Innamorarsi di April
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Innamorarsi di April

  1. 182 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Innamorarsi di April

Informazioni su questo libro

Tony si è da poco trasferito con la madre in un villaggio sul fiume, dopo la separazione dei genitori. È povero, solo e con un futuro precario davanti a sé. April è bellissima e sorda. Ama la natura, il vento, il fiume e i suoi cigni. Tutti in paese pensano però che sia una povera ritardata di scarsa moralità. Tony è chiuso in un mutismo ostinato. April è prigioniera del suo mondo di silenzio. Sarà l'incontro delle loro infelicità silenziose, il loro avvicinarsi dolce e leggero, a salvarli in modo speciale. MELVIN BURGESS è un autore inglese nato nel 1954. Ha fatto molti mestieri e solo nel 1986 ha cominciato a scrivere, ottenendo subito un grande successo. È considerato uno dei migliori scrittori contemporanei per adolescenti, e non ha mai avuto paura di confrontarsi con gli argomenti più controversi. Ha vinto la Carnegie Medal e il Guardian Children's Fiction Prize.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804641445
eBook ISBN
9788852056789

CAPITOLO TERZO

Ogni sabato a mezzogiorno, tutta Cibblesham chiudeva i battenti. Tutti i negozi, l’impianto per l’inscatolamento del pesce, le officine, la segheria. Mentre April sbatteva la porta di casa, la sirena del cantiere navale ululò all’altro capo del paese: fra poco, operai e apprendisti avrebbero deposto gli arnesi e sarebbero andati a casa o a fare quattro passi in riva al fiume. Fino al ritorno della madre, domenica pomeriggio, April era prigioniera.
Le strade, piene com’erano di gente, erano probabilmente sicure per l’immediato futuro, ma April si sentiva più tranquilla in casa, finché non fossero tutti rientrati per pranzo. A volte, la sola vista dei suoi persecutori la disgustava quanto quello che le facevano. Porte e finestre erano chiuse, aveva da mangiare a volontà e poteva restare in casa fino al ritorno della madre, ma era una tale noia! A lei piaceva andare al fiume, in barca, pescare, nuotare, giocare. Neanche a pensarci, naturalmente. C’erano sempre gli amici, però. Il sabato pomeriggio, April lo dedicava alle visite.
La strada che portava a casa sua era in parte nascosta da una curva al resto del paese, e l’idea di percorrerla da sola la innervosiva tanto da farle aspettare l’arrivo di un treno per raggiungere insieme ai passeggeri la protezione delle case.
Una volta sulla strada principale, al sicuro, correva a casa della vecchia signora Craddock, dove l’aspettavano sempre biscotti, o focaccine, e una teiera colma. April mangiava e la signora Craddock spettegolava. All’inizio la vecchietta pronunciava ogni parola con cura, ma dopo un po’ non ci faceva più caso e chiacchierava sempre più rapidamente. Volendo, April era in grado di seguire il discorso, ma spesso si limitava a sorridere o accigliarsi o mostrarsi sorpresa nei momenti giusti, e ad annuire con foga quando la vecchietta nominava qualcuno che le interessava particolarmente. La signora Craddock sembrava sempre al corrente di tutto, ed entrambe trascorrevano un’ora piacevole.
Dopo, di solito, April andava da Albert e Sheila Giles, che vivevano lì accanto. Se c’era la signora Giles, una delle poche persone capaci di comprendere i suoi mugolii, si fermava a chiacchierare con lei, ma in cuor suo April sperava che Sheila avesse da fare. Allora Albert, incapace di comunicare con lei e perciò a disagio, la portava in salotto dove, su un tavolino, troneggiava un’enorme radio scura e scintillante.
— So quello che vuoi — diceva Albert, ammiccando divertito all’idea che a una sorda piacesse tanto la radio. In effetti, col volume al massimo, April distingueva l’eco delle note basse e, appoggiandosi all’apparecchio, sentiva nel petto un rimbombo denso, profondo.
Non erano molte le persone che April poteva andare a trovare: quasi tutti la ritenevano una mezza scema e, anche se in passato aveva sfruttato questa convinzione per fare i propri comodi, ora correva il rischio di restare intrappolata da una reputazione che lei stessa aveva contribuito a creare.
