Giù nel cyberspazio
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Giù nel cyberspazio

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Giù nel cyberspazio

Informazioni su questo libro

Un nuovo eroe domina l'incredibile mondo virtuale dei computer: è il cow boy della consolle, capace di sfidare le più agguerrite multinazionali legate alla mafia. Un nuovo romanzo-manifesto del movimento Cyberpunk.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804480082
eBook ISBN
9788852055010
1

Segugio veloce

Misero un segugio esplosivo sulle tracce di Turner a Nuova Delhi, sintonizzato sui suoi feromoni e sul colore dei capelli. Lo raggiunse in una strada chiamata Chandni Chauk, e si lanciò verso la sua BMW noleggiata, fra una selva di gambe nude e brune e ruote di tassì a pedale. Il nucleo era costituito da un chilogrammo di esogene ricristallizzato e TNT in scaglie.
Turner non lo vide arrivare. L’ultima cosa che vide dell’India fu la facciata rosa di un posto che si chiamava Khush-Oil Hotel.
E dal momento che aveva un buon agente, aveva anche un buon contratto. E dal momento che aveva un buon contratto, arrivò a Singapore un’ora dopo l’esplosione. La maggior parte di lui, almeno. Il chirurgo olandese ci scherzava sopra, dicendo che una percentuale non specificata di Turner non ce l’aveva fatta a partire dal Palam International con il primo volo, e aveva dovuto passare la notte in un magazzino, in una vasca di mantenimento.
Gli ci volle un mese, all’Olandese e alla sua squadra, per rimettere insieme Turner. Clonarono un metro quadrato di pelle, facendola crescere su lastre di collageno e polisaccaridi di cartilagine di squalo. Comprarono gli occhi e i genitali sul mercato libero. Gli occhi erano verdi.
Trascorse la maggior parte di questi tre mesi nella riproduzione ROM simstim di un’infanzia idealizzata nel New England del secolo passato. Le visite dell’Olandese erano grigi sogni mattutini, incubi che svanivano quando il cielo, fuori dalla sua finestra al secondo piano, si illuminava. Si sentiva l’odore dei lillà, a notte fonda. Leggeva Conan Doyle alla luce di una lampadina da 60 candele, dietro un paralume di pergamena decorato con immagini di velieri. Si masturbava nell’odore delle lenzuola di cotone pulite e pensava alle ragazze delle partite di baseball. L’Olandese apriva una porta nel retro del suo cervello ed entrava per fargli delle domande, ma la mattina sua madre lo chiamava per la colazione: cornflakes, uova e pancetta, caffè con latte e zucchero.
E un giorno si svegliò in un letto estraneo, l’Olandese stava in piedi vicino alla finestra dalla quale si riversavano verde tropicale e sole abbacinante. «Può tornare a casa, Turner. Abbiamo finito con lei. È come nuovo.»
Come nuovo. Nuovo quanto? Non lo sapeva. Prese le cose che gli diede l’Olandese, e partì in aereo da Singapore. “Casa” era il prossimo aeroporto. E il successivo. E così via.
Continuò a volare. Il suo chip di credito era un rettangolo nero, lucido come uno specchio, con il bordo d’oro. Gli addetti alle casse sorridevano, vedendolo, e annuivano. Le porte si aprivano, si chiudevano alle sue spalle. Il carrello si sollevava dal cemento armato, arrivavano i drink, il pranzo era servito.
A Heathrow un grosso frammento di ricordi si staccò dalla cupola del cielo sopra l’aeroporto e gli cadde addosso. Vomitò in un cestino di plastica blu senza fermarsi. Quando arrivò allo sportello alla fine del corridoio cambiò il biglietto.
Prese un volo per il Messico.
Si svegliò al rumore di un secchio metallico sulle piastrelle, uno straccio umido che veniva passato sul pavimento, il corpo di una donna caldo contro il suo.
La stanza era un’alta caverna. Le pareti bianche, nude, riflettevano i rumori con eccessiva chiarezza; accanto a quelli delle cameriere, nel cortile, si sentiva la risacca. Le lenzuola stropicciate sotto le sue dita erano di ruvido cotone, ammorbidito da innumerevoli passaggi in lavatrice.
Ricordò la luce del sole attraverso una grande finestra colorata. Il bar di un aeroporto, Puerto Vallarta. Aveva dovuto camminare venti metri dall’aereo, con gli occhi stretti per il riverbero. Ricordò un pipistrello morto, appiattito come una foglia secca sul cemento della pista.
Ricordò un viaggio in autobus, una strada di montagna, e la puzza del motore a combustione, i bordi del finestrino coperti da olo-santini azzurri e rosa. Aveva ignorato il paesaggio ripido per rivolgere la sua attenzione a una sfera di plastica rosa e alla danza nervosa del mercurio al suo interno. L’impugnatura, un po’ più grande di una palla da baseball, coronava l’asta curva del cambio. Era stata fusa attorno a un ragno acquattato, in vetro soffiato vuoto e riempito per metà di mercurio. Questo faceva un salto quando l’autista affrontava i tornanti, ondeggiava e tremolava nei rettilinei. L’impugnatura era ridicola, artigianale, sinistra; era lì per accoglierlo in Messico.
