
- 896 pagine
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Vent'anni dopo
Informazioni su questo libro
Le nuove ardimentose imprese di d'Artagnan e dei tre moschettieri Athos, Porthos e Aramis, sullo sfondo di una Parigi irriconoscibile, in cui lo splendore della corte di Luigi XIII ha lasciato il posto a una città misera e oppressa dal governo del cardinal Mazarino.
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Informazioni
Print ISBN
9788804488019eBook ISBN
9788852055072XXIII
L’abate Scarron
In rue des Tournelles c’era un’abitazione nota a tutti i portantini e a tutti i lacchè della capitale. Eppure non era né di un gran signore, né di un banchiere; non vi si mangiava, non vi si giocava e nemmeno vi si ballava. E tuttavia era un punto d’incontro della società elegante, e vi andava tutta Parigi. Era l’abitazione del piccolo Scarron.
Dallo spiritoso abate si rideva tanto, si spacciavano tante novità, e quelle novità si commentavano, si sminuzzavano e si trasformavano così presto o in novellette o in epigrammi, che ciascuno voleva andare a passare un’ora con il piccolo Scarron, udire ciò che diceva, e riferire altrove le sue parole. Molti ancora avevano smania di lanciarvi la loro frase, e, se lo facevano con brio, erano anch’essi bene accolti.
Il piccolo abate Scarron, che del resto era abate soltanto perché possedeva un’abbazia, e non perché fosse negli ordini, era stato tempo addietro uno dei più galanti prebendari della città del Mans ove dimorava. Un giorno di carnevale gli saltò in capo di tenere allegra quella buona città, di cui egli era l’anima. Si fece ungere tutto di miele dal suo cameriere, e poi, sventrato un letto pieno di piume e rotolatosi dentro, diventò il più grottesco volatile che si potesse vedere. Allora aveva cominciato a far visite agli amici e alle amiche in quello strano costume. La gente iniziò a seguirlo attonita quindi fischiando e urlando, poi un gruppo di facchini si mise a insultarlo, e infine i monelli lo presero a sassate e fu costretto a scappare per non essere lapidato. Mentre fuggiva, tutti gli erano corsi dietro, lo avevano incalzato, stretto, sospinto. Non aveva trovato altro mezzo di sottrarsi agli inseguitori che gettarsi nel fiume. Nuotava come un pesce, ma l’acqua era gelida. Scarron era tutto sudato: lo prese il freddo, e arrivato all’opposta riva, era rattrappito. Allora procurarono con ogni mezzo di rendergli l’uso delle membra. Tanto lo fecero soffrire con le cure che licenziò tutti i medici, dichiarando che preferiva starsene infermo. Poi tornò a Parigi, dove era già arrivata la sua fama d’uomo di spirito. Qui si fece fare una sedia di sua invenzione, e, facendosi trascinare su quella sedia, un giorno andò a far visita alla regina Anna; questa, che lo teneva in gran pregio, gli domandò se desiderasse qualche titolo.
«Sì, maestà» rispose Scarron, «ne ambisco uno.»
«E quale?»
«Quello di vostro infermo» rispose l’abate.
E Scarron, da allora, era stato nominato “l’infermo della regina”, con millecinquecento lire di pensione. Da quel momento, non più inquieto per l’avvenire, Scarron aveva condotto allegrissima vita, mangiandosi il capitale e la rendita.
Un giorno però un emissario del cardinale gli fece capire che aveva torto a ricevere in casa sua il signor coadiutore.
«E perché?» aveva domandato Scarron. «Non è uomo di alta nascita?»
«Sì, certamente!»
«Amabile?»
«Senza dubbio.»
«Spiritoso?»
«Purtroppo!»
«E allora» aveva risposto Scarron «perché volete che io non riceva un uomo simile?»
«Perché pensa male.»
«Davvero? E di chi?»
«Del cardinale.»
«Come!» aveva detto Scarron. «Io continuo ad accogliere il signor Gilles Despréaux, che pensa male di me, e pretendete che smetta di ricevere in casa mia il coadiutore perché pensa male di un altro? Non è possibile!»
Il colloquio era finito lì, e Scarron per picca si era trovato più spesso che mai con il signor di Gondy.
Ora, la mattina appunto del giorno a cui siamo giunti, e che era quella in cui scadeva il suo trimestre, Scarron, secondo il solito, aveva mandato il servitore con la ricevuta a riscuotere i tre mesi alla cassa delle pensioni, ma gli fu risposto: “che lo Stato non aveva più denaro per il signor abate Scarron”.
Quando il servo portò questa risposta a Scarron, egli aveva presso di sé il duca di Longueville, che si offerse di assegnargli una pensione doppia di quella toltagli dal Mazarino, ma l’accortissimo gottoso non l’aveva voluta accettare, e aveva fatto tanto che alle quattro pomeridiane tutta la città sapeva del rifiuto del cardinale. Per l’appunto era giovedì, giorno di ricevimento dell’abate; la gente v’intervenne in folla, e per tutta Parigi fu un furiosissimo protestare.