Completò il giro delle visite passando dalla sua amica Jenny. Da piccole erano state molto unite e anche se, crescendo, Jenny era andata a scuola e si erano frequentate meno, erano rimaste amiche. Ad April dava fastidio vedere l’amica impegnata in una vita di lezioni, lavoro e famiglia dalla quale lei era esclusa, ma Jenny le piaceva e ci teneva a mantenere i contatti. Jenny riusciva a comprenderla e sapeva parlare lentamente e con chiarezza. Quel giorno era su di giri per un appuntamento serale con Tad Main, un apprendista del cantiere navale.
April non seppe trattenere una smorfia.
— Lo so che è un po’ rozzo, però mi tratta come se fossi di porcellana, davvero — spiegò Jenny, una ragazza graziosa e minuta. — Mi fa sentire… speciale — aggiunse, arricciando il naso.
— Uh — borbottò April.
Jenny si passò le dita fra i lunghi capelli chiari e la scrutò.
— Non pensi mai ai ragazzi? — le chiese. — Non ti piacerebbe avere il fidanzato? Mamma dice che sono troppo giovane, ma non è vero.
April, che era graziosa e volendo poteva fare colpo, si ingobbì come una scimmia sbigottita.
— Eh? — borbottò, come per dire: — Io?
— Non fare la sciocca. Ti conosco, sai — replicò Jenny. — Allora, che ne pensi di Tad? Ci usciresti? A mio padre non piace, anche se ha un buon lavoro.
Ma April non voleva parlare di Tad, né di ragazzi, così alla fine Jenny si spazientì e si separarono di malumore.
Tornò a casa insieme alla signora Williams, che andava a prendere il treno per fare visita al figlio, e subito corse al canile e slegò Silas: di solito lo lasciava dormire fuori, ma durante il fine settimana sentiva che era in pericolo, proprio come lei, e preferiva chiuderlo in cucina. Faceva una confusione tremenda e le toccava ripulire tutto prima che sua madre tornasse, ma avrebbe fatto qualunque cosa per non fargli correre rischi.
Furba e testarda, per anni April non aveva mosso un dito per aiutare in casa, ma ultimamente il sabato sera aveva troppa paura per uscire al buio e così, esasperata dalla noia, si era dedicata alle faccende domestiche, spolverando e lavando e strofinando: soprammobili, piatti, mobili, a volte perfino le pareti. Un sabato aveva addirittura spolverato il carbone accanto al camino, divertendosi tanto che aveva finito per lucidarlo. Sua madre era rimasta stupefatta quando, due sere dopo, aveva acceso il fuoco.
— Però, guarda il carbone… non mi ero mai accorta che scintillasse così. — April aveva trattenuto a stento le risate anche quando la casa si era riempita dell’odore di cera bruciata.
Sua madre fu felice e sorpresa di quel cambiamento: finalmente April stava crescendo e forse, un giorno, la sua strana bambina avrebbe avuto una vita normale.
Quella sera, dopo aver mangiato qualche patata lessa con un po’ di sale e aver come al solito spolverato, lucidato e spazzato, decise di pulire finestre e tende. Lavare i vetri era facile: bastava bagnarli con acqua saponata e lustrarli con fogli di giornale come aveva visto fare alla madre. Però tirare giù le tende era una faccenda faticosa: meglio, pensò, inumidirle con una spugna e strofinarle bene lasciandole montate.
Non ebbe problemi a pulirle dal lato interno e, per un momento, si soffermò ad ammirare i colori che risaltavano vividi. Poi, un piede sul davanzale e uno sullo schienale di una poltrona, passò a occuparsi del lato che dava all’esterno. Sistemò una bacinella d’acqua in bilico, come lei, tra finestra e poltrona, e stava strofinando vigorosamente la stoffa quando un suono improvviso la spinse ad abbassare lo sguardo. Ai suoi piedi c’era una faccia orribile, giallastra e contorta, le labbra stirate in un ghigno, così inclinata di lato da toccarle quasi un piede, che farfugliava qualcosa guardandole a occhi sgranati sotto la gonna.
April urlò. Erano lì, con lei, in casa! Dimentica di ogni altra cosa, fece un salto e si afferrò la gonna, la bacinella volò via e lei cadde, atterrando su una spalla con tale violenza da restare senza fiato. Per un istante si rattrappì, lottando contro il dolore, aspettandosi che le saltassero addosso, e poi si ritrasse strisciando sul pavimento.
