Colombi e sparvieri
eBook - ePub

Colombi e sparvieri

  1. 256 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Colombi e sparvieri

Informazioni su questo libro

Il contrastato amore fra due giovani di classi sociali diverse: lei una ricca possidente, lui un povero pastore. Odi e rancori sullo sfondo di una natura selvaggia e incantevole.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Colombi e sparvieri di Grazia Deledda in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804492832
eBook ISBN
9788852056130

Parte prima

I

Dopo una settimana di vento furioso, di nevischio e di pioggia, le cime dei monti apparvero bianche tra il nero delle nuvole che si abbassavano e sparivano all’orizzonte, e il villaggio di Oronou, con le sue casette rossastre fabbricate sul cocuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio.
Ai suoi piedi i torrenti precipitavano rumoreggiando nella vallata, e in lontananza, nelle pianure e nell’agro di Siniscola, le paludi e i fiumicelli straripati scintillavano ai raggi del sole che sorgeva dal mare. Tutto il panorama, dai monti alla costa, dalla linea scura dell’altipiano sopra Oronou fino alle macchie in fondo alla valle, pareva stillasse acqua.
Ma il paesetto era asciutto; e i vecchi e gli sfaccendati avevano già ripreso i loro posti sulle panchine davanti al Municipio, su nella piazza che sovrasta la valle come una grande terrazza.
Da una delle tre case rossastre, – il Municipio, la casa del parroco e quella di zia Giuseppa Fiore, – le cui finestruole munite d’inferriata e i balconi di ferro al primo piano guardavano sulla piazza, uscì una vecchia di bassa statura, col viso pallido seminascosto da una gonna nera in cui ella avvolgeva la testa e metà della persona come in un mantello; e prima di scendere gli scalini di granito che da una specie di patiu come quello dei nuraghes mettevano sulla piazza, volse in giro i grandi occhi cerchiati e un’espressione di sarcasmo le circondò d’un solco la bocca sdentata.
Eccoli tutti lì, sulle panchine e lungo il parapetto, gli sfaccendati del paese. Un tempo non era così, quando il villaggio, diviso in due partiti da un’inimicizia che appassionava anche i vecchi e i ragazzi, viveva d’una vita violenta ma anche attiva, e tutti stavano nelle loro case o nelle loro terre per badare alla propria roba e salvaguardarsi dai nemici. Ma da qualche anno, per intervento delle autorità ecclesiastiche e civili, le famiglie nemiche avevano fatto pace: gli animi, almeno in apparenza, si erano acquietati, e una specie di mollezza, di decadenza di costumi rendeva il paese sonnolento.
Tutto il santo giorno gli uomini giuocavano alla morra come fanciulli, e i vecchi tacevano, seduti all’orientale sopra la pietra delle panchine, immobili e già morti prima di aver chiuso per sempre gli occhi. La piccola vecchia scosse la testa sotto il suo bizzarro mantello nero, e scese lentamente gli scalini. Il vento sibilava ancora, a intervalli, e gli alberi spogli della piazza si agitavano sullo sfondo brillante del cielo come grandi polipi nell’acqua. Faceva freddo, ma i paesani barbuti e robusti, rossi in viso, con occhi nerissimi e denti candidi, erano vestiti di orbace, di pelli, di saia, con cappotti stretti e cappuccio in testa, e sentivano il sangue scorrere caldo nelle vene. Sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest’illusione.
Tutti salutarono la vecchia al suo passaggio: ella rispose con un lieve cenno del capo e scese la scalinata che dalla piazza metteva in una ripida strada in discesa. Anche dalla fontana, chiusa in una specie di tempietto con un cancello di ferro, le donne imbacuccate come arabe nelle sottane nere, mentre riempivano le loro brocche di creta e strillavano litigando, salutarono la vecchia rivolgendole parole scherzose.
– Vi siete alzata presto, oggi, zia Giuseppa Fiore! E dove andate? Se avessi la vostra pecunia starei a letto fino a mezzogiorno.
– Zia Giuseppa Fiò! Andate in chiesa? pregate Cristo che venga presto il tempo del latte e della mietitura.
– Tanti saluti al vostro vicino, il Rettore. È passato poco fa e tremava come uno stelo. Lui e voi, zia Fiò, in fede mia, siete due idioti: potete stare al caldo e ve ne andate in giro con questo tempo. Si gela, si muore…
