Il viaggio misterioso
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Il viaggio misterioso

  1. 204 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il viaggio misterioso

Informazioni su questo libro

Federico ha due padri: un padre naturale e uno putativo. Guido, l'idealista, e Gabriele, incarnazione di un'umanità umile e appassionata. Luisa, contesa tra i due uomini, è l'indimenticabile immagine di donna e di madre che, con il richiamo del proprio combattuto destino, coinvolge il giovane Federico in un misterioso viaggio di ricerca e iniziazione. Un omaggio tenero e sincero del grande scrittore emiliano alla sua terra e alla sua gente.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804356455
eBook ISBN
9788852056550

PARTE SECONDA

VII

Gli dissero in Questura: «Voi, dunque, porterete quel bambino?».
«Sì.»
«Ci dispiace che il tasto sia delicato, ma parliamoci francamente: quel bambino non è vostro figlio.»
«È figlio di un condannato a morte» confermò Gabriele.
Una solitudine, l’ufficio nella penombra: s’accorse di non provare più vergogna, ossia che quella verità, come le altre, gli usciva senza più dolore, assumendo immediatamente la forma dei volti e degli ambienti che lo costringevano ad ammetterla.
«Nonostante ciò,» replicarono «voi siete disposto a condurlo dove suo padre sta vivendo gli ultimi giorni.»
«Sì.»
«Voi siete un pazzo!»
«Non mi interessa.»
«Ammettiamo pure che quella povera creatura non sappia. È pur sempre un luogo di pena – dove la volete portare – e terribile.»
«Che sia una galera terribile, nessuno lo mette in dubbio» rispose tranquillamente Gabriele. «Com’è certo che mio figlio è una creatura. Ma se è povera, come lei dice, la colpa e la vergogna sono vostre. E comunque lo sa!»
«Cosa?» si stupirono in Questura.
In fondo al corridoio scuro, Gabriele vedeva la luce di un giardino, con gli uccelli che si preparavano a dormire. Uguale alle sere dorate e remote contro le quali i santi si inginocchiano a pregare nelle immagini sacre.
«Di non essere figlio mio,» rispose «ma di quel disgraziato.»
«Allora, voi siete pazzo due volte!»
«Sissignore!»
«Ciò significa torturare una coscienza innocente. Noi potremmo impedirvelo.»
«Lei potrebbe solo impedirmi di farle capire il perché l’avete torturata. Io voglio che lo sappia, il perché. Che lo veda con i suoi occhi. Solo in questo modo mio figlio potrà avere ancora qualcosa che assomiglierà alla vita.»
«Accompagnate alla porta questo pazzo!»
In Questura apposero il primo timbro. Due carabinieri scortarono Gabriele verso il portale dove la sera ora non aveva più né voci, né voli. Solo lo scatto delle baionette e degli stivali al cambio della guardia.
Partirono una settimana dopo.
L’ultimo ad arrivare fu Stravént. Un amico lo portò in motocicletta e lui smontò dal sidecar, attraversò i binari saltando sulla gamba zoppa, fu sul predellino con il tabarro che gli volava sopra le spalle. Gli altri avevano preso posto nello scompartimento, tranne Gabriele. Il Palmera con il rampone e i coltelli da masén dentro una delle borse.
«Lei è un incosciente!» esclamò il prete quando, scoperchiata la cassetta, gli apparve la minacciosa fila delle lame. «Gliele sequestreranno subito. Lei vuol farci arrestare e compromettere il viaggio.»
«Prete,» replicò il Palmera senza guardarlo «fatti gli affari tuoi.»
La cieca s’era addormentata subito. O fingeva di dormire. Ines passeggiava su e giù nel corridoio, sorridendo alla gente dietro i vetri delle porte; poi aggirò un ferroviere, con la scusa di sapere a che ora si arrivava a Bologna, e qual era la prima fermata.
Gabriele stava ancora sul marciapiede quando il segnale diventò verde. Ma riusciva a non mostrare impazienza. Sapeva che Luisa teneva gli occhi su di lui. La polizia ferroviaria giunse appena in tempo a consegnargli i documenti e Gabriele fu costretto a saltare sul predellino come prima Stravént.
Allorché si accorse che il treno correva tra le ultime case di Parma, Luisa scivolò con la spalla nell’angolo. Cadde anche lei, insieme alla sua tensione, in un sonno molto profondo. Riuscì soltanto a ringraziare con un bacio l’amuleto che aveva stretto fino a quel momento nel pugno.
