
- 266 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il ciclo di Landover - 3. Mago a metà
Informazioni su questo libro
Questor Thwes, il mago pasticcione, è convinto di poter finalmente restituire sembianze umane ad Abernathy, il cane parlante che un tempo era lo scriba di Corte. Il complesso incantesimo sta per riuscire, quando un improvviso starnuto di Questor ne stravolge il risultato: Abernathy scompare e al suo posto rimane una bottiglia in cui è rinchiuso uno spirito maligno. Il nuovo pasticcio di Questor ha spedito Abernathy sulla terra e lì Ben Holiday e i suoi amici devono andare a cercarlo. Il viaggio è più lungo del previsto. E anche molto più insidioso. Ma Questor Thwes, nel momento del pericolo, non dimentica di essere un mago...
Un'avventura straordinaria, un incontro eccezionale tra il mondo delle fiabe e il mondo moderno.
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Informazioni
1
Starnuto
Ben Holiday si lasciò sfuggire un sospiro di stanchezza e desiderò di trovarsi in un posto diverso da quello in cui era. Desiderò di trovarsi in qualsiasi altro posto.
Era nel giardino d’inverno di Sterling Silver, probabilmente la stanza che preferiva fra i tanti saloni del castello. Era vivace e luminosa. Cassette di fiori s’incrociavano sul pavimento di piastrelle formando strisce abbaglianti di colore. Il sole entrava a fiotti dalle finestre alte dal pavimento fino al soffitto che correvano per tutta la lunghezza della parete meridionale, e minuscoli granelli di polline danzavano negli ampi fasci di luce. Le finestre erano aperte e dolci fragranze entravano sulle ali della brezza. La stanza guardava sul giardino vero e proprio, un labirinto di aiuole fiorite e di siepi che si estendeva su un pendio fino al lago sul quale sorgeva il castello dell’isola, mescolando e fondendo i colori come pennellate su una tela inzuppata di pioggia. I fiori sbocciavano tutto l’anno, inseminandosi spontaneamente con lodevole regolarità. Un orticultore proveniente dal vecchio mondo di Ben avrebbe ucciso per poter studiare tesori del genere, specie che crescevano soltanto nel regno di Landover e in nessun altro luogo.
Eppure, in quel momento, Ben avrebbe ucciso per fuggire da lì.
«…Grande Alto Signore…»
«…Possente Alto Signore…»
Quei richiami supplichevoli e familiari gli stridettero sui nervi come il gesso su una lavagna, rammentandogli di nuovo la causa del suo malumore. Roteò per un attimo gli occhi al cielo. “Per favore!” Il suo sguardo si spostò frenetico da una cassetta di fiori a un’aiuola e viceversa, come se la fuga che desiderava con tanta intensità si trovasse fra quei minuscoli petali. Non era così, ovviamente, e Ben si lasciò sprofondare ancor più nella poltrona imbottita di cuscini e meditò sull’ingiustizia cosmica. Non intendeva sottrarsi al suo dovere, non era indifferente a certi problemi, ma quello, santo cielo, era il suo rifugio! Quella doveva essere la sua oasi nella routine di tutti i giorni!
«…e si sono presi tutte le nostre riserve di bacche racimolate con tanta fatica.»
«E tutti i barilotti di birra di zenzero.»
«Mentre noi non avevamo fatto altro che prendere in prestito qualche chioccia, Alto Signore.»
«Avremmo sostituito quelle che erano andate perdute, Alto Signore.»
«Avevamo intenzione di essere corretti.»
«Sicuro.»
«Lei deve fare in modo che le nostre proprietà ci siano restituite…»
«Sì, deve farlo…»
Continuarono, fermandosi a stento per riprendere fiato.
