
- 532 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il direttore di notte
Informazioni su questo libro
La fine della guerra fredda non ha certo portato alla scomparsa del mondo dello spionaggio, ora al servizio dei cartelli della droga e del traffico d'armi. Uno dei protagonisti di questa nuova tragica lotta è l'ex agente Pine.
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Informazioni
Print ISBN
9788804413301eBook ISBN
9788852041389Il direttore di notte
Alla memoria di Graham Goodwin
1
Una sera nevosa del gennaio 1991 Jonathan Pine, un inglese che lavorava come direttore di notte all’Hotel Meister Palace di Zurigo, lasciò il proprio ufficio dietro la reception e, in preda a sensazioni che non aveva mai conosciuto, andò a prendere posto nell’atrio, preparandosi a porgere il benvenuto dell’albergo a un illustre ospite dell’ultima ora. Era appena iniziata la guerra del Golfo. Per tutta la giornata le notizie dei bombardamenti alleati, riferite con discrezione dal personale, avevano gettato nello sgomento la borsa di Zurigo. Le prenotazioni alberghiere, comunque basse in gennaio, erano sprofondate a livelli di crisi. Per l’ennesima volta nella sua lunga storia, la Svizzera era sotto assedio.
Ma il Meister Palace era all’altezza della sfida. Il “Meister”, come l’albergo era affettuosamente chiamato dai taxisti e dai frequentatori abituali, isolato per la posizione e le sue tradizioni, dominava tutta Zurigo come una contegnosa zia edoardiana, appollaiata sulla sua collinetta a contemplare dall’alto la follia della frenetica vita urbana. Quante più cose cambiavano nella valle, tanto più il Meister restava se stesso, inflessibile nei suoi principi, bastione di civiltà in un mondo deciso ad andare in malora.
Il luogo d’osservazione di Jonathan era una piccola rientranza tra le due eleganti vetrine dell’albergo che esponevano articoli di moda femminile. Adèle della Bahnhofstrasse proponeva una stola di zibellino, su un manichino di donna coperto soltanto da un bikini d’oro e da un paio di orecchini di corallo, per il prezzo rivolgersi al portiere. A Zurigo, al giorno d’oggi, le proteste contro l’uso di pelli animali sono vivaci quanto in altre città dell’Occidente, ma il Meister Palace non se ne preoccupava affatto. La seconda vetrina era di César, lui pure della Bahnhofstrasse: aveva optato per andare incontro al gusto degli arabi con un’esposizione di abiti sfarzosamente ricamati, di turbanti ornati di brillanti artificiali e di ingemmati orologi da polso a sessantamila franchi l’uno. Fiancheggiato da questi altari del lusso, Jonathan poteva tranquillamente tenere d’occhio le porte girevoli.
Robusto ma titubante, si proteggeva con un sorriso di scusa. Persino il suo essere inglese era un segreto ben conservato. Era agile e nel fiore degli anni. Un marinaio avrebbe potuto individuarlo subito come un collega, riconoscendone la deliberata economia dei movimenti, la cautela con cui posava i piedi, una mano sempre pronta a raggiungere la scialuppa. Aveva capelli ricci ben spuntati e una fronte larga da pugile. Il pallore dei suoi occhi ti prendeva di sorpresa. Ti saresti aspettato da lui un maggiore tono di sfida, ombre più pesanti.
Questa mitezza di modi in un corpo da pugile gli conferiva una inquietante intensità. Durante il soggiorno in albergo, nessuno avrebbe mai potuto confonderlo con qualcun altro; né con Herr Strippli, il direttore di sala dai capelli color crema, né con uno dei giovani e sprezzanti tedeschi di Herr Meister, che transitavano a grandi passi come dèi avviati a raggiungere la celebrità da qualche altra parte. Come albergatore, Jonathan era perfetto. Nessuno si sarebbe mai chiesto chi fossero i suoi genitori, se ascoltasse musica o se avesse moglie, figli o un cane. Il suo sguardo, mentre sorvegliava la porta, era fisso come quello di un tiratore scelto. Sfoggiava un garofano. Lo sfoggiava sempre, di sera.
La nevicata era eccezionale anche per quella stagione. Grossi turbini spazzavano l’illuminato cortile esterno come bianche ondate durante una tempesta. I fattorini, messi in stato di allarme per un arrivo così importante, scrutavano ansiosi la bufera. Roper non ce la farà mai, pensò Jonathan. Anche se avessero permesso al suo aereo di decollare, con questo tempo atterrare sarebbe impossibile. Herr Kaspar aveva capito male.
Ma Herr Kaspar, il capo portiere, non aveva mai capito male nulla in vita sua. Quando sussurrava “arrivo imminente” all’altoparlante interno, soltanto un ottimista congenito avrebbe potuto immaginare che l’aereo del cliente fosse stato dirottato altrove. Inoltre, perché mai Herr Kaspar sarebbe rimasto in servizio a quest’ora se non per uno spendaccione? C’era stato un tempo, aveva raccontato a Jonathan Frau Loring, in cui Herr Kaspar avrebbe storpiato per due franchi e ucciso per cinque. Ma con la vecchiaia diventa tutto diverso. Oggi come oggi, solo i più lauti guadagni potevano distogliere Herr Kaspar dai piaceri delle serate davanti al televisore.
