Il giorno seguente l’ispettore Marco Gherardini arrivò all’agriturismo dall’alto, dalla vecchia carrareccia. Lasciò l’auto nel piccolo spiazzo, dove c’era già un’altra vettura, quella di Cesarino, il marito della Valeriani.
Aveva rimuginato a lungo su quello che Adùmas gli aveva raccontato la sera prima, la storia dell’ingegnere tedesco (o era svizzero?) che aveva fatto ricerche, proprio in quella zona, sul metano, arrivando addirittura a provare un impianto di fornello a gas, in quella stessa casa. Possibile? Ma quando esattamente, e la Valeriani non ne sapeva niente?
Raggiunse la casa ed entrò. Apparve subito la Valeriani, che lo accolse con bottegaia cordialità . «Che piacere incontrarla ancora, ispettore, vedo che la nostra cucina le è piaciuta se è ritornato così presto. Stasera avrà compagnia: aspettiamo quattro clienti che vengono su da valle, e poi c’è anche il nostro ospite fisso che è andato a fare una passeggiata e sarà qui per cena. Non sarà solo, spero. Per quanti preparo il tavolo?» e sarebbe andata avanti ancora se Gherardini non l’avesse interrotta.
«Non sono qui per mangiare, signora, vorrei solo farle qualche domanda.»
«Qualche domanda? A me? Ma per che cosa?»
«Ora glielo dico. Non possiamo sederci da qualche parte?»
La Valeriani indicò in silenzio la saletta del ristorante, dove non c’era ancora nessuno, e sedettero a un tavolo. «Mi dica, ispettore, anche se sono un po’ sorpresa, ma cosa vuole sapere?»
Gherardini tossicchiò. «Ecco, ieri sera Adùmas mi ha raccontato una storia curiosa. Mi ha detto che anni fa, non ha precisato quando, esattamente, ma roba dell’altro secolo, un ingegnere straniero sarebbe venuto qui e avrebbe provato a impiantare un fornello a metano. Lei ne sa niente?»
La Valeriani strinse le labbra e scosse la testa. «Metano? Qui? Scherziamo? Mai saputo. Magari ci fosse, sa quanti soldi avrei risparmiato di riscaldamento e tutto! Ma metano? Proprio no, questa è nuova.»
«Quando avete comprato questo agriturismo, nessuno vi ha detto niente?»
«Quando l’abbiamo comperato c’era questa casa, ma era in uno stato pietoso, abbiamo dovuto ristrutturare tutto. Poi i vecchi padroni, la gente da cui l’abbiamo presa, non erano proprio i vecchi padroni, ma erano subentrati ad altri, sa queste cose d’eredità di paese... insomma, nessuno ha mai detto niente di metano. Metano qui? Mi scappa fin da ridere.»
«Avete comprato solo la casa?»
«No, non soltanto la casa. Volevano una cifra abbastanza alta, per quel rudere, e noi l’abbiamo abbassata, poi ci abbiamo fatto aggiungere anche la terra, un bel pezzo di terra. Questa era una casa colonica, col podere, e oltre al terreno intorno c’era anche un’altra parte...»
«Fin dove arrivava?»
«Così, su due piedi, non glielo so dire, bisognerebbe guardare le carte catastali, ma credo arrivi fino a Serra delle Iandare, come la chiamano qui.»
«Quindi è tutto vostro.»
«Be’, no» e la Valeriani ridacchiò. «Noi abbiamo tenuto la casa e il terreno attorno. Abbiamo venduto tutto il terreno sopra il Fosso delle Iandare, che sarebbe poi la Serra.»
«A chi?»
«Gli affari vanno male, non vede?» Col braccio indicò la sala vuota. «Qui non viene quasi nessuno, ora soprattutto con ’sto tempo maledetto. Forse d’estate. Dal paese, eh, poca gente, sempre, sembra che lo facciano apposta per farti rabbia; venivano dal bolognese, o da Pistoia, ma le ho detto, con questo tempaccio...»