Ben osservò Fillip e Sot nello stesso modo in cui il suo giardiniere osservava la gramigna nelle aiuole fiorite. Gli gnomi Va’ Via continuarono il loro spudorato e interminabile sproloquio, e lui rifletté sulle bizzarrie della vita che permetteva a sventure come quella di abbattersi su di lui. Gli gnomi Va’ Via erano una razza miserabile, creaturine sotterranee simili a furetti che mendicavano, prendevano in prestito e soprattutto rubavano tutto quello che capitava loro sottomano. Periodicamente migravano e, una volta insediati in un territorio, era impossibile sloggiarli. In generale, erano considerati una maledizione in terra. D’altro canto, si erano dimostrati incrollabilmente fedeli a Ben. Quando aveva acquistato il regno di Landover nel “Catalogo natalizio di sogni e desideri” dei grandi magazzini Rosen’s ed era arrivato nella valle, ormai quasi due anni addietro, Fillip e Sot erano stati i primi a giurargli fedeltà, a nome di tutti gli gnomi Va’ Via. Lo avevano aiutato nei suoi sforzi per consolidare il regno, e lo avevano aiutato di nuovo quando Meeks, l’ex mago di corte, era tornato in segreto a Landover per rubargli l’identità e il trono. Erano stati suoi amici in un momento in cui ne aveva ben pochi.
Emise un sospiro profondo. Bene, doveva loro qualcosa, senz’altro… ma non così tanto. Approfittavano della sua amicizia senza farsi il minimo scrupolo. L’avevano sfruttata per sottoporgli quell’ultima lagnanza, aggirando di proposito i canali regolari di quell’amministrazione di corte che aveva penato tanto per mettere in piedi. L’avevano brandita come una torcia fiammeggiante fino a snidarlo lì, nel suo rifugio più segreto. Non sarebbe stato tanto grave, se non avessero fatto così tutte le volte che c’era una lagnanza di qualunque genere… il che significava ogni cinque minuti, si sarebbe detto a volte… ma, naturalmente, era proprio quello che facevano. Non avevano fiducia nella giustizia e nell’imparzialità di nessun altro. Volevano che fosse il loro “grande Alto Signore” e “possente Alto Signore” ad ascoltarli.
E ascoltarli, e ascoltarli…
«…un provvedimento equo sarebbe la restituzione di tutti i beni rubati e la sostituzione di tutti i beni danneggiati» disse Fillip.
«Un provvedimento equo sarebbe mettere al nostro servizio parecchie decine di orchi per un ragionevole periodo di tempo» aggiunse Sot.
«Magari una settimana o due» disse Fillip.
«Magari un mese» fece Sot.
Sarebbe andata meglio se non fossero stati loro stessi a causare la maggior parte dei propri guai, pensò Ben, incupito. Era difficile mostrarsi obiettivi o comprensivi quando, prima ancora che dicessero una parola, lui sapeva che erano almeno altrettanto colpevoli di aver creato il caso quanto l’oggetto della loro ultima lagnanza, chiunque fosse.
Fillip e Sot continuarono a recriminare. Le facce sudicie si raggrinzivano mentre parlavano, con gli occhi socchiusi per difendersi dalla luce e il pelo sciupato e logoro. Le dita s’incurvavano e si raddrizzavano quando gesticolavano, e grumi di terra si sbriciolavano e cadevano di sotto le unghie incrostate dagli scavi sottoterra. Gli abiti trasandati pendevano loro di dosso, cuoio e tela di sacco, privi di colore, fatta eccezione per una vistosa penna rossa infilata nella fascia dei cappelli. Erano rottami di un naufragio, sospinti chissà come sulle rive della vita di Ben.
«Forse sarebbe opportuno un tributo come ricompensa» diceva Fillip.
«Forse un dono simbolico in oro o argento» gli fece eco Sot.
Ben scosse la testa, disperato. Ne aveva abbastanza. Stava per interromperli, quando quella necessità gli fu risparmiata dall’arrivo improvviso e inatteso di Questor Thews. Il mago di corte irruppe dalla porta del giardino d’inverno come se fosse catapultato da una gigantesca fionda, mulinando le braccia, con la barba e i lunghi capelli bianchi al vento, la tunica grigia con le toppe multicolori che gli svolazzava dietro quasi nello sforzo disperato di non perdere contatto con chi la indossava.
«Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta!» proclamò senza preliminari. Era arrossato per l’eccitazione, con il viso da gufo addirittura raggiante per il successo ottenuto, di qualunque natura fosse. Sembrò ignorare la presenza degli gnomi Va’ Via che, grazie al cielo, interruppero di colpo la loro esposizione e rimasero a fissarlo a bocca aperta.
«Cos’è che hai fatto?» s’informò Ben con blanda curiosità. Aveva imparato a moderare gli entusiasmi quando si trattava di Questor, perché spesso erano mal riposti. Questor riusciva a realizzare in media la metà di quello che credeva.
«La magia, Alto Signore! Ho trovato la magia! Finalmente ho trovato il mezzo per…» S’interruppe, gesticolando in modo enfatico. «No, un momento, devono sentirlo anche gli altri. Tutti i nostri amici devono essere presenti. Mi sono preso la libertà di mandarli a chiamare. Dovrebbe mancare poco, ormai… Questo è un così splendido… Ah, ah, eccoli!»
Willow apparve sulla soglia, abbagliante come sempre, più bella di tutti i fiori intorno a lei, con la figura snella avvolta in un soffio di seta bianca con lo strascico di pizzo, mentre avanzava leggera nella sala illuminata dal sole. Il viso di un verde evanescente si rivolse a Ben e sorrise di quel sorriso speciale, segreto, che riservava soltanto a lui. Creatura fatata, sembrava effimera come il calore dell’aria di mezzogiorno. Era seguita dai coboldi, Bunion e Parsnip, che saltellavano con i corpi nodosi, le facce avvizzite da scimmia che sogghignavano dubbiose, tutte denti e angoli acuti. Creature fatate anche loro, avevano l’aspetto di esseri evocati da un incubo. Per ultimo giunse Abernathy, risplendente nell’uniforme scarlatto e oro da scrivano di corte, non una creatura fatata, ma un terrier a pelo raso che sembrava convinto di essere un uomo. Tenne eretto il corpo canino con un portamento pieno di dignità, saettando una volta sola gli occhi malinconici verso gli odiati gnomi Va’ Via, che erano carnivori.
«Non vedo la ragione di trovarmi nella stessa stanza con queste creature ripugnanti…» cominciò indignato, ma fu interrotto dalla vista di Questor Thews che avanzava verso di lui a braccia spalancate.
«Vecchio amico!» esclamò il mago con calore. «Abernathy, la notizia migliore che tu possa augurarti! Vieni, vieni.»
S’impadronì di Abernathy e lo sospinse verso il centro della sala. Abernathy fissò incredulo il mago, e infine si liberò del tutto dalla sua stretta.
«Ti ha dato di volta il cervello?» domandò, passandosi le mani sugli abiti per rimetterli in sesto. Gli fremeva il muso. «E cos’è questa storia del vecchio amico? Che cos’hai in mente, adesso, Questor Thews?»
«Qualcosa che non puoi immaginare neanche lontanamente.» Il mago era raggiante di eccitazione mentre si sfregava le mani e faceva segno a tutti di avvicinarsi. Formarono un capannello, e la voce di Questor si abbassò a un tono da cospiratore. «Abernathy, se dovessi indicare la cosa che più desideri al mondo, quale sarebbe?»
Il cane lo fissò, poi lanciò una rapida occhiata agli gnomi Va’ Via e distolse di nuovo lo sguardo. «A quanti desideri ho diritto?»
Il mago sollevò le mani ossute e le posò gentilmente sulle spalle dell’altro. «Abernathy.» Sussurrò il nome dello scrivano. «Ho scoperto la magia che ti farà ridiventare un uomo!»