– La tua lingua non è gelata, – rispose la vecchia, e passò oltre sdegnosa.
Il rigagnolo d’acqua che scorreva giù per la strada era coperto da un velo di ghiaccio, e dai tetti delle casette basse fumiganti pendevano ghiacciuoli enormi simili a stalattiti; qualche rimasuglio di neve scintillava qua e là sugli embrici nerastri e negli angoli ove non batteva il sole, e in ogni sfondo di straducola apparivano le montagne lontane, bianche e nere fra la nebbia che svaniva.
La vecchia scese la strada in pendìo, che era la principale del paese, svoltò, risalì una specie di viottolo, si trovò nel piazzale della chiesa simile anch’esso ad una terrazza sospesa su un precipizio.
Di là si godeva la vista dell’altipiano; si vedeva la strada comunale serpeggiare sulle chine rocciose che dominano la chiesa e sparire nella linea coperta di boschi che chiude l’orizzonte. E la chiesa con la sua torre di pietra, l’abside e la facciata corrose qua e là coperte di edere e gramigne, pareva su quello sfondo grandioso un avanzo di castello abbandonato.
La vecchia attraversò il piazzale sterrato ed entrò; anche nell’interno della chiesa tutto era freddo, nudo e triste: solo alcune vecchie e un mendicante assistevano alla messa, e la voce lenta del giovine prete risuonava chiara nel vuoto, fra i sibili del vento che si sbatteva contro la torre come contro le rupi d’una cima deserta.
Finita la messa la vecchia aspettò che tutti se ne andassero e fece in modo d’incontrarsi sotto l’arcata della porta col sacerdote che usciva frettoloso, stretto in un grosso tabarro, con le mani dentro le maniche e il viso bianco e lentigginoso d’albino seminascosto da una sciarpa nera. Egli tremava visibilmente dal freddo e i suoi piccoli occhi grigi velati da lunghe ciglia bianche erano umidi di lagrime.
– Buon giorno, – salutò la vecchia, fissandolo in viso coi suoi grandi occhi tetri. – Mi rallegro molto di vedervi guarito. State bene adesso?
– Non c’è male, – egli disse con voce triste. – Speriamo che il tempo si rimetta: così ci rimetteremo anche noi.
– Aria fina non ne manca! – aggiunse un po’ ironica la donna, seguendolo attraverso lo spiazzo.
– Troppo fina, zia Giusé! – rispose il prete sul medesimo tono, precedendola senza guardarla. – In tre mesi che sono quassù due li ho passati a letto a starnutire, zia Giusé! Speriamo almeno d’aver fresco in estate.
– Ah, l’estate è proprio un paradiso, quassù. Missignoria1 vedrete. Del resto è che missignoria non si ha riguardo: oggi, per esempio, non era un giorno da uscire. State, state riguardato! Legna non ve ne manca, ben di Dio non ve ne manca. Del resto un raffreddore non è una malattia; anch’io sono stata a letto, questi giorni, e da fare certo non me ne manca. Stamattina sono uscita per la santa messa e perché voglio visitare un malato: quello sì, è un malato per davvero! È un disgraziato ragazzo… uno studente…
– Ah, sì, ho capito!
– È un disgraziato ragazzo, – ripeté la vecchia, senza badare all’esclamazione vivace del prete. – È stato calunniato, qualche mese fa, e precisamente quest’estate scorsa, prima che missignoria arrivasse in paese: ed egli dal dolore s’è ammalato gravemente… e, pare, non guarirà… È stato all’ospedale di Cagliari fino a pochi giorni fa, ma adesso si è fatto trasportar qui perché, dicono, vuol morire nel suo paese natìo… Dicono che non vuol vedere nessuno… ma io procurerò di vederlo, adesso…
Il prete si fermò.
– Di che cosa è stato accusato?
La vecchia lo fissava in viso e strizzò un occhio come per significargli: «voi sapete la storia meglio di me e fingete di non saperla: ci intendiamo, però!»
– Cuore di babbo mio! – esclamò con accento drammatico. – Nessun figlio di madre venga accusato di quello che è stato accusato lui! Di furto, missignoria mia; di aver rubato denari in casa della sua fidanzata; cioè, per meglio dire, del nonno di questa, Remundu Corbu. Missignoria lo conosce.
Il prete accennò di sì, e traendo dalle maniche le mani coperte di guanti di lana marrone le guardò fisso, una dopo l’altra.
– Quando è tornato, quel giovine?
– Avant’ieri, credo. Quasi nessuno se n’è accorto.
– Non ha parenti?
– Nessuno: egli sta con la sua mala sorte. Si fa servire da un ragazzetto di dieci anni.
Il prete s’era mosso di nuovo e camminava frettoloso.