Fra la dozzina circa di microsoft che l’Olandese gli aveva dato, ce n’era uno che gli permetteva di parlare un po’ spagnolo. Ma a Vallarta si era inserito dietro l’orecchio sinistro un tappo antipolvere, nascondendo la presa dietro un quadratino di micropore color carne. Un passeggero in fondo all’autobus aveva una radio. Una voce interrompeva periodicamente la musica pop di fiati per recitare una specie di litania di numeri a dieci cifre: i vincitori giornalieri della lotteria nazionale.
La donna vicino a lui si mosse nel sonno.
Si sollevò su un gomito per guardarla. Un viso sconosciuto, ma non del tipo che la sua vita trascorsa fra gli alberghi gli aveva insegnato ad aspettarsi. Non una bellezza standard, prodotta da chirurgia plastica a buon mercato e dall’incessante darwinismo della moda, un archetipo decantato dalle facce più in vista dei media degli ultimi cinque anni.
C’era qualcosa del Middlewest nella linea della mascella, arcaico e americano. Le lenzuola azzurre erano raccolte attorno ai suoi fianchi, la luce del sole che entrava di sbieco attraverso le persiane di legno le disegnava strisce dorate sulle lunghe cosce. Le facce con cui si svegliava, negli alberghi del mondo, erano come divini ornamenti. Facce di donne addormentate, identiche e solitarie, nude, catapultate dal vuoto. Ma questa era diversa. In qualche modo, c’era già un significato in essa. Un significato e un nome.
Si alzò a sedere sul letto. Sentì lo scricchiolio della sabbia sul pavimento freddo. C’era un leggero odore di insetticida. Nudo, la testa dolorante, si alzò. Costrinse le sue gambe a muoversi. Camminò, provò la prima di due porte, trovò delle piastrelle bianche, altri muri bianchi, una doccia cromata che sbucava da un tubo con macchie di ruggine. I rubinetti del lavandino gocciavano identici rivoli di acqua calda come sangue. Un antiquato orologio da polso era appoggiato vicino a un bicchiere di plastica: un Rolex analogico, con un cinturino di pelle chiara.
Le finestre chiuse del bagno erano di vetro non smerigliato, attraversato da una sottile rete di plastica verde. Sbirciò fra le strisce di legno delle persiane, facendo una smorfia per il sole infuocato, e vide una fontana secca, in piastrelle dipinte a fiori, e la carcassa arrugginita di una VW Rabbit.
Allison. Era quello il nome della donna.
Indossava pantaloncini kaki, sbiaditi, e una delle magliette bianche di Turner. Aveva le gambe molto abbronzate. Al polso portava il Rolex con la cassa di acciaio opaco e il cinturino di cinghiale. Andarono a fare una passeggiata lungo la spiaggia, verso Barre de Navidad. Si tennero sulla stretta striscia di sabbia umida appena oltre la linea della risacca.
Erano già insieme da qualche tempo; Turner la ricordava a una bancarella, quella mattina, con il tetto di lamiera, nel piccolo mercado del paese, e di come teneva con entrambe le mani la grande tazza di terracotta con il caffè bollito. Pulendo uova e salsa dal piatto crepato con una tortilla, Turner aveva osservato le mosche che giravano attorno alle strisce di luce che si insinuavano fra le fronde di palma e la lamiera ondulata. Avevano parlato un po’ di lei, che lavorava in uno studio legale di Los Angeles e abitava in una delle traballanti cittàpontile ancorate al largo di Redondo. Lui le aveva detto che lavorava in un ufficio personale. O ci aveva lavorato. “Forse sto cercando un nuovo lavoro…”
Ma la conversazione sembrava secondaria rispetto a quello che c’era fra di loro. Una fregata sospesa sopra le loro teste, che procedeva a zig-zag contro vento, virò di fianco, ruotò e sparì. Entrambi ebbero un brivido di fronte alla libertà dell’uccello, al suo noncurante scivolare nell’aria. Le strinse la mano.
Una figura azzurra camminava verso di loro lungo la spiaggia, un agente della polizia militare diretto verso il paese, gli stivali lucidi, irreali sulla morbida spiaggia luminosa. Mentre l’uomo passava, la faccia scura e immobile sotto gli occhiali a specchio, Turner notò la carabina laser Steiner-Optic con mirino telescopico Fabrique Nationale. I pantaloni erano immacolati, la piega come la lama di un coltello.
Turner era stato un soldato per la maggior parte della sua vita da adulto, anche se non aveva mai indossato un’uniforme. Un mercenario, assoldato dalle grandi società che lottavano segretamente per il dominio di intere economie. Era uno specialista nell’estrazione di alti dirigenti e ricercatori. Le multinazionali per cui lavorava non avrebbero mai ammesso che uomini come Turner potessero esistere.