In rue Saint-Honoré, Athos incontrò due gentiluomini a lui ignoti, a cavallo come lui, seguiti anch’essi da un lacchè, e che facevano la medesima sua strada. Uno di loro, togliendosi il cappello, gli disse:
«Lo crederete, signore, che quel furfante di Mazarino ha soppresso la pensione al povero Scarron?»
«È stravagante!» replicò Athos, salutando a sua volta i due cavalieri.
«Si vede che siete un onest’uomo» soggiunse lo stesso che aveva già parlato, «e che il Mazarino è proprio un flagello.»
«Ohimè» esclamò Athos, «a chi lo dite mai!»
E si separarono dopo molti complimenti.
«Cade proprio a proposito» disse Athos al visconte, «che ci dobbiamo andare stasera. Diremo qualche parola a quel pover’uomo.»
«E chi è questo signor Scarron, che mette così a soqquadro Parigi?» domandò Raoul. «Forse qualche ministro in disgrazia?»
«Oh, no, visconte!» riprese Athos. «È semplicemente un povero gentiluomo di grande spirito, che sarà caduto in disgrazia del ministro per aver fatto qualche quartina contro di lui.»
«I gentiluomini compongono forse versi?» chiese Raoul ingenuamente. «Credevo che essi non ne scrivessero mai.»
«Sì, mio caro visconte» replicò Athos ridendo, «quando si fanno cattivi versi, ma se si fanno buoni, è un’altra dote che dà molto lustro. Guardate il signor di Rotrou. Ciò nonostante» continuò Athos con il tono di chi dia un consiglio salutare, «penso che sia meglio non farne.»
«Dunque» disse Raoul «questo signor Scarron è poeta?»
«Sì, eccovi avvertito, visconte, e in quella casa andate guardingo: non parlate che con gesti, o meglio, ascoltate soltanto.»
«Sì, signore» rispose Raoul.
«Mi vedrete discorrere molto con un gentiluomo mio amico: sarà l’abate d’Herblay, di cui spesso mi avete udito parlare.»
«Me ne rammento, signore.»
«Avvicinatevi a noi qualche volta come per parlarci, ma non dite nulla; e nemmeno ascoltate: quest’astuzia gioverà perché gli importuni non ci disturbino.»
«Benissimo, signor mio, vi obbedirò in tutto e per tutto.»
Athos andò a far due visite a Parigi. Poi, alle sette, s’incamminarono verso la rue des Tournelles. Ingombravano la strada portantine, cavalli e servitori. Athos si fece largo, ed entrò seguito dal giovane. La prima persona che lo colpì entrando fu Aramis, piantatosi accanto a una larghissima poltrona con le rotelle, sormontata da un baldacchino di drappo, sotto cui si agitava, avvolto in una coperta di broccato, un piccolo uomo, ancora giovane e allegro, ma spesso più pallido, senza che gli occhi cessassero però di esprimere un sentimento vivace, spiritoso o grazioso. Era l’abate Scarron ognora ridente, canzonatore, complimentoso, sofferente, e che si grattava con una bacchetta.
Intorno a quella specie di tenda mobile si affollavano molte dame e gentiluomini. La stanza era pulitissima e convenientemente addobbata. Grandi tendoni di broccato a fiorami, già di colori vivaci, ma ormai alquanto smorti, ricadevano dalle ampie finestre. La tappezzeria era modesta, ma di buon gusto. Due domestici assai cortesi e avvezzi alle buone creanze, disimpegnavano assai bene il loro servizio.
Appena Aramis ebbe visto Athos, gli andò incontro, lo prese per mano, lo presentò a Scarron, che dimostrò al nuovo ospite piacere e rispetto insieme, e fece al visconte un complimento spiritosissimo. Raoul restò interdetto perché non si era preparato all’incontro con quell’uomo di spirito. Tuttavia salutò con molta grazia.
Athos ricevette poi i complimenti di due o tre signori, a cui lo presentò Aramis, e, cessato a poco a poco il tumulto cagionato dal suo arrivo, la conversazione divenne generale.
Passati quattro o cinque minuti, che bastarono a Raoul per rimettersi e cominciare a capire il luogo e le persone, fu aperto l’uscio di nuovo e un servo annunciò madamigella Paulet.
Athos toccò con la mano la spalla del visconte.
«Raoul» gli disse, «guardate quella donna, poiché è un personaggio storico: da lei si recava il re Enrico IV quando fu assassinato.»