“L’albergo è al completo, signor Roper, mi spiace” si preparò a dire Jonathan in un ennesimo tentativo estremo di sottrarsi all’inevitabile. “Herr Meister è desolato. Un impiegato avventizio ha commesso un errore inevitabile. Siamo però riusciti a procurarle qualche camera al Baur au Lac” eccetera. Ma anche questo pio desiderio era nato morto. Quella sera non c’era in Europa un grande albergo che potesse vantare più di cinquanta ospiti. I più ricchi della terra se ne stavano coraggiosamente rintanati nelle loro sedi; con l’unica eccezione di Richard Onslow Roper, operatore di Nassau, nelle Bahamas.
Le mani di Jonathan s’irrigidirono, l’istinto lo indusse ad alzare i gomiti come per prepararsi a uno scontro. Nel cortile esterno era entrata una macchina, una Mercedes a giudicare dal radiatore, i raggi dei fari anteriori soffocati dai fiocchi di neve. Vide levarsi la testa senatoriale di Herr Kaspar, e brillare il lampadario sulle sue ciocche impomatate. Ma l’auto aveva parcheggiato dall’altra parte del cortile. Un taxi, una mera autopubblica, un nessuno. La testa di Herr Kaspar, ora brillante di luce acrilica, si piegò in avanti, riprendendo a studiare il listino di borsa. Sollevato, Jonathan si concesse un sorriso spettrale di apprezzamento. La parrucca, l’immortale parrucca, la corona da centocinquantamila franchi di Herr Kaspar, l’orgoglio di ogni portiere svizzero di classe. Il Guglielmo Tell delle parrucche, la chiamava Frau Loring; la parrucca che aveva osato ribellarsi a Madame Archetti, despota miliardaria.
Forse per tenere concentrata la mente che lo stava spingendo in direzioni diverse, o forse perché trovava in quella storia qualche attinenza nascosta con la sua situazione attuale, Jonathan se la raccontò ancora una volta, esattamente come gliel’aveva raccontata Frau Loring, la capo governante, la prima volta che gli aveva preparato la fonduta al formaggio nella sua mansarda. Era stata la bambinaia di Herr Meister e, secondo certe voci, l’amante del padre di lui. Era la custode della leggenda della parrucca, la sua testimone vivente.
«Madame Archetti era a quei tempi la donna più ricca d’Europa, caro il mio Herr Jonathan» aveva spiegato Frau Loring, come se fosse stata a letto anche col padre di Jonathan. «Se la contendevano tutti gli alberghi d’Europa. Ma il Meister era il suo preferito finché Kaspar non le resistette. Da allora in poi, sì, venne ancora, ma soltanto per farsi vedere.»
Madame Archetti, aveva continuato Frau Loring, aveva ereditato la catena dei supermercati Archetti. E viveva con gli interessi degli interessi. Ciò che le piaceva, a cinquant’anni passati, era attraversare l’Europa da un grande albergo all’altro sul suo coupé inglese aperto, seguita da un furgone con i domestici e il guardaroba. Conosceva i nomi di ogni portiere e di ogni capocameriere, dal Quattro Stagioni di Amburgo al Cipriani di Venezia a Villa d’Este sul lago di Como. Prescriveva loro diete ed erbe medicinali, gli faceva l’oroscopo. E dava mance di dimensioni inimmaginabili, purché entrassero nelle sue grazie.
E nelle sue grazie Herr Kaspar entrava a vele spiegate, aveva detto Frau Loring. Al livello di ventimila franchi svizzeri per ogni visita annuale, per non parlare di empirici rimedi contro la caduta dei capelli, di pietre magiche da tenere sotto il cuscino per guarire dalla sciatica, e di mezzi chili di caviale Beluga a Natale e il giorno del suo onomastico: Herr Kaspar li convertiva con discrezione in contanti grazie a un’intesa con un famoso ristorante cittadino. Tutto questo in cambio di qualche biglietto di teatro e della prenotazione di un tavolo in qualche ristorante, cose per le quali, naturalmente, riscuoteva la solita commissione. E in cambio, poi, di quei segni di devozione che Madame Archetti esigeva per il suo ruolo di castellana del regno dei servi.
Sino al giorno in cui Herr Kaspar si comprò la parrucca.
Non la comprò avventatamente, aveva spiegato Frau Loring. Comprò per prima cosa dei terreni nel Texas, grazie a un cliente del Meister che si occupava di petrolio. L’investimento si rivelò proficuo e lui ne ricavò degli utili. Fu soltanto allora che decise di essere arrivato, come la sua protettrice, a un punto della vita in cui era autorizzato a togliersi un po’ di anni. Dopo mesi di prove e di discussioni l’oggetto era pronto: una meraviglia di parrucca, un miracolo di magistrale simulazione. Per collaudarla approfittò del suo mese di vacanza a Mykonos, e un lunedì mattina di settembre ricomparve dietro il banco, abbronzato e ringiovanito di quindici anni, purché non lo si guardasse dall’alto.
