
- 154 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il segreto di Luca
Informazioni su questo libro
Storia di Luca, ergastolano innocente, e di Andrea Cipriani che, trascurando i doveri della sua carriera politica, cerca di capire le ragioni della condanna che ha straziato la vita di un uomo. Il racconto sofferto di una ingiustizia sopportata in silenzio.
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Informazioni
Il segreto di Luca
1
Con passo lento, ma regolare, il vecchio salì l’ultimo tratto della ripida e rocciosa scorciatoia. Dove questa si ricongiungeva con la strada rotabile, sopra un piedestallo di pietra si ergeva una grande croce di ferro. L’uomo vi si fermò accanto per riprendere fiato e asciugarsi il sudore. Dietro alla croce una donna stava accoccolata per terra. Era una giovane contadina vestita di nero con una tovagliola bianca sulla testa. Non era chiaro se riposasse o pregasse. Accanto teneva una grande cesta di peperoni rossi. Sul piedestallo della croce vi erano scolpite queste parole: Ricordo della Missione dei PP. Passionisti – Quaresima 1900.
Lo sguardo dell’uomo si fissò sull’iscrizione. Intanto la donna osservava lo sconosciuto.
«Di dove siete?» gli chiese.
Ma l’uomo non rispose. Egli aveva l’aspetto d’un uomo sulla settantina, poverissimo, ma sano alto robusto, certamente ancora valido al lavoro, benché d’indefinibile mestiere. Caso raro tra la gente di campagna di quella contrada, egli non portava copricapo. I suoi capelli erano grigi e assai corti, la barba di alcuni giorni, i piedi scalzi. Il suo vestito pareva pulito, ma consunto e rattoppato; più singolare era il fatto che, in contrasto col gran caldo della stagione, esso fosse di panno pesante. Da una spalla gli pendeva una bisaccia, da cui sporgevano un filoncino di pane bianco e un paio di scarpe.
La donna cercò nella saccoccia della gonna una moneta e la porse allo sconosciuto. «Prendete» disse tendendo il braccio. L’imbarazzo di lui non fu da poco.
«Oh, no» disse. «Tante grazie. Vi pare?»
Quel rifiuto sorprese la donna.
«Non era per mortificarvi» ella si scusò. Poi aggiunse: «Venite da lontano? Conoscete queste parti?».
L’uomo non rispose, come se non avesse udito, e mosse alcuni passi per riprendere la sua strada; ma, nell’alzare lo sguardo sulla montagna che ora gli stava di fronte, bruscamente si arrestò.
«Oh» disse rivolto alla donna «e la selva?»
«Non lo sapevate?» rispose la donna.
L’uomo scosse ripetutamente la testa. La montagna si ergeva davanti a lui con la sua grossa gobba nuda e nera. Solo qua e là , spuntava qualche misero arbusto incolore.
«Bruciata?» domandò l’uomo con un’espressione di pena e orrore. «La guerra?»
«No» disse la donna «nessuno sa come. Forse la maledizione di Dio.»
«Quando accadde?» domandò l’uomo.
La donna rimase un po’ pensierosa.
«Non ricordo l’anno, né la stagione» ella rispose dopo aver riflettuto. «Ma ricordo che era un venerdì.»
«Di venerdì ce ne saranno stati parecchi negli anni scorsi» disse l’uomo con gli occhi fissi sulla costa desolata del monte.
«Sì, certo; ma non è sempre lo stesso venerdì che si ripete?»
L’uomo continuò il suo cammino seguendo la stradetta incavata sul fianco della montagna.
Alla prima svolta, su una collinetta di fronte, gli apparve l’intero paese. Una targa infissa alla sommità di un palo ne indicava il nome:
Cisterna dei Marsi
Alt. s. M. 950
Alt. s. M. 950
A destra e a sinistra della strada si stendevano ora campicelli di stoppie bruciate, con qualche esile mandorlo e cespugli di more. Prima di arrivare ai piedi della collina la strada passava sopra un ponte di pietra, sotto cui, in un alveo profondo, correva un ruscello. L’uomo scese per un sentiero a scaletta fin sull’argine di esso e vi cercò un po’ di spazio pulito per posarvi la bisaccia.
Proprio sotto il ponte il ruscello cadeva da una spalliera rocciosa e formava un piccolo bacino profondo e limpido. Per immergervi i piedi stanchi e polverosi egli si sedette su alcune zolle erbose dell’argine e si tirò i calzoni fin sopra i ginocchi. La corrente gelida dovette dargli una sensazione assai piacevole se subito egli cominciò a sgambettare nell’acqua con la vivacità di un ragazzo. A un certo momento chiuse gli occhi e sorrise. Ma dopo aver lasciato asciugare i piedi al sole, gli costò non poca pena d’introdurli nelle scarpe tolte dalla bisaccia. Le rimanenti abluzioni per rinfrescarsi le mani la faccia la nuca furono più rapide. Dopodiché egli si apprestò a dissetarsi: si distese interamente sull’argine e con la parte superiore del corpo si sporse sul ruscello e si chinò sull’acqua fino a lambirla col viso. Bevve a lunghe sorsate, come un cavallo al termine di un’intera giornata di fatiche. Fu mentre si rialzava e si asciugava il viso che qualcuno lo chiamò. A pochi passi da lui, all’ombra di un’acacia, giaceva sull’erba un uomo di cui non si era accorto.