Seguì un silenzio attonito. Conoscevano tutti la storia di come Questor aveva usato la magia per trasformare Abernathy da uomo in cane per proteggerlo dal vendicativo figlio del re, alcuni anni prima, quando lo scellerato era in preda a uno dei suoi peggiori attacchi d’ira, e poi non era più riuscito a ritrasformarlo in uomo. Abernathy era vissuto da allora come un cane imperfetto, che aveva conservato mani e favella umane, sempre nella speranza che un giorno si sarebbe trovato il modo per ristabilire la sua identità umana. Questor, avvilito, aveva cercato invano quel modo, sostenendo spesso che lo avrebbe scoperto appena trovati certi libri di magia nascosti da Meeks alla sua partenza da Landover. Ma i libri erano andati distrutti al momento della scoperta, e da allora non si era sentito parlare granché di quell’argomento.
Abernathy si schiarì la gola. «Si tratta semplicemente di una dose troppo generosa delle tue solite sciocchezze, mago?» s’informò con cautela. «Oppure puoi davvero ritrasformarmi?»
«Certo che posso!» dichiarò Questor, annuendo con veemenza. Fece una pausa. «Credo.»
Abernathy indietreggiò. «Credi?»
«Un momento!» Ben si alzò dalla poltrona e si interpose fra i due con la massima prontezza possibile, rischiando di cadere a capofitto su un vaso di gardenie nel tentativo di evitare spargimenti di sangue. Trasse un respiro profondo. «Questor.» Aspettò che gli occhi dell’altro trovassero i suoi. «Credevo che quel genere di magia fosse superiore alle tue possibilità. Credevo che, una volta perduti i libri magici, avessi perduto ogni possibilità finanche di studiare le arti padroneggiate dai tuoi predecessori, per non parlare di tentare…»
«Sbagliando s’impara, Alto Signore» si affrettò a interromperlo l’altro. «Sbagliando s’impara! Ho semplicemente ampliato quello che già sapevo, imparando un po’ di più a mano a mano che procedevo, fino a imparare tutto. Ci è voluto tutto questo tempo per padroneggiare la magia, ma ora la padroneggio!»
«Credi» lo corresse Ben.
«Be’…»
«Questa è una perdita di tempo… come al solito!» scattò Abernathy, voltandosi, e sarebbe uscito d’impeto dalla stanza se non fosse stato attorniato dagli gnomi Va’ Via, che si erano avvicinati per sentire meglio. Abernathy si ritirò in gran fretta. «Il nocciolo della questione è che tu non riesci mai a fare niente come si deve.»
«Sciocchezze!» esclamò a un tratto Questor, facendo ammutolire tutti. Si raddrizzò. «Da dieci lunghi mesi lavoro su questa magia… fin da quando gli antichi libri magici sono stati distrutti insieme a Meeks, fin da allora!» I suoi occhi acuti si fissarono su Abernathy. «So quanto questo significhi per te. Mi sono dedicato a padroneggiare la magia che lo renderebbe possibile, l’ho usata con successo su creature piccole, ho accertato fin dove è possibile che funzioni. Resta soltanto da provarla su di te.»
Per un attimo, nessuno disse niente. L’unico suono nella stanza era il ronzio di un calabrone solitario che si spostava da un vaso di fiori all’altro. Abernathy ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Mago a metà
- 1. Starnuto
- 2. Bottiglia
- 3. Graum Wythe
- 4. Darkling
- 5. Stregato
- 6. Michel Ard Rhi
- 7. Piccolo errore di calcolo
- 8. Biglietto di sola andata
- 9. Castelli e gabbie
- 10. Sciarade
- 11. In fuga
- 12. Gerico
- 13. L’ora dello spettacolo
- 14. Canto d’amore
- 15. Perduto e ritrovato
- 16. Gambetto
- 17. Rapimento
- 18. Prurito
- 19. Follie di Halloween
- 20. Drago alla sbarra
- 21. Tappo
- 22. Ritorni
- Copyright