Raoul si scosse; da alcuni giorni si alzava...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione. di Giovanni Macchia
- Cronologia
- Bibliografia
- Vent’anni dopo
- I. Il fantasma di Richelieu
- II. Una ronda notturna
- III. Due antichi nemici
- IV. Anna d’Austria a quarantasei anni
- V. Guascone e italiano
- VI. D’Artagnan a quarant’anni
- VII. D’Artagnan è nell’imbarazzo,ma uno dei nostri vecchi conoscentiviene a soccorrerlo
- VIII. Delle influenze diverseche può avere una mezza pistolasopra uno scaccino e sopra un chierico
- IX. Come d’Artagnan, cercandoben lontano Aramis, si accorseche stava in groppa dietro Planchet
- X. L’abate d’Herblay
- XI. I due volponi
- XII. Il signor Porthos du Vallonde Bracieux de Pierrefonds
- XIII. Come d’Artagnan, nel ritrovare Porthos,si accorse che l’opulenzanon dà la felicità
- XIV. Dove è dimostrato che se Porthosera scontento del proprio stato,Mousqueton era contentissimo del suo
- XV. Due teste d’angeli
- XVI. Il castello di Bragelonne
- XVII. La diplomazia di Athos
- XVIII. Il signor di Beaufort
- XIX. Come si ricreava il signor duca diBeaufort nella torre di Vincennes
- XX. Grimaud entra in funzione
- XXI. Quel che contenevano i pasticcidel successore di compar Marteau
- XXII. Un’avventura di Marie Michon
- XXIII. L’abate Scarron
- XXIV. Saint-Denis
- XXV. Uno dei quaranta mezzi di fugadel signor di Beaufort
- XXVI. D’Artagnan giunge a tempo
- XXVII. La strada maestra
- XXVIII. Incontro
- XXIX. Il consigliere Broussel
- XXX. Quattro antichi amicisi preparano a rivedersi
- XXXI. Place Royale
- XXXII. Il traghetto dell’Oise
- XXXIII. Scaramuccia
- XXXIV. Il monaco
- XXXV. L’assoluzione
- XXXVI. Grimaud parla
- XXXVII. La vigilia della battaglia
- XXXVIII. Un pranzo d’altri tempi
- XXXIX. La lettera di Carlo I
- XL. La lettera di Cromwell
- XLI. Mazarino ed Enrichetta
- XLII. Come gli infelici prendano talvoltail caso per la Provvidenza
- XLIII. Lo zio e il nipote
- XLIV. Paternità
- XLV. Un’altra regina che chiede soccorso
- XLVI. In cui vien provato che il primoimpulso è sempre il migliore
- XLVII. Il Te Deum della vittoria di Lens
- XLVIII. Il mendicante di Saint-Eustache
- XLIX. La torre di Saint-Jacques-la-Boucherie
- L. La sommossa
- LI. La sommossa diventa rivolta
- LII. Le disgrazie fanno tornar la memoria
- LIII. Il convegno
- LIV. La fuga
- LV. La carrozza del signor coadiutore
- LVI. Come d’Artagnan e Porthos guadagnaronouno duecentodiciannove e l’altroduecentoundici luigi a vender paglia
- LVII. Giungono notizie di Athos e di Aramis
- LVIII. “Lo scozzese, spergiuro alla sua fè,A un denaro vendette il proprio re”
- LIX. Il vendicatore
- LX. Oliver Cromwell
- LXI. I gentiluomini
- LXII. Gesù Signore!
- LXIII. In cui si prova come nelle maggioridifficoltà i grandi cuorinon perdano mai il coraggio,né gli stomachi buoni l’appetito
- LXIV. Saluto alla maestà decaduta
- LXV. D’Artagnan prepara un piano
- LXVI. La partita al lanzichenecco
- LXVII. Londra
- LXVIII. Il processo
- LXIX. White Hall
- LXX. Gli operai
- LXXI. Remember
- LXXII. L’uomo mascherato
- LXXIII. La casa di Cromwell
- LXXIV. Colloquio
- LXXV. La feluca Il Lampo
- LXXVI. Il vino di Porto
- LXXVII. Fatalità
- LXXVIII. Dove Mousqueton, dopo avercorso il rischio di essere arrostito,corse quello di essere mangiato
- LXXIX. Ritorno
- LXXX. Gli ambasciatori
- LXXXI. I tre luogotenenti del generalissimo
- LXXXII. Il combattimento di Charenton
- LXXXIII. La strada della Piccardia
- LXXXIV. La riconoscenza di Anna d’Austria
- LXXXV. La sovranità di Mazarino
- LXXXVI. Precauzioni
- LXXXVII. La mente e il braccio
- LXXXVIII. Il braccio e la mente
- LXXXIX. I trabocchetti del Mazarino
- XC. Conferenze
- XCI. In cui si comincia a credereche alla fine Porthos sarà baronee d’Artagnan capitano
- XCII. Come con una penna e una minacciasi faccia meglio e più prestoche con la spada e con la devozione
- XCIII. Nel quale è provato come talvoltasia più difficile ai rerientrare nella capitale che uscirne
- Conclusione
- Copyright