Gli italiani in Africa Orientale - 2. La conquista dell'Impero
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Gli italiani in Africa Orientale - 2. La conquista dell'Impero

  1. 792 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Gli italiani in Africa Orientale - 2. La conquista dell'Impero

Informazioni su questo libro

Utilizzando tra l'altro numerose testimonanze dirette in gran parte inedite, l'autore narra in questo secondo volume le vicende del colonialismo italiano in Eritrea, Somalia ed Etiopia, dall'avvento del fascismo all'entrata di Badoglio in Addis Abeba il 5 maggio 1936.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804469476
eBook ISBN
9788852054952
Argomento
History
Categoria
World History
Parte terza

LA GUERRA

I

La rivincita di Adua

Venti milioni di uomini, un cuore solo.

Negli ultimi giorni che precedono il conflitto, quasi avvertendo il presagio che questo sarà soltanto il prologo alla più grande carneficina della seconda guerra mondiale, gli uomini che possono accedere a qualche fonte d’informazione non parlano, non s’interessano d’altro, arricchendo le cronache di un gran numero di episodi. In Inghilterra, tremila giovani si offrono di andare a combattere per il negus,1 mentre il pubblico londinese diserta i ristoranti italiani. A New York, novemila negri e bianchi dell’American League against War and Fascism si riuniscono al Madison Square Garden per protestare contro i preparativi militari italiani e fanno a pezzi un grande ritratto di Mussolini. A Mosca, Georgi Dimitrov lancia un appello invitando le due Internazionali a unire gli sforzi per mantenere la pace. Al convegno laburista di Brighton, ventitré oratori su trentuno chiedono le sanzioni contro l’Italia e tre suggeriscono il blocco immediato del canale di Suez. A Tokyo, duemila studenti affiliati alla setta ultranazionalista Kokuryu Ku manifestano inalberando cartelli con scritte contro l’Italia. Al Cairo, i muezzin invitano i fedeli a pregare per la salvezza dell’Etiopia. A Londra, davanti al cinema Rialto in Covent Street, la gente fa la coda per poter entrare a vedere The Truth about Abyssinia, mentre a Berlino si proietta Abessinien 1935, un film che non è tenero con gli italiani. A Roma, l’americano James Donoghue, cugino di Barbara Hutton, si affaccia a una finestra del proprio albergo, grida «Viva l’Etiopia» e poche ore dopo viene riaccompagnato alla frontiera. Astrologi e chiromanti, infine, sono concordi nel dare la vittoria alle armi italiane, mentre Reginald Naish assicura che il conflitto non si potrà evitare perché di esso c’è traccia nelle profezie bibliche: in Isaia, in Zaccaria, in Habakkuk.2
Vediamo ora di ricostruire gli avvenimenti delle ultime ore di pace, le ore di questo 2 ottobre 1935, che è certo il più lungo, il più angoscioso e, almeno per gli italiani, il più esaltante giorno dell’intera crisi italo-etiopica. Di prima mattina, Mussolini si reca al Quirinale per informare Vittorio Emanuele che l’indomani all’alba, troncando ogni indugio, De Bono passerà il Mareb con tre corpi d’armata. Il re che, come si ricorderà, soltanto da pochi mesi si è convertito all’idea di rischiare la corona nell’avventura africana patrocinata dal suo primo ministro, ascolta la relazione del duce in silenzio, senza mai interromperlo. Poi, rianimandosi improvvisamente, gli dice: «Sapevo, eccellenza, quasi tutto quello che lei mi ha schiettamente riferito. So pure dell’opposizione, cauta ma viva, che si è diffusa tra i suoi principali collaboratori. M’hanno informato e so i nomi di molti generali e ammiragli che paventano e discutono troppo. Ebbene, proprio adesso che gli inglesi sono nel nostro mare e credono di averci spaventati, adesso il suo vecchio re le dice: “Duce, vada avanti: ci sono io alle sue spalle. Avanti le dico”».3