«A chi l’avete venduto?»
«Di preciso non so. Se n’è occupato mio fratello, Ginon. Ho firmato il contratto proprio pochi giorni fa e non sono stata a leggere. Mi sono fidata di Ginon. Credo a una società , di Bologna credo, l’abbiamo venduto attraverso un’agenzia. Mi hanno detto che vorrebbero impiantare un vivaio di piante per farci crescere i tartufi. Dicono che è possibile, sa, mettono questi quercioli e ci impiantano non so che semente... boh, ma non mi interessa.»
Pensoso, Gherardini si alzò. «Pochi giorni fa, dice. La ringrazio, signora Valeriani. Lei non sa quanto mi sia stata utile.»
«Non si ferma a mangiare?»
«No, mi dispiace, sarà per un’altra volta.»
Si salutarono. L’ispettore uscì e salì verso l’auto. Pensava a quello che gli aveva detto la Valeriani. C’era qualcosa di nuovo, anche se ancora molte cose gli sfuggivano.
Alla piazzola stava per montare in macchina, quando gettò un’occhiata all’auto di Cesarino. Preso da un pensiero improvviso si avvicinò e guardò dentro, attraverso i finestrini, ma il buio gli impedì di scorgere qualcosa. Dalla campagnola della forestale prese la torcia elettrica e proiettò il fascio luminoso all’interno. Niente di particolare. Girò attorno, guardò le gomme, infangate, certo, come buona parte della carrozzeria ma, con il tempo che c’era stato da quelle parti, non era una cosa insolita.
«Trovato niente d’interessante, ispettore?» chiese una voce alle sue spalle.
Cesarino lo stava guardando, mani sui fianchi e un’espressione corrucciata sul volto. «Ispettore, hai forse trovato nella mia auto qualche abete tagliato, o qualche pianta di ginepro presa dai boschi di straforo? Qualche sasso del fiume, che se si portano via la forestale ti fa la multa? E poi, cosa sono quelle balle sul metano o non metano che hai raccontato a mia moglie? Cosa sono tutte ’ste storie?»
Gherardini non si scompose. «Sono storie che riguardano un morto ammazzato, anzi due. E quasi tre, Cesarino.»
«E questo ti autorizza a frugare nella mia macchina?»
«Non stavo frugando, stavo solo guardando, perché sono autorizzato a svolgere indagini. A proposito, tu ne sai qualcosa del metano?»
«Ancora! Ma quale metano, se siamo costretti a scaldare e a cucinare col gpl. Magari ci fosse il metano!»
«Mai sentito neanche parlarne?»
«Mai, da nessuno!»
«Mi ha detto tua moglie che avete venduto quel pezzo di terra sopra il Fosso delle Iandare. A chi l’avete venduto?»
«Questi, se permetti, sono fatti nostri. Ma cos’è tutto ’sto domandare? Noi siamo gente pulita. Vuoi guardare nella macchina? Ora te la apro. Vuoi controllare il portabagagli?» Si avvicinò all’auto e, con gesto enfatico, estrasse di tasca le chiavi e aprì il vano posteriore. «Prego, si accomodi.»
Gherardini si avvicinò e diede un’occhiata all’interno, illuminato dalla piccola lampada di servizio.
Niente.
No. C’era qualcosa: bustine di plastica trasparente. Ne raccolse due. Una conteneva frammenti di roccia. L’altra una manciata di terriccio. Le sollevò e le mostrò a Cesarino:
«E queste? Cosa sono e come ci sono finite qui?» chiese.
Cesarino aveva cambiato espressione, sembrava stupito e imbarazzato. «Quella roba? Non lo so proprio. Quell’affare lì è la prima volta che lo vedo. Cos’è?» Si avvicinò. «Sono dei sassi e del terriccio, ma io non so come siano finiti nel bagagliaio della mia macchina.»
«Non ne sai niente, eh? Sono nella tua auto e non sai come ci siano capitati, tutto a tua insaputa, come si dice adesso» e con un colpo secco chiuse il bagagliaio.