Il prete scoprì, remota, la villa ducale delle Quattrotorri.
«Siamo a Modena» disse. «E quella laggiù è la vera Certosa di Stendhal.»
Nessuno poteva rispondergli.
Contro il suo stesso finestrino c’era Federico e alle sue spalle Stravént. Si girò e disse a quest’ultimo: «Nella Certosa di Parma, invece, sono stato tra quelli che hanno creato il riformatorio. Per i ragazzi delinquenti».
«Se intende dire che alla Certosa ci sono passato anch’io,» rispose Stravént «non mi vergogno mica ad ammetterlo.»
«Sono stato un cattivo insegnante, vero?» sorrise il prete, mentre l’altro gli si avvicinava.
«Sì. Avrebbe dovuto darmele più forte. Ma le sue mani sono sempre state troppo delicate.»
Stravént gli sollevò le mani, le chiuse tra le sue, ma a Federico non sfuggì che, con sveltezza da ladro, faceva passare un foglio ripiegato. Il prete s’allontanò rapidamente, nascondendo il foglio nella tasca.
Federico si distrasse da loro e si fece conquistare completamente dal viaggio. Vide un cortiletto infuocato davanti a una fabbrica, le finestre di molte case ancora chiuse, con dietro la gente che immaginò addormentata, l’ansa luminosa di un fiume che aveva un uccello solitario sopra le acque. Tutto gli parve illuminato da un’emozione mai conosciuta. Ma già la notte che avevano aspettato l’arrivo del permesso ufficiale, gli era capitato di impadronirsi nello stesso modo della nuova realtà che cominciava dopo che la prima si era irrimediabilmente chiusa.
Tutta quella notte si augurò che cessasse il silenzio.
Aggirandosi per la casa, decifrò qualcosa nelle stelle tra le foglie e ne trovò un presagio che lo indusse sull’albero dove s’arrampicava durante i giochi; ma graffiandosi con la corteccia, scoprendone i tessuti morti, gli sembrò di non esservi salito prima di allora. Da lassù le scoperte continuavano: era lui stesso parte di quel silenzio e posseduto dalla fatalità che faceva tacere i campi come gli uccelli confusi con il suo corpo dentro il fogliame, e la città che fiammeggiava di facciate rosse nei viali dell’orizzonte, perché l’aria notturna vi agitava le luci.
Le finestre del pianterreno erano accese dalla sera precedente.
Avrebbe voluto non spiarvi l’attesa, eppure gli occhi scivolarono verso quei vetri dalle nuvole tempestose che il sereno spingeva verso oriente. Contemplò i personaggi. Ciascuno aggiungeva una sua immobilità al silenzio: sua madre in una seggiola, la testa eretta nel vuoto. Dietro di lei, leggeva il prete. Sfogliava le pagine con colpi secchi, come adesso faceva in treno.
Poi, dopo altre seggiole vuote, il Palmera.
Testa e braccia sul tavolo, dormiva dentro la coperta con cui s’era avvolto le spalle; la testa era massiccia come una radice, con un luccichìo di sudore dalla nuca: mentre tra la luce artificiale e il buio scivolava il giorno, aveva l’argentea velatura della morte dei secoli. Una reliquia dissepolta.
Questi erano i suoi amici, la sua famiglia. Anche quelli che non riusciva a scorgere. Gabriele aspettava seduto sullo scalino d’ingresso; sulla sinistra della facciata ne vedeva le scarpe dentro il fango, le gambe, le mani sulle ginocchia. Allora cercò di respirare tra i rami, ma non c’era aria come non c’era vita nel silenzio. Solo negazione, intervallo. Sarebbe stato condannato a ricordarsi tutta la vita questo fenomeno catalettico che produceva nella coscienza una spezzatura da una condizione ad un’altra. Seppe anni dopo che era simile al gelo celeste che precede terremoti e uragani: con l’ottica medianica di un animale pronto al terrore e alla fuga, ma spezzato nelle gambe, assisteva al suo propagarsi dai corpi alle cose.
Ebbe la certezza di cominciare a nascere in quel momento. Che questa fosse la sua vera nascita al mondo e che lo sforzo di lacerare l’involucro l’avesse già vissuto il passero che stava in un ramo poco più in alto, allorché la luce era rifluita attraverso la membrana dell’uovo (entrambi nascosti, lui e il passero, da volatili magnetizzati dal cosmo; l’occhio vitreo dell’uccellino contro il suo che ne cercava un battito amico). Gli anni vissuti erano stati dunque un’illusione prenatale.