Confortato da queste parole di pieno sostegno, Mussolini rientra a palazzo Venezia e, con l’aiuto di Aloisi, mette a punto il comunicato n. 10, che verrà diramato l’indomani per annunciare l’inizio della guerra e che addossa, come è ovvio, tutte le responsabilità all’Etiopia. Più tardi, nella mattinata, nel tentativo di placare l’Inghilterra, Mussolini invia un messaggio a Hoare, proponendo di smobilitare le forze del Mediterraneo con un’azione simultanea e reciproca. Il messaggio, reso noto anche a Laval, aggiunge che l’Italia è sempre disponibile a ricercare con la Gran Bretagna un accordo «non solo nei riguardi degli interessi britannici in Africa, ma anche per una soluzione del conflitto italo-etiopico soddisfacente per l’Italia».4 Anche quest’ultimo tentativo di Mussolini di voler apparire ragionevole e conciliante, e di presentare invece l’Etiopia come il paese aggressore, fallisce però miseramente. Alle 13.15 Hailè Selassiè invia un telegramma urgente al segretario generale della SDN informandolo che «truppe italiane hanno violato la frontiera etiopica a sud del monte Mussa Ali, nella provincia dell’Aussa, stabilendosi in territorio etiopico e preparandovi una base d’attacco di grande portata».5 L’imperatore ha appreso la notizia dal ministro di Francia ad Addis Abeba, Bodard, il quale, a sua volta, l’ha avuta dal governatore della Costa dei Somali, Chapon Baissac. Solo per un caso, infatti, il giorno prima, un ricognitore francese della base di Gibuti aveva scoperto la colonna motorizzata italiana che si inoltrava nel deserto dancalo.
Ma mentre gli echi della protesta etiopica rimbalzano da Ginevra a Roma, Mussolini è troppo occupato nel dare gli ultimi ritocchi al discorso che deve pronunciare nel pomeriggio per prestare la minima attenzione alle lagnanze del negus. Alle 14.30, dai microfoni dell’Eiar, il segretario del partito Starace annuncia che il segnale dell’«adunata generale delle forze del regime», preannunciata sin dal 10 settembre con il «foglio d’ordine» n. 141, verrà dato alle 15.30 «col suono a stormo delle campane delle torri dei Fasci di combattimento e delle civiche torri, con l’urlo delle sirene e col rullo dei tamburi».6 Al segnale, mentre i negozi abbassano le saracinesche e ai balconi cominciano ad apparire le bandiere tricolori, venti milioni di italiani, in gran parte in divisa, si dirigono verso le piazze indicate per i «grandi concentramenti». È un fatto senza precedenti, una mobilitazione che la piemontese «Gazzetta del Popolo» definisce, e a ragione, anche se il suo titolo può apparire iperbolico, «la più gigantesca dimostrazione che la storia del genere umano ricordi», e che al poeta dialettale Alessandro Tomassi suggerisce questi versi:
Sonate campane, sonate a distesa;
l’Italia Fascista nû tollera offesa!
Sonate più forte! Sonate a martello!...
l’Italia, sdegnosa, va dritta a la mèta
ner nome de Roma, ner nome de Dio!7
A Roma la mobilitazione avviene sotto un cielo grigio solcato di continuo da squadriglie di aerei che passano a bassa quota. Nonostante gli scrosci di pioggia, imponenti colonne si dirigono verso piazza Venezia, piazza di Siena e piazza del Popolo. Alle 18.45 il duce appare al balcone di palazzo Venezia, accolto, riferisce un testimone, «da acclamazioni frenetiche, alle quali egli risponde col saluto romano. [...] Si distingue appena là in alto una figura che l’ora incerta del tramonto rende imprecisa. Gli altoparlanti, in un primo momento non perfettamente intonati, sono così sommessi che le prime frasi giungono appena fino al mezzo della piazza. Ma per la folla non è indispensabile comprendere ogni parola: abituata come essa è a sentire, intuire quello che Egli dice».8 Per diciotto minuti Mussolini parla, grida, scandisce le parole, modula la voce, gesticola, fa smorfie, si appoggia al balcone, alza le braccia al cielo, getta il busto all’indietro, in una delle sue esibizioni più calcolate ed efficaci.