«Ieri sera ti sei scolato quasi per intero una bottiglia di Herradura» disse lei.
Lui annuì. La mano di lei, nella sua, era calda e asciutta. Le dita dei piedi della donna si allargavano a ogni passo, le unghie laccate di smalto rosa, scheggiato.
Le onde rotolavano sulla spiaggia, i bordi trasparenti come vetro verde.
Goccioline d’acqua le imperlavano l’abbronzatura.
Dopo il loro primo giorno insieme, la vita assunse un ritmo semplice. Facevano colazione al mercado, in un posto con un bancone di cemento consumato fino a essere liscio come marmo.
Trascorrevano la mattina nuotando, finché il sole non li costringeva nel fresco dell’albergo, con le persiane chiuse, dove facevano l’amore sotto le lente pale di legno del ventilatore appeso al soffitto, poi dormivano. Nel pomeriggio esploravano il dedalo di stradine dietro l’Avenida, o facevano passeggiate sulle colline. Cenavano in qualche ristorante sulla spiaggia e bevevano sulle terrazze dei bianchi alberghi. La luce della luna si avvolgeva sulle creste della risacca.
E gradualmente, senza parole, lei gli insegnò un nuovo tipo di passione. Lui era abituato a essere servito in maniera anonima, da professioniste esperte. Adesso, nella bianca caverna, si inginocchiava sul pavimento. Abbassava la testa, leccandola, il sale del Pacifico mescolato con l’umido di lei, l’interno delle cosce freddo contro le sue guance. Tenendole le mani attorno alle anche, la sollevava come un calice, spingendo con le labbra, mentre la lingua cercava il luogo, il punto, la frequenza che l’avrebbe portata al culmine. Poi, sorridendo, montava, entrava, e trovava la sua strada in lei.
Qualche volta, dopo, parlava, lunghe spirali di narrazioni indistinte che si dipanavano per unirsi al suono del mare. Lei diceva molto poco, ma lui aveva imparato ad apprezzare quel poco che diceva. E, sempre, lo stringeva. E ascoltava.
Passò una settimana, poi un’altra. Si svegliò l’ultimo giorno nella stessa stanza fresca, trovandola al suo fianco. Durante la colazione credette di avvertire un cambiamento in lei, una tensione.
Presero il sole, nuotarono, e nel letto familiare dimenticò quell’ombra di ansia.
Nel pomeriggio lei propose di camminare lungo la spiaggia verso Barre, come la prima mattina.
Turner estrasse il tampone dalla presa dietro l’orecchio e inserì una scaglia di microsoft. La struttura dello spagnolo si sollevò dentro di lui come una torre di vetro, con porte invisibili incardinate su presente e futuro, condizionale, passato remoto. Lasciando Allison in albergo, attraversò l’Avenida ed entrò nel mercato. Comprò un cestino di paglia, lattine di birra fredda, panini imbottiti, frutta. Tornando, comprò un paio di occhiali da sole da un ambulante sull’Avenida.
La sua abbronzatura era scura e uniforme. I segni ad angolo lasciati dai punti dell’Olandese erano spariti, e lei gli aveva svelato l’unità del suo corpo. La mattina, quando incontrava gli occhi verdi nello specchio del bagno, sentiva che erano suoi, e l’Olandese non disturbava più i suoi sogni con le sue pessime battute e la sua tosse secca. Qualche volta sognava ancora frammenti dell’India, un paese che conosceva appena, schegge brillanti, Chandni Chauk, l’odore della polvere e di pane fritto…
C’erano le mura di un albergo in rovina, a un quarto di strada lungo l’arco della baia. Qui la risacca era più forte, ogni ondata come un’esplosione.
Lei lo portò verso le rovine, con qualcosa di nuovo agli angoli degli occhi, una tensione. I gabbiani si dispersero mentre arrivavano mano nella mano lungo la spiaggia, per scrutare nell’ombra oltre soglie vuote. La sabbia aveva ceduto, provocando il crollo della facciata dell’edificio; senza pareti, i pavimenti dei tre piani sospesi come immense assicelle a tendini di ferro arrugginito grossi come un dito, ognuno ricoperto da piastrelle di colore e ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Segugio veloce
  4. 2. Marly
  5. 3. Bobby pianta una wilsonata
  6. 4. Cartellino d’ingresso
  7. 5. Il lavoro
  8. 6. Barrytown
  9. 7. Il deserto
  10. 8. Parigi
  11. 9. Su nei Progetti
  12. 10. Alain
  13. 11. In postazione
  14. 12. Café Blanc
  15. 13. Con due mani
  16. 14. Volo notturno
  17. 15. La scatola
  18. 16. Legba
  19. 17. Il bosco degli scoiattoli
  20. 18. I nomi dei morti
  21. 19. Hypermart
  22. 20. Volo da Orly
  23. 21. Sulla strada
  24. 22. Jammer
  25. 23. Più vicino
  26. 24. In fuga
  27. 25. Kasual/Gothick
  28. 26. Wig
  29. 27. Stazioni del respiro
  30. 28. Jaylene Slide
  31. 29. Il fabbricante di scatole
  32. 30. Mercenario
  33. 31. Voci
  34. 32. Conte Zero
  35. 33. Relitto e vortice
  36. 34. Una catena lunga nove miglia
  37. 35. Tally Isham
  38. 36. Il bosco degli scoiattoli
  39. Copyright