Fuori, il giardino buio risuonò di risate che April non poteva udire. Era ancora convinta che fossero lì in casa, insieme a lei. Potevano essere nascosti dovunque. I suoi occhi guizzarono frenetici per la stanza, cercando di individuarli. Si appoggiò ansimando a una poltrona, stringendosi la spalla dolorante. All’improvviso la faccia comparve di nuovo, sbirciando lasciva nella stanza illuminata. Era Joe Higgins, il figlio del postino. La fissò e le sue labbra si mossero.
Con un urlo, April schizzò in piedi, chiuse le tende bagnate e salì a precipizio le scale. Non avrebbero osato? Ma erano già in giardino! Col cuore in gola corse in camera, sbattendosi la porta alle spalle; si lasciò cadere accanto al letto e si tirò addosso le coperte, aspettandosi di sentire il pavimento vibrare sotto i loro passi. Ma il pavimento restò immobile. Le ci volle un pezzo per decidersi a strisciare fuori e guardare dalla finestra, nascondendosi dietro le tende. C’era qualcuno, vicino al cancello: Tad Main, il ragazzo di Jenny. Joe uscì dal giardino e lo raggiunse. Avrebbe voluto urlare loro tutta la sua rabbia, ma non ne ebbe il coraggio.
I due si voltarono e, ridendo, tornarono verso il paese. Probabilmente Tad stava andando all’appuntamento con Jenny. April si afflosciò sul pavimento e pianse. L’avevano davvero terrorizzata. Sapeva di essere braccata e di essere sola.
Quando infine si riprese, corse a frugare nell’armadio dell’ingresso alla ricerca di una coperta. Poi sfrecciò in cucina, scivolando nella fretta sul sudiciume di Silas, a prendere una bottiglia d’acqua, qualche pezzo di pane e una fetta di formaggio. Doveva fare presto: erano già arrivati alle finestre, non ci avrebbero messo molto a entrare. Incurante dei suoi sibili, chiuse Silas nella dispensa, fece rapida il giro della casa tirando tutte le tende, e infine si precipitò al molo. Non aveva molto tempo. Tad era impegnato, ma Joe poteva tornare da un momento all’altro.
Le sue dita annasparono sulla fune che teneva ormeggiata la barchetta e, quando riuscì a liberarla, la spinse al largo nelle tenebre. Si sentiva al sicuro, sull’acqua. Però si era sentita al sicuro anche in casa. Negli ultimi tempi i ragazzi le facevano talmente paura da sembrarle capaci di tutto.
Era cominciato anni prima, quando erano piccoli e giocavano tutti insieme. Certe volte i ragazzi le avevano regalato dei dolci perché mostrasse loro come era fatta. A lei non importava… Perché non potevano vedere, se volevano? Anche le altre bambine l’avevano fatto. April aveva proseguito quel gioco più a lungo solo perché era proibito. In seguito i ragazzi grandi smisero di frequentare i più piccoli, però, se la sorprendevano da sola, l’acchiappavano e la palpavano dappertutto: era orribile, anche se le facevano il solletico per costringerla a ridere. Ma fu solo più tardi, quando lasciarono la scuola e cominciarono a lavorare nel cantiere navale, che Tad e Joe e un paio degli altri diventarono davvero cattivi. Le tendevano agguati e l’aggredivano brutalmente. Per tenerla ferma le si sedevano sulle braccia e le gambe, senza curarsi di farle male, strizzandola e pizzicandola. E le facevano il solletico, come se i suoi squittii frenetici significassero che la cosa piaceva anche a lei.
Col passare del tempo si fecero più audaci e più forti, e se resisteva o lottava, diventavano crudeli. Il fine settimana, in assenza della madre, April era di loro proprietà, se riuscivano a trovarla. Più la maltrattavano, più diventavano cattivi, come se fosse soggetta a un sortilegio che li rendeva peggiori ogni volta che la toccavano. Per questo si era spaventata alla vista di Tony; per questo non osava uscire la sera e si chiudeva in casa ogni fine settimana. Viveva nel terrore dei ragazzi. E ogni volta era peggio. Era sicura che, se l’avessero presa un’altra volta, l’avrebbero violentata.
Immerse silenziosamente i remi nell’acqua, scivolando a valle. Più lontano, vicino all’estuario, il fiume era pieno di isolotti. April li conosceva tutti, e uno in particolare era il suo segreto. Era al sicuro, lì… più al sicuro che in casa. D’ora in poi, le notti di venerdì e sabato avrebbe dormito laggiù.