Dopo aver esordito dicendo che «un’ora solenne sta per scoccare nella storia della patria» e che «venti milioni di uomini: un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola» lo stanno in quel momento ascoltando nelle piazze d’Italia, Mussolini sintetizza in seicentocinquanta parole le sue già note e poco originali teorie sull’espansione. Innanzitutto egli pone in evidenza che la guerra che sta per cominciare non è una delle consuete e limitate imprese coloniali, ma la guerra di un intero «popolo di quarantaquattro milioni di anime contro il quale si tenta di consumare la più nera delle ingiustizie», quella di togliergli «un po’ di posto al sole». È da tredici anni, soggiunge Mussolini, che l’Italia attende che siano soddisfatte le sue legittime pretese di nazione vincitrice; invece le sono toccate soltanto «scarse briciole del ricco bottino coloniale», mentre il «cerchio degli egoismi» si stringe ancor più a soffocare la sua vitalità. E non soltanto gli alleati di ieri le rifiutano i compensi pattuiti, ma parlano di sanzioni «per difendere un Paese africano, universalmente bollato come un Paese senza ombra di civiltà». Facendosi di colpo conciliante, il duce precisa però che si rifiuta di credere che due nazioni amiche come la Francia e l’Inghilterra possano aderire alle proposte sanzionistiche della SDN col «rischio di gettare l’Europa sulla via della catastrofe». Comunque, egli si assume «l’impegno sacro» di fare tutto «il possibile perché questo conflitto di carattere coloniale non assuma il carattere e la portata di un conflitto europeo», pur avvertendo che a «sanzioni militari», o ad «atti di guerra», l’Italia è pronta a rispondere con analoghe misure.9 In sostanza, a parte certe asprezze per uso interno e l’abusato espediente mussoliniano di alternare le minacce alle lusinghe, si tratta di un discorso abbastanza moderato, che esclude la guerra come risposta alle sanzioni economiche e impegna il regime a evitare che il conflitto si trasformi da coloniale in europeo.
Terminato il discorso, la gente è troppo toccata, eccitata per abbandonare le piazze e sino a tarda notte le occupa mentre gli altoparlanti diffondono canzoni fasciste e patriottiche. In qualche città si formano cortei che sfilano alla luce delle fiaccole; in altre vengono dati alle fiamme fantocci con le sembianze del negus.10 Commentando alla radio la giornata di grande passione, Forges Davanzati sottolinea che il duce «ha avuto il potere di riunire e moltiplicare la volontà degli italiani intorno alla profonda umanità di questo conflitto» e, parafrasando il finale del discorso di Mussolini, conclude affermando che «tutta l’Italia è in piedi per agire da sola senza nulla chiedere. Chiede soltanto rispetto, giustizia, poiché essa saprà raggiungere la vittoria. E Dio la concederà».11
Gli echi del discorso di Mussolini arrivano ad Addis Abeba all’alba del 3 ottobre, quasi contemporaneamente a un telegramma di ras Sejum da Adua, con il quale il governatore del Tigrè informa l’imperatore che gli italiani hanno attraversato il Mareb e l’aviazione fascista ha bombardato Adua e Adigrat facendo numerose vittime fra la popolazione civile. È soltanto in questo momento che Hailè Selassiè decide di proclamare la mobilitazione generale. Alle 9 viene diramato ai giornalisti presenti nella capitale l’invito a recarsi al vecchio ghebì di Menelik, e un’ora dopo, sullo scalone di accesso al palazzo, il ligaba Tassèu comincia a leggere il proclama imperiale, ogni frase del qua...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Gli italiani in Africa Orientale – La conquista dell’Impero
  4. Avvertenza
  5. Parte prima. La sovversione
  6. Parte seconda. La preparazione
  7. Parte terza. La guerra
  8. Copyright