigarette, tredici scellini in tutto. Gli restavano nove pence per eventuali imprevisti. Ce l’avrebbero fatta abbastanza bene. Sì, e per il resto della settimana? Non un penny per fumare! Ma si rifiutò di lasciarsi amareggiare da queste considerazioni. La giornata odierna ne valeva la pena, comunque.
Rosemary fu puntuale. Era una delle sue virtù quella di non essere mai in ritardo, ed ora, anche così presto, si rivelò piena di vita e di buon umore. Era vestita con discreta eleganza, come sempre. Portava ancora il suo buffo cappello da ecclesiastico anglicano, dato che Gordon aveva detto che gli piaceva. Avevano la stazione praticamente tutta per loro. L’immenso luogo grigio, deserto e in disordine, aveva un’aria scapigliata e non lavata, come se stesse smaltendo nel sonno una baldoria del sabato sera. Un portabagagli sonnacchioso indicò loro tra uno sbadiglio e l’altro il modo migliore per andare a Burnham Beeches, e dopo pochi minuti si ritrovarono in una vettura di terza classe, fumatori, in viaggio verso l’ovest, mentre la desolazione di Londra veniva diradandosi e lasciando il posto a campi stretti e fuligginosi, punteggiati da pubblicità delle Pillole Carter per il Fegato. La giornata era placida e calda. La preghiera di Gordon era stata esaudita. Era proprio una di quelle giornate senza vento che sembrano ancora d’estate. Potevi sentire il sole dietro la nebbia; ancora un istante e sarebbe comparso, con un po’ di fortuna. Gordon e Rosemary si accorsero di essere immensamente e piuttosto assurdamente felici. C’era un senso di sfrenata avventura in quell’andarsene da Londra, con una lunga giornata tutta “in campagna” davanti. Erano mesi per Rosemary e almeno un anno per Gordon dall’ultima volta ch’erano stati in campagna. Sedevano stretti l’uno accanto all’altra, col Times della domenica aperto sulle ginocchia, ma non lo leggevano, guardavano invece i campi fuggire via ondulando, insieme con le mucche, le case, gli autocarri vuoti e i grandi stabilimenti addormentati. Entrambi godevano quel viaggetto in treno talmente che rimpiansero che non fosse più lungo.
A Slough scesero e continuarono il viaggio per Farnham Common in un assurdo autobus color cioccolata senza imperiale. Slough era ancora semiaddormentato. Rosemary si ricordò la strada che bisognava fare ora che erano a Farnham Common. Bisognava fare a piedi una strada tutta solchi profondi fino a emergere in un gran campo ricoperto d’una stupenda erba grassa e alta, punteggiato di piccole betulle nude. Il bosco di betulle era più avanti. Non una fronda, non un filo d’erba si muovevano. Gli alberi si levavano come spettri nell’aria immobile, nebbiosa. Rosemary e Gordon lanciarono contemporaneamente un’esclamazione a tanta bellezza. La rugiada, la pace, i rami di raso delle betulle, la morbidezza delle zolle erbose sotto i piedi! Ciò nonostante, si sentirono dapprima piccoli e fuori di posto, come avviene ai londinesi quando si ritrovano fuori di Londra. Gordon ebbe la sensazione d’essere vissuto per lunghissimo tempo sotto terra. Si sentiva pallido e male in arnese. Camminando, fece in modo di restare indietro, in modo che Rosemary non vedesse la sua faccia segnata, scolorita. Inoltre, si accorsero d’essere senza fiato dopo qualche centinaio di metri, dato ch’erano avvezzi a camminare per Londra; e per la prima mezz’ora quasi non aprirono bocca. Penetrarono nel bosco e si diressero verso ponente, senza avere un’idea chiara di dove andassero: ovunque, purché fosse lontano da Londra. Tutto intorno, le betulle si levavano torreggianti, curiosamente falliche con la loro liscia corteccia simile a pelle e le scanalature alla base. Nulla cresceva intorno alle loro radici, ma le foglie morte erano sparse così fittamente che in distanza le pendici parevano pieghe di seta color rame. Non un’anima sembrava vegliare. Infine, Gordon venne a mettersi al fianco di Rosemary. Camminarono tenendosi per mano, frusciando fra le foglie secche, ramate, che il vento aveva sospinto nei solchi della strada. Talvolta giungevano a un tratto di strada dove avevano a passare davanti a grandi case desolate, sontuose case di campagna, un tempo, ai giorni delle carrozze e delle diligenze, ma ora abbandonate e invendibili. In fondo alla strada, le siepi indistinte nella nebbia portavano quello strano color di ruggine della robbia rossa che i rami spogli assumono di inverno. Qualche uccellino svolazzava qua e là, ghiandaie, a volte, che passavano tra gli alberi a volo radente, e fagiani, che bighellonavano sulla strada con le lunghe code striscianti, domestiche quasi come galline, consapevoli, si sarebbe detto, d’essere al sicuro la domenica. Ma in mezz’ora Gordon e Rosemary non avevano incontrato un essere umano. Il sonno gravava su tutta la vasta regione campestre. Era difficile credere di trovarsi a sole venti miglia da Londra.
Dopo un po’ s’accorsero che la camminata aveva sciolto loro i muscoli, avevano il respiro meno affannoso, ora, e il sangue scorreva loro incandescente nelle vene. Era una di quelle giornate in cui ti senti capace di percorrere cento miglia, se necessario. Ad un tratto, dopo che furono ritornati sulla strada, la brina per tutta la lunghezza della siepe si mise a scintillare con un lampeggiamento diamantino. Il sole era riuscito a forare le nubi. La luce pioveva di sghembo, gialla, sui campi, e tinte delicate, inattese scaturirono da ogni cosa, come se il bimbo di qualche gigante fosse stato lasciato libero di giocare con la sua nuova scatola di colori. Rosemary prese il braccio di Gordon, stringendolo contro di sé.
«Dio, Gordon, che giornata meravigliosa!»
«Sì, meravigliosa.»
«E, oh, guarda, guarda! Guarda tutti quei conigli laggiù, in quel campo!»
Infatti, all’altra estremità del campo, conigli innumerevoli stavano brucando, quasi come un gregge di pecore. Ad un tratto, ci fu come uno stormire ai piedi della siepe: un coniglio vi si era acquattato. Balzò dal suo nascondiglio in mezzo all’erba, con un tremolio di rugiada e sfrecciò via per il campo, la bianca coda sollevata. Rosemary si gettò fra le braccia di Gordon. Faceva incredibilmente caldo, caldo come d’estate. Premettero i loro corpi insieme in una specie di estasi priva di sensualità, come bambini. Qui, all’aria aperta, gli fu possibile vedere con estrema chiarezza i segni del tempo sul volto di lei: Rosemary aveva quasi trent’anni e li dimostrava, e lui ne aveva quasi trenta e ne dimostrava anche di più; ma la cosa non aveva importanza alcuna. Le tolse quell’assurdo cappello schiacciato. I tre capelli bianchi scintillarono sulla sommità del capo. In quell’istante, egli non desiderò che non ci fossero: erano parte di lei e pertanto adorabili.
«Che bello essere qui solo con te! Sono proprio contento che siamo venuti!»
«E, oh, Gordon, pensare che abbiamo tu...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- George Orwell
- Fiorirà l’aspidistra
- I
- II
- III
- IV
- V
- VI
- VII
- VIII
- IX
- X
- XI
- XII
- Copyright