«C’è la fontana» gli disse. «Per bere c’è la fontana all’entrata del paese.»
«Ah, ora avete la fontana?» l’uomo rispose.
«Di dove siete?» l’altro aggiunse. «Chi cercate?»
Senza rispondere, l’uomo si affrettò a risalire sulla strada e a raggiungere le prime case del paese. Erano le ore pomeridiane della canicola, ore di letargo e di apparente morte. Il paese sembrava disabitato. Le vie erano deserte, le porte e le finestre chiuse, silenziose. Lungo la via principale casette nuove, ancora fresche di muratura, si alternavano alle antiche, a mucchi di macerie e a baracche. Nell’interno del paese il passo dell’uomo si fece irregolare, ora svelto e nervoso, ora lento, con bruschi arresti. Davanti al vuoto di alcune case ridotte a mucchi di macerie, egli indugiò a guardare in alto, verso le finestre e i balconi scomparsi. Egli camminava in mezzo alla via. In quella luce abbagliante, in quella solitudine di macerie e di muri nessuno si accorgeva di lui. Sembrava uno spettro, un’anima in pena. Arrivato davanti alla vecchia chiesa, ebbe qualche momento di riflessione, poi si diresse verso il presbiterio. Ma come raggiungere il campanello dell’ingresso? Un uomo mal ricoperto di stracci, dormiva davanti alla soglia, nella polvere e tra le mosche; era magro e nero, pareva un cadavere carbonizzato. Bastò tuttavia la sola ombra dello sconosciuto a svegliarlo.
«Cosa cercate a quest’ora?» egli mormorò seccato aprendo appena le palpebre.
«Il parroco.»
L’uomo ebbe una smorfia lieve di disperazione.
«Quante volte devo ripetervi» bisbigliò «che il giorno dell’elemosina è venerdì?»
L’altro insisté:
«Non posso parlare col parroco?»
«A quest’ora don Franco dorme» rispose l’uomo con voce lamentosa. «Chi non dorme a quest’ora?»
All’altro interessava però un chiarimento.
«Come avete detto che si chiama il parroco?» gli chiese.
«Don Franco, col vostro permesso.»
«In questo caso, scusate il disturbo» disse l’altro. «Non è lui che cercavo.»
Egli fece a ritroso il giro della chiesa e s’inoltrò nel groviglio dei vicoli della parte più antica del paese, stretti come corridoi. Il suo passo risuonava sull’acciottolato come quello di un viandante notturno. In quel silenzio si udirono all’improvviso spalancarsi le imposte di un balcone al primo piano di una vecchia casa, e subito si vide una donna vestita di nero, alta, magra, visibilmente cieca, avanzare verso la ringhiera e chinare il viso con le occhiaie vuote nella direzione dei passi che si avvicinavano.
«Di chi è questo passo?» gridò una voce stridente. «Uomo, ho già udito il vostro passo.»
I passi tacquero di botto. L’uomo rimase immobile, come interdetto, in mezzo al vicolo, con lo sguardo fisso sull’improvvisa apparizione.
«Siete voi?» chiese varie volte la voce della donna in tono ansioso e supplichevole. «Siete voi?»
Ma ben presto a fianco di lei apparve una giovinetta che con dolci parole e maniere cercò di convincerla a rientrare.
«È un vagabondo» diceva la fanciulla. «È solo un vagabondo.»
«Attenzione ai falsi vagabondi» gridò la cieca ancora non convinta.
L’uomo non si mosse finché non vide interamente richiuse le imposte del balcone; quindi riprese il suo camminare, ma con passo più leggero, quasi in punta di piedi. La sua mèta fu una piazzetta, non lontana di lì, per tre lati attorniata da mucchi di macerie. Nell’altro lato stavano i resti di una modesta casa con la porta sprangata da un asse di legno, inchiodato di traverso sui due battenti. L’unico piano superstite aveva un fianco crollato, aperto alle intemperie e alle erbacce.
L’uomo depose la bisaccia per terra e si accinse a provare, con vari sforzi delle mani e delle spalle, la resistenza dell’asse che teneva uniti i battenti. Ma l’asse era di legno duro, castagno o faggio, e i chiodi erano grossi, arrugginiti e profondamente incavati.
«Fatica sprecata» gli gridò qualcuno sopraggiunto alle sue spalle senza che lui se ne accorgesse. «Conosco l’interno» aggiunse ridendo «non c’è più nulla da rubare.»
Era un ragazzino scalzo e senza camicia, con i capelli arruffati e i calzoncini corti sostenuti da bretelle di spago. Doveva essere uscito fuori da uno dei mucchi di macerie di lì accanto; delle macerie aveva anche il colorito terroso. L’uomo tentò ancora di abbattere la porta con alcune forti spallate.