– Missignoria andrà certo a trovare il povero Jorgeddu, – riprese la vecchia seguendolo fino allo svolto della strada. – Glielo dirò, al povero disgraziato; gli dirò che voi non siete ancora andato perché non sapevate del suo ritorno. Ah, non è cattivo, quell’infelice. C’è molta gente che tenta di screditarlo, dicendo che è un miscredente, un cattivo soggetto; e molti fingono di ignorare il suo ritorno in paese per non avvicinarsi a lui; ma fosse anche quale i suoi nemici lo dipingono, è una ragione per non aiutarlo? Egli è paralitico; è povero come Cristo: si aiutano anche i lebbrosi, anche i Giudei: perché non dobbiamo aiutare un cristiano?
– Va bene, va bene, – disse il prete, distratto e anche un po’ annoiato, – più tardi andrò a trovarlo; basta che egli, che mi dicono un tipo prepotente, non faccia qualche scandalo. Addio.
– Ah, dunque lo sapevate che egli è tornato? – esclamò la vecchia discendendo giù per il viottolo, mentre il prete risaliva la strada della fontana.
Le porticine delle casette preistoriche s’aprivano su altissimi scalini di roccia, come se gli abitanti avessero le gambe gigantesche o si fossero premuniti contro qualche possibile inondazione: solo la penultima casa del viottolo, al di là della quale sorgeva una muriccia che recingeva un cortile sterrato, aveva due piani, con tre porte d’ingresso, di cui quella centrale grande e a livello della strada. I muri anneriti dal tempo e le piccole finestre irregolari munite di inferriata facevano anche qui pensare a un avanzo di castello medioevale.
Dal portone centrale socchiuso la vecchia intravide una specie di rimessa lastricata di macigni e in fondo un cortile ove un cavallo già sellato e carico di bisacce batteva la zampa al suolo, impaziente di partire. Ella diede uno sguardo bieco ed entrò nell’abitazione attigua.
Il luogo era triste e deserto; pozzanghere d’acqua gelata riempivano il cortiletto in pendìo, e la catapecchia che sorgeva in fondo sembrava disabitata. Una scaletta esterna, senza ringhiera, con gli scalini a metà rovinati, conduceva alla stanza del piano superiore. La vecchia però, dopo aver attraversato il cortiletto badando di non rompere il ghiaccio delle pozzanghere spinse la porta della stanza terrena. Un tanfo di umido la colpì. Entrò senza salutare, quasi furtivamente, e si guardò attorno.
La camera vasta e bassa con le pareti color terra e il soffitto di assi nere di fuliggine, un tempo doveva aver servito da cucina perché nel centro, sul pavimento di fango battuto, si notavano ancora le quattro liste di pietra del focolare; sarebbe parsa un sotterraneo, senza un filo di luce azzurrognola che penetrava dallo sportello di una porticina che dava sul ciglione opposto al cortile.
Il tenue barlume illuminava una cassapanca nera, un tavolino e un letto di legno dove, coperta fin sul collo da una coltre grigiastra, con un fazzoletto bianco intorno alle orecchie, dormiva una persona che a tutta prima sembrava una donna. I lineamenti erano delicati, la fronte alta nascosta sulle tempia da due bande di capelli neri finissimi: sotto la pelle di un grigio azzurrognolo si delineavano le ossa, e le palpebre larghe dalle lunghe ciglia sembravano tinte col bistro. Ma la lieve peluria che anneriva il labbro superiore, sotto cui si notavano i denti, rivelava il sesso del dormente.
Un’espressione di pietà raddolcì il viso tetro della vecchia; piano piano ella andò a sedersi sullo sgabello accanto al letto e dopo aver guardato i libri e gli altri oggetti – una bottiglia, un bicchiere, un coltello a serramanico, – deposti sul tavolino senza tappeto, osservò che sulla parete, nonostante la fama di miscredente che Jorgj Nieddu godeva, un piccolo Cristo nero su una croce di metallo bianco curvava la testa e pareva guardasse il malato.
«È curioso che non ci sieno medicine,» osservò fra sé la vecchia, «eppure dicono che egli sta per morire.»
Quasi per smentire questa pietosa diceria il malato aprì gli occhi, grandi occhi lucenti d’un nero dorato, e si animò come un morto che risuscita: il suo viso si colorì, e fra le labbra aride apparvero i denti intatti bianchissimi.
La vecchia gli prese la lunga mano scarna dalle unghie violacee tenute con cura.
– Jorgeddu mio! C...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Parte prima
  5. Parte seconda
  6. Parte terza
  7. Copyright