Così iniziandosi alla vera vita, attribuì i nomi agli oggetti e agli uomini. Pose nuove relazioni tra gli uni e gli altri. Come se non avesse mai chiamato nessuna cosa e nessuna creatura. E la parola battezzò presenze non soltanto esistenti, ma pensabili. Con amore pensò: “Gabriele”. E poi: “padre”. Fissando le povere scarpe che avevano scavato due fosse nella melma. I sassi tra le canne del torrente, nel diafano scoprirsi al giorno, si chiamarono sassi che non sarebbero tornati più sotto il suo piede nudo, e gli alberi dolorosi alberi. E la città, infine, Parma.
Dopo la luce e la parola, nacque il suono.
Lo udì all’inizio della strada. Scomparve. Infine la motocicletta fece irruzione nell’orto. Il soldato aveva la busta rossa infilata nel cinturone.
Il prete gridò al Palmera: «È quello che volevi. Rovinarci!». La sua rabbia senza convinzione era una pantomima, per chi sapeva vederla: anche se lo afferrava per la giacca, scuotendolo, e l’altro lo lasciava fare. La finta aggressione apparve del tutto credibile soltanto ai carabinieri che separarono i due e li fecero scendere ai capi opposti dello scompartimento.
«Maledetto prete!» continuava il Palmera.
«Masén!» continuava il prete.
Ma erano sbolliti come se si dicessero arrivederci, e di stare calmi che tutto sarebbe finito bene. La cassetta dei coltelli la ribaltarono sul treno stesso: le lame si sparsero nei sedili, mentre il rampone rotolò tra i piedi di Stravént, che non si degnò di guardarlo. Restò a fumare tranquillo finché non lo trascinarono via con gli altri. «Non faticate con me» disse ai carabinieri togliendoseli di dosso. «Il Ras è qua per aiutarvi.» E con un salto sulla gamba sana, per la seconda volta volava con la sua agilità da uccello nello spazio dal treno al marciapiede.
«Fratelli Branca» cantò a squarciagola «Arma filôza, comandola Arma! – Compagnia traversa di Seminaristi Rossi – Io m’en vo con le fangose del silensio!»1 Infatti sparì nel sottopassaggio e non lo trovarono più, per quanto lo cercassero, sprecando anche due moschettate al vento.
Gabriele, Luisa, Ines e Federico furono aggregati al Palmera. Lasciarono in pace solamente la cieca e valigie e fagotti seguirono il gruppo. «Lei porta con sé armi da taglio!» gridò a sua volta il tenente al Palmera. «Addirittura una collezione!» «Signorsì» rispose il Palmera pacifico. «Perché quelle armi, come lei le chiama, fanno parte del mio mestiere, come queste del vostro...» Afferrò brutalmente il cinturone con pistola di una guardia e scambiarono il gesto per un tentativo di aggressione. Federico vide il Palmera cascar giù come un sacco. Ma ce ne volevano, di guardie, per lasciare in ginocchio il Palmera; benché fossero in quattro, era già in piedi di fronte al tenente, a spiegargli che lui era “masén” con tanto di certificato, anzi di pedigree. Se lo levò dalla tasca, il grosso quaderno con la copertina azzurra, dicendo che lì ci stavano le imprese di suo padre, del nonno, del padre del nonno, e di quanti altri avevano col suo stesso nome ammazzato maiali per conto dei duchi: leggessero dunque.
Mise il quaderno sul tavolo, ne aprì lui stesso la prima pagina e recitò a memoria il “passaporto” che ne costituiva la prefazione, rilasciato appunto al bisnonno in nome di Sua Altezza Reale Luisa Maria di Borbone, reggente del Duca Roberto I, e firmato dal Commissario della Polizia generale: «La Direzione della Polizia generale autorizza Palmera Francesco fu Nazzaro, di condizione massíno, nativo di Parma...».
Il tenente gli impose di smetterla. Dei suoi antenati sanguinari e di questi secoli di suini non gliene importava niente: a lui e allo Stato importavano invece – e qui il tenente scattò in piedi – i sanguinari e i maiali viventi, i quali nascondevano delle carte da sovversivi contro la vita pubblica, utili a smascherare altri criminali. E queste carte dovevano saltar fuori a qualsiasi costo. «Accerteremo in seguito la vera ragione per cui lei porta con sé questo armamentario» concluse. «Per ora si ripre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il viaggio misterioso
  4. PARTE PRIMA
  5. PARTE SECONDA
  6. Epilogo
  7. Copyright