Cosa che nessuno fece, tranne Frau Loring. Se altri lo guardarono, non dissero nulla. La verità stupefacente era che nessuno accennava mai alla parrucca. Né Frau Loring né André, che era allora il pianista, né Brandt, il predecessore di Maître Berri in sala da pranzo, né Herr Meister i cui occhi piccoli e luccicanti erano attenti a qualsiasi variante nell’aspetto del suo personale. L’intero albergo aveva tacitamente deciso di farsi partecipe dello splendido ringiovanimento di Herr Kaspar. Persino Frau Loring rischiò tutta se stessa con un abito estivo scollatissimo, e un paio di calze dalle cuciture a forma di felci. Le cose procedettero allegramente in questo modo fino alla sera in cui arrivò Madame Archetti per il suo solito mese di soggiorno e, come sempre, la sua famiglia alberghiera si schierò nell’atrio per darle il benvenuto: Frau Loring, Maître Brandt, André e Herr Meister senior, che aspettava di accompagnarla personalmente nell’appartamento della Torre.
E al banco Herr Kaspar con la parrucca.
In un primo momento, aveva raccontato Frau Loring, Madame Archetti si trattenne dal notare ciò che era stato l’aggiunta all’aspetto del suo preferito. Gli sorrise passandogli davanti, ma era il sorriso di una principessa al primo ballo, elargito contemporaneamente a tutti. Autorizzò Herr Meister a baciarla su entrambe le guance, Maître Brandt su una. Sorrise a Frau Loring. Circondò con cautela le spalle sottosviluppate di André, il pianista, che bisbigliò «Madame». Allora soltanto si avvicinò a Herr Kaspar.
«Cosa si è messo sulla testa, Kaspar?»
«Capelli, Madame.»
«Capelli di chi, Kaspar?»
«Miei» rispose Herr Kaspar con dignità.
«Se li tolga» ordinò Madame Archetti. «O da me non avrà più un centesimo.»
«Non posso togliermeli, Madame. Sono parte della mia personalità. Sono integrati.»
«Allora li disintegri, Kaspar. Non adesso, sarebbe troppo complicato, ma entro domani mattina. Altrimenti nulla. Cosa mi ha preso a teatro?»
«Otello, Madame.»
«Le darò un’altra occhiata domattina. Chi lo interpreta?»
«Leiser, Madame. Il nostro più grande Moro.»
«Vedremo.»
Il mattino dopo alle otto, Herr Kaspar si ripresentò al lavoro con le chiavi incrociate della sua carica luccicanti sui risvolti come medaglie al valore. E in testa, trionfalmente, l’emblema della propria insurrezione. Per tutta la mattinata regnò nell’atrio un silenzio precario. Come le famose oche di Friburgo, gli ospiti dell’albergo, aveva detto Frau Loring, si rendevano conto dell’imminenza di un’esplosione, pur ignorandone la causa. Ma a mezzogiorno, la sua solita ora, Madame Archetti emerse dall’appartamento sulla Torre e scese le scale al braccio del suo ultimo corteggiatore, un giovane e promettente barbiere di Graz.
«Ma stamattina dov’è Herr Kaspar?» domandò volgendo vagamente lo sguardo verso di lui.
«Dietro al banco, e come sempre al suo servizio, Madame» replicò Herr Kaspar con una voce che, per quanti la udirono, echeggiò per sempre nei saloni della libertà. «E ha i biglietti per il Moro.»
«Non vedo nessun Herr Kaspar» disse Madame Archetti al suo accompagnatore. «Vedo soltanto capelli. Gli dica, per favore, che ci mancherà nella sua oscurità.»
«Fu il suo squillo di tromba» amava concludere Frau Loring. «Dal momento in cui quella donna entrò nell’albergo, Herr Kaspar non poté più sfuggire al proprio destino.»
E stasera lo squillo di tromba è per me, pensò Jonathan, che attendeva di ricevere l’uomo peggiore del mondo.
Jonathan si stava preoccupando per le sue mani, che erano come al solito immacolate, lo erano fin da quando alla scuola militare era stato oggetto di ispezioni alle unghie. In un primo tempo le aveva tenute arricciate contro le cuciture ricamate dei calzoni, nella posizione che gli avevano inculcato in piazza d’armi. Ora invece, senza che se ne rendesse conto, se ne stavano intrecciate dietro la schiena con in mezzo un fazzoletto contorto, poiché si rendeva dolorosamente conto del sudore che continuava a formarsi su quei suoi palmi.
Spostando le proprie...
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- Frontespizio
- IL DIRETTORE DI NOTTE
- Dossier. Altri mondi, altri “giochi”. a cura di Paolo Bertinetti
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