Spinse con forza la barca controcorrente. Non lo sapeva, ma i ragazzi erano vicinissimi. Joe aveva incontrato un amico ed erano andati a comprarsi un paio di birre al pub per bersele al cantiere. Seduti sul molo, udirono il tonfo sommesso dei remi e credettero che un grosso pesce fosse saltato fuori dall’acqua. Cercarono qualche pietra da tirargli, ma non ne trovarono.
Benché maggio fosse quasi alla fine, la notte era fredda, ma April non osò accendere il fuoco. I ragazzi avrebbero potuto vederlo, e allora che ne sarebbe stato del suo nascondiglio? Nei cespugli, avvolte in un’incerata, aveva diverse provviste. Piazzò varie canne da pesca e cenò con pane e formaggio; poi, avvolgendosi nella coperta, cercò di dormire, ma il freddo le penetrò nelle ossa e alla fine si alzò e andò a controllare le lenze. Ancora niente. Ormai il terreno era umido di rugiada, oltre che gelido. La coperta stretta intorno alle spalle, April iniziò un’incessante, rumorosa passeggiata intorno all’isola, disturbando le anatre sulle rive, gli uccelli canori sui rami e i piccioni sulle cime degli alberi, finché nel suo piccolo regno non restò una sola creatura addormentata.
Il sole spuntava alle cinque, e per quell’ora April aveva fatto il giro dell’isola almeno cinquanta volte. Controllò di nuovo le lenze e tirò su un grosso pesce: l’avrebbe cucinato a casa, per colazione. All’alba, gli uccelli cominciarono a cantare. April guardò il sole emergere dalla foschia mentre ondate di cinguettii le si gonfiavano intorno. L’isolotto traboccava di piccole presenze invisibili che cantavano a squarciagola, ma nel mondo di April non esistevano trilli: conosceva soltanto le vibrazioni che avvertiva nel petto degli uccellini quando li catturava e li stringeva fra le mani.
Rapidamente ripulì il campo, rimise le provviste nella barca e tornò verso casa, lasciandosi sospingere dalla marea oltre i pascoli addormentati, le siepi, i boschi e i paesi. Avvolta nella coperta, si stese sul fondo della barca e si addormentò nella luce limpida; quando si svegliò era giorno fatto e si era arenata fra le canne un mezzo chilometro oltre Cibblesham.
Dovevano essere, calcolò, le otto. Saltò su e, in preda al panico, immerse i remi nell’acqua. I ragazzi sarebbero già stati svegli e in circolazione.
Zio Bob arrivò alle nove di domenica mattina, prima del previsto, perché quel giorno era invitato a pranzo da amici. Quando la lunga, lucida auto nera si fermò davanti alla casa minuscola, Tony si sentì vergognoso perché avrebbe richiamato l’attenzione su di loro, e allo stesso tempo orgoglioso perché avrebbe mostrato agli altri che tipo di persone erano in realtà lui e sua madre.
— Va’ a giocare, da bravo — gli disse zio Bob, arruffandogli i capelli. — Tua madre e io dobbiamo parlare.
Tony diede un’occhiata alla madre, che annuì.
— Va bene — mormorò, e si diresse verso la strada che portava al fiume mentre le campane suonavano a distesa nell’aria immobile.
Anche se sua madre aveva detto che non dovevano fare affidamento su zio Bob, Tony nutriva grandi speranze. Zio Bob era ricco, il più ricco della famiglia, e adesso che si trovavano sul lastrico non spettava forse a lui mantenerli? Non poteva certo pretendere che restassero a vivere lì.
Non c’era nessun altro su cui contare. Barbara era cresciuta in una famiglia agiata, in una grande casa con dozzine di domestici, ma il patrimonio si era dileguato già da parecchi anni, i genitori erano morti e il fratello era partito per il Canada senza più dare notizie di sé. Sua madre aveva un’infinità di amici e Tony aveva trascorso molti fine settimana in lussuose dimore di campagna, ma da loro non potevano aspettarsi altro che una vacanza gratis. Nessuno aveva voglia di ritrovarsi s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Innamorarsi di April
  3. CAPITOLO PRIMO
  4. CAPITOLO SECONDO
  5. CAPITOLO TERZO
  6. CAPITOLO QUARTO
  7. CAPITOLO QUINTO
  8. CAPITOLO SESTO
  9. CAPITOLO SETTIMO
  10. CAPITOLO OTTAVO
  11. CAPITOLO NONO
  12. CAPITOLO DECIMO
  13. CAPITOLO UNDICESIMO
  14. CAPITOLO DODICESIMO
  15. CAPITOLO TREDICESIMO
  16. Copyright