«Ci vorrebbe un paletto di ferro» disse il ragazzo nascondendo qualcosa dietro la schiena.
«Un paletto, sì» disse l’uomo. «Ma dove trovarlo?»
«Se accetti di fare amicizia con me, t’offro il mio» disse il ragazzo rivelando l’oggetto che nascondeva dietro la schiena.
«Grazie» disse l’uomo incuriosito. «Come ti chiami?»
«Toni. E tu?»
«Luca. Chi è tuo padre?»
«Non lo so. Il mio soprannome è Testa Dura.»
L’uomo sorrise.
«Non te lo dico per vantarmi, né per paragonarmi a te» egli spiegò «ma alla tua età anch’io meritai lo stesso soprannome.»
Toni scoppiò a ridere, facendo rughe sulla maschera di fango che aveva sulla faccia; aveva gli occhi verdi, veramente rari, che gli davano un’espressione precoce di furberia e svegliatezza.
«Sai essere un amico?» egli chiese all’uomo con gravità . «Sai stare ai patti?»
«Credo di sì.»
«Sai tenere i segreti?»
«Toni, credo di sì. Hai ancora altre domande?»
«Per ora basta. Non abbiamo tempo da perdere prima che gli altri si sveglino.»
2
«Vi riceverò subito» disse il sindaco alla delegazione dei reduci che sostava nel corridoio davanti alla porta del suo ufficio. «Ne ho appena per un paio di minuti, abbiate pazienza.»
«Prima il carabiniere, poi noi?» protestò uno del gruppo.
Il sindaco si sforzò di sorridere ai reduci col suo faccione pallido e sudato, poi richiuse la porta dietro di sé e tornò al suo scrittoio. Accanto a esso era rimasto seduto il maresciallo dei carabinieri, anche lui accaldato e sfatto dalla canicola.
«Avete udito?» disse il sindaco. «Non è ancora un mese che ho questa carica e già non ne posso più.»
«Servire il popolo stanca» ammise il maresciallo con una punta d’ironia. «Cosa vogliono?»
«Partire, emigrare» borbottò il sindaco.
Dalla finestra spalancata arrivavano vampate di calura come dalla bocca d’un forno.
«Non si potrebbe chiudere?» supplicò il maresciallo.
«Non entrerebbe più aria» disse il sindaco. «Se volete, vi faccio venire una gazzosa.»
«Oh, voi la chiamate aria» disse il maresciallo.
Malgrado la giovane età e l’aitante corporatura, anche il sindaco appariva stanchissimo, addirittura avvilito. «Scusate» disse, e si tolse la giacca e la cravatta che buttò sulla macchina da scrivere. La camicia stretta, inzuppata di sudore e trasparente, gli avvolgeva il torace grassoccio come carta oleata. L’impressione era animalesca e il maresciallo non nascose una smorfia di nausea.
«Codesta faccenda» disse il sindaco «tutto sommato non m’interessa, anzi, neppure mi riguarda.»
«Quale faccenda?» domandò il maresciallo. «Vedo che non mi avete capito.»
«Voglio dire, il caso di codesto individuo, come si chiama?, che sta per uscire dal carcere.»
«Dall’ergastolo» corresse il maresciallo.
«Per me fa lo stesso. Non m’interessa, vi ripeto. Il suo delitto non fu politico.»
«Non fu né politico, né comune» spiegò il maresciallo. «Voi sapete come me che egli sta per uscire dall’ergastolo appunto perché riconosciuto innocente.»
«Va bene, lo segnalerò all’Ente d’assistenza comunale» disse il sindaco. «Non basta? Avremo un mendicante di più.»
«L’ordine pubblico non riguarda però l’assistenza» osservò il maresciallo.
«L’ordine pubblico? Dunque il ritorno d’un innocente, secondo voi, può mettere in pericolo l’ordine pubblico? Secondo voi, bisognerebbe dunque lasciarlo all’ergastolo?»
«Siete scoraggiante» disse il maresciallo. «Se credete, potremo magari riparlarne stasera, al fresco.»
«Mi trovate stupido?» domandò il sindaco ridendo. «Aspettate, vi prego, tornate a sedere. Spiegatemi bene il vostro punto di vista. Se volete vi faccio portare una gazzosa.»
«Mi riferivo all’impressione prodotta sui paesani dalla semplice notizia del prossimo ritorno di quell’uomo» cercò di spiegargli il maresciallo. «Non dovrebbe esservi sfuggita.»
«In verità , chi si ricorda di quell’uomo?» domandò il sindaco. «Egli fu condannato una quarantina d’anni fa. Chi lo conosce?»
«I vecchi» disse il maresciallo. «Non avete notato l’effetto della notizia sui vecchi?»
«Non ci pensavo. Questo è un paese di vecchi. Bene, cosa hanno detto i vecchi?»
«Nien...
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