«Oh, Poiana, mi è costata un occhio questa macchina. Trattala bene.»
«Non ti preoccupare per l’auto, che se le cose stanno come penso io prima che ci rimetti il sedere sopra ne passerà di tempo.»
«Per quello che m’importa. Il sedere, come dici tu, ce lo metto così poco...»
«E chi ce lo mette?»
«Un po’ tutti, qui. È a disposizione dell’agriturismo.»
«Adesso il sedere lo metti sul mio mezzo, ti sistemi e aspettiamo che Farinon e Goldoni ci vengano a recuperare.»
Cesarino non capiva, o fingeva di non capire cosa andava dicendo Poiana, ma si adeguò borbottando: «Questa è nuova: che c’entrano Farinon e Goldoni con il sottoscritto? E perché poi devono venirci a recuperare? Ogni giorno se ne impara una nuova».
Intanto Gherardini parlava sottovoce al cellulare e, finito che ebbe, diede un’occhiata all’agriturismo, poco più sotto. Dentro, la Valeriani aveva acceso le luci e la si vedeva muoversi nella sala; dalla finestra della cucina la sagoma dell’Andricca si dava da fare con i fornelli.
Anche Poiana si sistemò sul fuoristrada e accese una sigaretta. «Vuoi fumare?»
«Preferirei andare a cena.»
«Mi sa che stasera la salterai.»
Cesarino, che cominciava a essere preoccupato, chiese: «Sarebbe a dire?».
«Sarebbe a dire che tu e il maresciallo non avrete tempo di cenare.»
Cesarino guardò in viso l’ispettore. «Oh, Poiana, se è uno scherzo, è durato anche troppo». Gherardini non aprì bocca. Continuò a fumare e Cesarino capì che non era uno scherzo. «Va bene, vuol dire che adesso scendo da mia moglie e l’avverto che non sarò a cena» e fece per aprire lo sportello.
«Non ti muovere» mormorò l’ispettore. «Passami le chiavi della tua macchina.»
L’auto con Farinon e Goldoni si fermò a fianco della campagnola.
«Hai avvertito il maresciallo?» chiese Gherardini e, all’assenso di Farinon, gli passò le chiavi della macchina di Cesarino. «Bene, allora ci vediamo là .»
Mise in moto e la campagnola lasciò la piazzola. La seguirono, subito dopo, l’auto di Cesarino, Farinon alla guida, e l’auto della forestale, Goldoni al volante.
Giù all’agriturismo la signora Valeriani aveva apparecchiato due tavoli: uno per quattro e uno singolo, per il cliente fisso che sarebbe rientrato dalla passeggiata.
L’ispettore Gherardini e il maresciallo Barnaba lasciarono la caserma della forestale assieme, poco dopo mezzanotte, e fuori li accolse il gelo di una notte di dicembre. Il cielo era limpido e colmo di stelle che sembravano vicine, come accade in montagna senza inquinamento luminoso.
«Continua a negare...» commentò il maresciallo.
«Non mi aspettavo una confessione. Ha tutta la notte per pensarci su. Be’, ci sentiamo domattina» e presero due strade opposte.
Finita una giornata lunga, una giornata che, se le cose fossero andate come immaginava lui, non era stata sprecata.
Ci stava tutta. E finalmente dei risultati. Che erano: Lucchi Cesarino nella camera di sicurezza della forestale con l’accusa di omicidio multiplo; l’auto dell’agriturismo sotto sequestro nell’autorimessa della stessa forestale. I sigilli alle portiere li aveva posti personalmente il maresciallo Barnaba. Quando si dice collaborazione tra forze dell’ordine. Il giorno dopo la scientifica sarebbe arrivata su per controllare se all’interno del 4x4 ci fossero tracce di sangue. Ed eventualmente scoprire a chi quel sangue appartenesse.
Marco Gherardini ci avrebbe scommesso la carriera. Anche se era trop...